Scritto e pubblicato una ventina di anni addietro…
Di Salvo Barbagallo
Sicilia, un’isola, un territorio, una regione dalle grandi potenzialità che non riesce a decollare, ed incamminarsi sulle grandi arterie della produttività, ma si affossa sempre più sotto il peso della grande criminalità, avvilita da una classe politica pronta a lottarsi ma che non riesce a trovare un punto di incontro per risolvere i problemi comuni. La storia della Sicilia appare costellata solamente da delitti, tanti da porla continuamente all’attenzione nazionale ed internazionale. Delle effettive potenzialità, che tali restano perché sembra mancare l’interesse a trasformarle in qualcosa di veramente concreto, nessuno parla. In Sicilia c’è il petrolio: anche se nessuno si cura di fornire dati esatti, la stima della produzione dovrebbe aggirarsi sui trentacinquemila barili di greggio al giorno, pari al settantacinque per cento della produzione nazionale. Una produzione che — sostengono gli esperti — è in continuo aumento. Fino a qualche anno addietro la Sicilia forniva 15-16 mila barili al giorno di petrolio attraverso lo sfruttamento dei giacimenti del Gelese e del Ragusano. Dal campo di Gela veniva pompato greggio per diecimila barili, mentre il resto proveniva dai pozzi di Ragusa. Poi la produzione è sensibilmente aumentata con la scoperta di un grosso giacimento al largo di Trapani, del pozzo «Nilde» che, dopo le prove di portata, venne chiuso, perché seriamente danneggiato da una mareggiata. L’attività venne ripristinata, e non essendo stata possibile realizzare un «sea-line» per trasferire il greggio, venne utilizzata una vecchia petroliera, trasformata in Centro olio, per il trasporto sulla terraferma. Altri pozzi hanno avuto risultati soddisfacenti al largo della costa gelese: da uno di questi, il «Perla», alcuni anni fa era possibile estrarre 2.600 barili al giorno. Qui il «sca¬line» venne realizzato, permettendo di collegare il pozzo principale con il terzo centro olii dell’AGIP, ubicato davanti allo stabilimento petrolchimico dell’ANIC. Altri giacimenti, sulla terraferma, vennero scoperti in contrada «Giaurone» e in contrada «Pietro Lupo», in territorio di Caltagirone. Non è possibile, oggi, tracciare un quadro dei pozzi che sono «attivi»: nessuna delle competenti autorità sembra aver voglia di far conoscere lo stato delle cose. Abbiamo parlato di petrolio per non tirare in ballo la questione degli agrumi, grande ricchezza di molte province, che finiscono alla distruzione per non sconvolgere gli equilibri del Mercato Comune. Lo stesso discorso vale per la pesca, per molti prodotti della terra, quali il frumento dell’Ennese e dei seminativi asciutti, che non trova la sua giusta valorizzazione per identici motivi.
Di molte cose non si parla in Sicilia o, quantomeno se ne parla per poi farle dimenticare, così come è avvenuto per la scoperta del tungsteno sui Nebrodi, avvenuta nel 1981. In merito vogliamo riproporre un articolo da noi pubblicato su «Espresso Sera» l’11 dicembre di quell’anno, con una intervista all’allora assessore regionale all’Industria, Rino Nicolosi, poi presidente della Regione. Il quotidiano chiedeva: “Il tungsteno cambierà il volto della Sicilia? Quali apporti potrà dare all’economia in crisi dell’isola? Quale la reale consistenza del giacimento scoperto sui Nebrodi da una équipe di scienziati delle Università di Messina, Milano, Padova, Palermo, che svolgono da alcuni anni ricerche per conto dell’Ente minerario siciliano, con sovvenzioni del CNR?” La notizia, trapelata attraverso un laconico comunicato della Regione, ha messo m subbuglio il mondo economico internazionale: il tungsteno è un metallo raro le cui riserve vanno esaurendosi, di fondamentale importanza per la tecnologia più avanzata, soprattutto quella aerospaziale.
Ecco le domande poste e le risposte di Rino Nicolosi, che ha avuto mandato del governo regionale di approfondire la questione:
– Come è balzata alla ribalta la notizia del ritrovamento del tungsteno nei Nebrodi?
“La settimana scorsa l’assessore Natoli ha dato comunicazione in Giunta della relazione che il prof. Baldanza, titolare della cattedra di mineralogia dell’Università di Messina, aveva formulato, quale prima notifica di una serie di ricerche che il suo Istituto aveva sviluppato in collegamento e con il sostegno del CNR e dell’Ente minerario siciliano. Le ricerche erano state effettuate sui Nebrodi, sulla scorta delle antiche tradizioni minerarie esistenti in questa zona, anche se gestite a livello molto empirico, e molto artigianale. Da queste miniere si estraeva blenda, prodotti galenici, materiali a bassa concentrazione d’argento, e stagno. Queste lavorazioni minerarie avevano trovato un punto massimo di sviluppo prima del ‘900, ed il prodotto veniva assorbito totalmente dall’industria germanica. Sulla scorta di quelle esperienze, con i mezzi tecnologici moderni, sono state approfondite le ricerche, per accertare la reale consistenza di quei filoni minerari. Queste ricerche hanno portato al ritrovamento dei vecchi giacimenti per i quali si deve ancora stabilire l’opportunità e l’economicità della coltivazione stessa, e contemporaneamente, e con una certa dose di casualità, si è scoperta la presenza del tungsteno, che sembrerebbe, almeno dai primi accertamenti, in quantità rilevante”.
– Rilevante in che misura?
“Rilevante non tanto in senso assoluto, quanto rispetto alla produzione mondiale. Come e noto per il tungsteno si individua solo un grosso centro di estrazione nella zona di confine tra Cina e Russia. Zona che con le sue miniere ha costituito elemento anche di conflittualità per l’importanza strategica di questo metallo. Sembrerebbe, infatti, che in quel giacimento sia concentrato il 75 per cento di tutta la produzione mondiale, mentre il rimanente 25 per cento sarebbe distribuito in maniera molto polverizzata in tutto il resto del globo, in maniera tale da non incidere economicamente”.
– Il giacimento in che collocazione si pone, allora?
“Se le previsioni che si fanno dovessero essere suffragate, effettuando ulteriori ricerche, da una conferma, questo giacimento assumerebbe una rilevanza tale da diventare importante rispetto allo stesso equilibrio mondiale del mercato del tungsteno”.
Ebbene, del Tungsteno siciliano e delle ricerche effettuate non si seppe più nulla. Sono esempi, quelli indicati: a voler approfondire i singoli argomenti potrebbero scriversi altri libri, destinati a «futura memoria» perché non è con le parole che si possono mutare le condizioni di vita di questa terra.
* Nota attuale
Quell’articolo di una ventina di addietro in pratica si concludeva con un Ebbene, del Tungsteno siciliano e delle ricerche effettuate non si seppe più nulla (…): un “nulla” che si è protratto sino ai giorni nostri, così come nulla si viene a conoscere sulle estrazioni petrolifere in Sicilia e nulla sulle Compagnie straniere che estraggono il petrolio e quale strade prende il petrolio stesso una volta estratto dal sottosuolo isolano e, soprattutto, quali accordi le Compagnie hanno stipulato con la Regione. Insomma: ai Siciliani non è dato sapere…