C’è chi sostiene che l’Indipendentismo Siciliano non è un mito

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di Salvo Barbagallo

 

Diverse email, alcuni sms, qualche telefonata in merito all’articolo pubblicato lunedì scorso (30 Aprile) dal titolo “Nella mappa dei “separatismi” europei la Sicilia non c’è per “avvertirci” che, invece, l’Indipendentismo Siciliano c’è, ed è vivo. Nella coscienza dei Siciliani.

In verità non abbiamo mai sostenuto il contrario. Anzi. Abbiamo sostenuto, come detto nell’articolo in questione (e ripetuto altre volte) che I contemporanei “movimenti” isolani non destano preoccupazione, né allarmismi, così come vengono considerati oggi. Cioè (purtroppo?) sono considerati aspetti del folklore locale… Forse questa è una “realtà” che gli appartenenti agli svariati “Movimenti Indipendentisti” non accettano di buon grado, ma “realtà” è, ed è una realtà difficilmente contestabile. Lo dimostra il numero dei Movimenti che nascono e (la maggior parte) muoiono nell’arco di qualche anno, ma, soprattutto, lo dimostra la frammentazione dei vari gruppi che non sono riusciti, nell’arco di decenni, a trovare una unità d’intenti pur professando la stessa ideologia. E questo, forse, è il limite dei Siciliani (pochi o molti?) che nella loro coscienza credono ancora che la Sicilia possa e debba essere uno “Stato” indipendente. Le “ragioni” storiche ci stanno tutte, le “ragioni” dello Stato Italiano anche. Prevalgono (e prevarranno?) ovviamente le “ragion di Stato”, così come gli oltre settanta anni di “Autonomia” della Regione Sicilia a Statuto Speciale hanno mostrato, così come i “comportamenti” di chi ha governato l’Isola sino ad oggi hanno determinato nella piena (o quasi) acquiescenza degli stessi Siciliani.

Condividiamo l’opinione di quanti sostengono che l’Indipendentismo Siciliano non è un “mito”, ma affermiamo contemporaneamente che non è una “realtà”. Un paradosso? Probabilmente.

È vero che sul campo si muovono tanti gruppi che i più definiscono “Sicilianisti”, probabilmente per non incorrere nelle gabbie giudiziarie sotto l’accusa di “sedizione”. A conti fatti, la lezione che si è avuta con la Catalogna magari qualcosa ha insegnato: chi apertamente si muove per promuovere istanze secessionistiche rischia la galera, e non solo in Spagna. Parlare di “identità” che si vogliono cancellare è blasfemia “statale” perseguibile in termine di legge.

Quale il destino dei vari gruppi “Sicilianisti”? Nelle condizioni attuali, così come in più occasioni si è verificato, è quello di essere strumentalizzati da questa o da quella compagine politica “ufficiale” a caccia di voti spiccioli, nel miraggio di un futuro diverso. Le contraddizioni che, poi, animano questi gruppi sono un altro limite, al momento, non superabile. Basti, come detto, annotare il “numero” dei gruppi e gruppuscoli sparsi sul territorio. Una prima classificazione l’abbiamo grazie al professore Salvatore Musumeci nel suo libro “Tra Separatismo e Autonomia”: Fronte Nazionale Siciliano, Rifondazione del MIS, Fronte Giustizialista Siciliano, Terra e Liberazione, Unione Popolare Siciliana, Movimento Rinascita Siciliana, Sud in Movimento, Noi Siciliani-FNS, Alleanza per la Sicilia Democratica nel Mondo, Partito Siciliano d’Azione, Federalisti Comunisti Noi Siciliani, L’Altra Sicilia, Nuova Sicilia e Patto per la Sicilia, Federalisti Siciliani, Partito del Popolo Siciliano, Alleanza Siciliana, Lega per l’Indipendentismo della Sicilia. A questi gruppi si aggiungono altre sigle: Siciliani Liberi, Sicilia in Movimento, I Nuovi Vespri, Sicilia Nazione, Movimento di Liberazione Nazionale, Avanguardia Giovanile Siciliana, Movimento Separatista Siciliano, Movimento Nazionale Siciliano… Chissà quante altre sigle sfuggono all’attenzione.

Se le istanze che questi gruppi Indipendentisti fossero prese sul serio, se le loro azioni sfociassero in qualcosa di concreto come è avvenuto in Catalogna, lo scenario che si potrebbe presentare in Sicilia probabilmente sarebbe diverso. Ora come ora non consideriamo errato parlare di folklore… e non c’è da stupirsi se nella mappa dei “separatismi” europei la Sicilia non è citata…

Per completare il quadro presentiamo una sintetica carrellata di nostri articoli nei quali abbiamo trattato la questione dell’Indipendentismo Siciliano (dopo la photogallery)


Edward Luttwak rilancia il separatismo siciliano

18 agosto 2015

 

di Salvo Barbagallo

 

Da tempo ha casa a Bagheria e fa la spola con gli Stati Uniti d’America, ma in Sicilia (da tempo) è passato e passa (quasi) inosservato. Se non fosse stato per una (pseudo) polemica insorta con Pietrangelo Buttafuoco (lo confessiamo) non avremmo avuto modo di leggere un bel servizio di Enrico Deaglio sul “Venerdì” di Repubblica che parla del personaggio che “vive” in Sicilia e, soprattutto, perché “è e resta” in Sicilia: parliamo di Edward Luttwak, un nome che (purtroppo) ai più non dice nulla.

Chi è Edward Nicolae Luttwak? Basterebbe prendere le prime righe di Wikipedia per incominciare a darsi una risposta: Edward Nicolae Luttwak (Arad, 4 novembre 1942) è un economista, politologo e saggista romeno naturalizzato statunitense, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e politica estera, esperto di politica internazionale e consulente strategico del Governo americano. E noi non vorremmo andare oltre a parlare di questo personaggio che si dice “lavori” per la CIS, se non fosse per l’intervista di Deaglio nel corso della quale Luttwak afferma di “essere l’unico ad avere la ricetta per la Sicilia”, spiegando anche come uscire dal degrado dove si trova immersa l’Isola e i suoi abitanti.

Cosa dice di “interessante” il politologo “made in Usa”? Ascoltate, ascoltate, o leggete (che è meglio) in cosa consiste la “ricetta” per i Siciliani: “E’ semplice. Rialzando con orgoglio il loro vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma. Non vogliono più un soldo da chi li ha asserviti e distrutti. Il loro capo – che vedrei bene indossare un elmetto – prima di tutto dichiara che in ogni caso non vorrà essere rieletto, poi procede al licenziamento di tutti i dipendenti pubblici della Regione. Sarà riassunto solo chi ha intenzione di lavorare. Viene dato spazio all’iniziativa privata, al commercio, al turismo, alla cultura. Viene incoraggiato il co-investimento. Vengono ristrutturati i porti eliminando la burocrazia, viene alacremente costruito un hub portuale internazionale nella piana di Enna. L’isola non sarà più governata dalla mafia, dalla politica, dal Calogero Sedera, ma dai siciliani veri, compresi i suoi nobili, come ai tempi di Federico II. E di nuovo stupirà il mondo”.

Bisognerebbe analizzare parola per parola, quanto dichiarato da Luttwak per “cercare” di comprendere veramente cosa possa significare questo discorso, quale “messaggio” sia stato inviato, e a chi questo “messaggio” è indirizzato. Per noi le affermazioni di Luttwak sono un “messaggio” e, quindi, non dovremmo “perdonare” a Enrico Deaglio il suo commento: “La dichiarazione di indipendenza siciliana del professore Luttwak ha un tratto surreale…”. Per noi ciò che ha detto Luttwak è estremamente inquietante, tenuto conto che quanto normalmente esprime ha senso e valenza. Non è semplice “spiegare” a chi non conosce “le cose siciliane”, cioè la Sicilia nel suo passato, nel suo presente e…nel suo futuro. Diamo qualche indicazione, con cautela: non si sa mai…

Passato. Il contenuto del discorso di Luttwak non è un inedito: basta andare a rileggersi “La Sicilia ai Siciliani”, scritto in clandestinità e in chiave antifascista nel 1943, dal professore Antonio Canepa, (assassinato nel territorio di Randazzo nel giugno del 1945) per trovare le stesse indicazioni date oggi dal politologo “made in Usa”. La “ricetta” indipendentista è stata sempre a portata di mano!

Presente. Il presente si trascina dal 1950: l’occupazione di spezzoni del territorio isolano da parte di forti contingenti militari statunitensi altamente specializzati.

Futuro. La definitiva installazione del MUOS, sistema elettronico di controllo mondiale delle comunicazioni.

Luttwak (e Deaglio?) è sicuramente consapevole che, comunque, c’è una memoria storica che può far venire a galla episodi posti attualmente in archivi profondi, così come è sicuramente a conoscenza che numerosi sono i gruppi indipendentisti che operano in Sicilia, anche se ora appaiono scollegati e in contrasto fra loro: il “sentimento” indipendentista è reale e, nelle condizioni attuali, può tornare utile “pilotarlo”. Può essere, in ogni modo, una “carta di riserva” per qualsiasi eventualità. Anche questa possibile “eventualità” non sarebbe un “inedito”: basterebbe ricordare quanto si verificò in Sicilia alla fine degli anni Settanta: movimenti “separatisti” (forse anche armati) in contrapposizione, alcuni foraggiati dagli Stati Uniti d’America, altri dall’allora leader libico Gheddafi. L’obbiettivo identico: l’indipendenza della Sicilia! Poi, tutto rientrò nella cosiddetta normalità. Ogni evento, infatti, è rapportato alla condizione socio-politico-militare del momento che si vive. E la “condizione” che vive oggi quest’area della Terra, l’area del Mediterraneo, non può certo definirsi ottimale.

Per conto di chi parla Edward Nicolae Luttwak, e perché la sua presenza in Sicilia è diventata stabile (o quasi)? Sappiamo bene che in questo scacchiere mediterraneo la Sicilia occupa un posto primario: la presenza militare USA ne è una facile dimostrazione. L’autorevolezza di Luttwak in merito alle questioni internazionali è ampiamente riconosciuta e nulla accade a caso: alimentare in questo delicato momento politico italiano la voglia d’indipendenza innata nei Siciliani ha, dunque, uno scopo?


Sicilia, un’isola che serve

19 agosto 2015

di Salvo Barbagallo

 

La Sicilia è un’isola che serve. A tanti.

La Sicilia è stata, è, e resterà costantemente al centro di interessi internazionali, pochi Siciliani lo sanno, la maggior parte dei Siciliani ignora cosa accade a casa loro, vinti dall’indifferenza e dall’apatia per mancanza di strumenti validi per contrapporsi alle malefatte di una classe di governanti che non cura il benessere della collettività. C’è una voglia generalizzata di essere “indipendenti” che non riesce a emergere, anche se una serie di micro organismi associativi opera (maldestramente) per rinverdire un sentimento atavico che cova sotto le ceneri delle speranze bruciate. Non si tratta soltanto del represso desiderio di riscatto, ma della necessità di reagire che stenta ad affiorare per la mancanza di una “guida” credibile che sappia indirizzare verso una concreta progettualità di vero “cambiamento” che smascheri il continuo “mutamento” trasformista.

E’ un momento “interessante” quello che sta vivendo attualmente la Sicilia: potrebbe verificarsi nei Siciliani un imprevisto “risveglio” d’orgoglio che potrebbe trasformarsi in reale “pericolo” per coloro che vogliono mantenere l’Isola nelle condizioni in cui si trova da decenni. Un “risveglio” spontaneo sarebbe difficile da controllare, e la storia (dimenticata) ne ha dato prova, quando nel 1944 (Italia ancora in guerra, Sicilia occupata dagli angloamericani) esplose con oltre cinquecentomila iscritti la forza del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Per annullare quella spinta spontanea furono necessarie repressioni, intrighi, omicidi e una (pseudo) concessione forzata di Autonomia. Certo, i tempi sono diversi, ma il timore (o il terrore) di un possibile risveglio in chi segue per professione (analisti politici e militari) le vicende siciliane, il timore (o il terrore) c’è. A fronte di questo timore (o terrore) quanti (analisti politici e militari) stanno studiando l’attuale situazione siciliana? E quanti preventivamente stanno programmando un piano per contrastare (o favorire) una eventualità del genere? Sono interrogativi che in pochi (?) si pongono, mentre per molti (?) i “wargames” sono pane quotidiano professionale. Ecco perché, a nostro avviso, l’intervista che Edward Nicolae Luttwak ha rilasciato a Enrico Deaglio ( su “Venerdì” di Repubblica) risulta inquietante.

Troppi elementi espressi da Luttwak nel contesto del colloquio con il giornalista fanno presupporre che l’esperto di politica internazionale e consulente strategico del Governo americano (e presunto uomo della CIA) abbia espressamente lanciato un sasso nello stagno: per smuovere le acque torbide, o con altra finalità? Siamo stati sempre convinti che nulla accade a caso, convinti anche che un personaggio come Luttwak non parli per semplice narcisismo, o tanto meno per fornire qualche elemento sul quale qualcuno possa soffermarsi a riflettere, o (ancora più superficialmente) per dare qualche indicazione di natura autobiografica. Su quest’ultimo aspetto (autobiografico), fra le righe dell’intervista a Deaglio, apprendiamo che il padre di Luttwak giunse a Bagheria nel 1943 a seguito (con quale ruolo?) delle truppe del generale Patton, per ritornarvi nel 1947 e intraprendervi attività commerciale. Bagheria – luogo dell’infanzia – è la cittadina dove attualmente Edward Luttwak risiede facendo la spola con gli Stati Uniti d’America. Queste “origini” del politologo già dovrebbero mostrare qualcosa. Cosa?

Sono alcuni flash nell’intervista che meritano attenzione. Luttwak afferma: “…io li ho vissuti i tempi dell’indipendentismo e del bandito Giuliano. Mio padre ci portava la domenica a prendere l’aria fresca a Montelepre…”. Edward Luttwak è nato ad Arad il 4 novembre del 1942: cosa ha vissuto dell’indipendentismo siciliano o di Giuliano? Ricordi? Forse il padre era addentro alle segrete cose?

Elementi biografici a parte, è la risposta che Luttwak dà alla domanda di Deaglio riferita agli USA – “E adesso la Sicilia è ancora la portaerei del Mediterraneo?” – che non convince e che potrebbe far mettere in discussione la sua buona fede: “No. Finito. Gli Stati Uniti si sono disimpegnati dal Mediterraneo e dal Medio Oriente, gli interessi americani oggi sono in Asia. Si, certo, resta la base di Sigonella. Che poi non è così importante…”. Ma Luttwak chi vuol prendere per i fondelli?

Una buccia di banana, o un maldestro tentativo di disinformazione quest’ultima affermazione? No, forse qualcosa d’altro… Edward Luttwak non scivola su bucce di banane e se vuol fare disinformazione lo farebbe senza che qualcuno se ne potesse accorgere.

Analizziamo questa frase in alcune sue parti. “…Gli Stati Uniti si sono disimpegnati dal Mediterraneo e dal Medio Oriente…”: affermazione eclatantemente bugiarda e volutamente falsa. Perché? Di certo non per farsi dire che è ignorante: Luttwak ignorante non è! Allora?

“… Si, certo, resta la base di Sigonella. Che poi non è così importante…”. Stessa osservazione di prima: quanto afferma Luttwak è eclatantemente bugiardo e volutamente falso. Perché? L’importanza della Naval Air Station USA di Sigonella è nota in tutto il mondo: oltre a essere il più grande deposito di materiale bellico statunitense in questa parte del globo, e punta avanzata del sistema difensivo USA nel sud, ha in attività al suo interno i micidiali Global Hawk (i droni senza pilota fortemente armati), ha in allestimento a pochi passi, a Niscemi, il temibile MUOS (il più moderno sistema elettronico mondiale di controllo delle comunicazioni e altro), resta sempre la base di approvvigionamento della Sesta Flotta di stanza nel Mediterraneo dal dopoguerra ad oggi.

Ma Luttwak sa bene che la presenza USA non è circoscritta a Sigonella e Niscemi: c’è la base navale di Augusta dove i lavori segreti per allargare i depositi di armi (anche nucleari?) non finiscono mai, ci sono tante altre installazioni USA sparpagliate nei posti più impensati della Sicilia. Perché, dunque, Edward Luttwak sminuisce (apparentemente) presenza e interessi USA in Sicilia e, poi, suggerisce una possibile secessione dell’isola?

La Sicilia è un’isola che serve, che è indispensabile agli americani. Se Edward Nicolae Luttwak suggerisce qualcosa (a chi?) sicuramente non lo fa per proprio tornaconto. E’ un discorso che porta lontano, riflessioni che meritano ulteriori approfondimenti. Come lo stesso luogo dove risiede, Bagheria…


Ancora oggi la parola “indipendentismo” allarma

20 settembre 2015

di Salvo Barbagallo

 

Se pronunciate la parola “indipendenza” nel contesto di un Paese che presenta instabilità, allora noterete che negli ambienti governativi o politici si crea subito preoccupazione, a volte anche allarmismo. Ma che significa, in fondo, questa parola che può suscitare reazioni a vari livelli e magari contrastanti? I dizionari mostrano diverse sfaccettature del termine “indipendenza”: il Sabatini Coletti per “indipendenza” indica la “Libertà di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà”, il Treccani come la “Condizione di chi o di ciò che è indipendente, riferito sia a stato o nazione, sia a persona, sia a cose, fatti, ecc”, il Garzanti come “La condizione di chi non dipende da altri”, insomma la “Capacità di sussistere e di operare in base a principi di assoluta autonomia”. Da “indipendenza” a “indipendentismo”, il passo è facile. Indipendentismo? I dizionari lo indicano come “atteggiamento” o come “orientamento”: “Orientamento di coloro che propugnano l’indipendenza della propria nazione, del proprio territorio o del proprio partito politico” (dizionario Hoepli).

In realtà più che un atteggiamento o un orientamento è un “sentimento” radicato in quanti aspirano a una “indipendenza” (quale che sia, e nei livelli socio-economici-militari di un territorio che non è considerato o non si “sente” sovrano. Ebbene le parole “indipendenza, indipendentismo” suscitano allarme, così come sta avvenendo in questi giorni in Spagna dove in Catalogna fra sette giorni si vota e dove i “secessionisti” sono dati per favoriti: la Confederazione Casse di Risparmio (Ceca) e l’Associazione della Banca (Aeb), le due grandi associazioni del settore bancario spagnolo, hanno minacciato (diramando una nota congiunta) di ritirarsi dalla Catalogna se diventerà indipendente. Le due banche chiedono che “venga tutelato l’ordine costituzionale” spagnolo e “l’appartenenza alla zona euro di tutta la Spagna”. Barcellona il prossimo 27 settembre giunge a un voto che può rappresentare l’inizio del processo di indipendenza del territorio regionale che verrà trasformato in un nuovo Stato, nonostante l’opposizione di Madrid. Il governo spagnolo, infatti, ha negato il referendum sull’indipendenza, bollandolo come anticostituzionale e Barcellona ha dovuto rinunciare al voto esplicito sul proprio futuro, il presidente catalano uscente, Artur Mas, ha però aggirato l’ostacolo trasformando le imminenti elezioni regionali in un pronunciamento sull’indipendenza. Con la nascita di un nuovo Stato, l’adesione della Spagna all’Unione Europea andrebbe ridiscussa, così come si verificò per i Paesi balcanici che hanno chiesto di entrare nell’Ue. L’indipendenza della Catalogna costituisce un “pericolo” immanente: c’è il rischio concreto che l’esempio catalano possa trovare molti imitatori, a partire dai baschi. La Spagna, se nelle elezioni del 27 dovesse passare l’indirizzio secessionista (e i sondaggi vanno in questa direzione) rischia di esplodere.

In Italia la questione dell’indipendentismo è stata posta poco tempo addietro per quanto attiene la situazione di degrado politica ed economica della Sicilia dal politologo (e altro) americano Edward Luttwak in un’intervista concessa a Enrico Deaglio sul “Venerdì” di “Repubblica”. Luttwak esordisce con una frase inquietante: “…Io sono l’unico ad avere la ricetta perfetta per la Sicilia” e i Siciliani. Come? “E’ semplice. Alzando con orgoglio il vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma (…)”. Certo, occorre “tirare la cinghia e risorgere, sotto un capo, un nuovo Federico II (…)”.

Apparentemente l’intervista a Edward Luttwak è passata inosservata: al messaggio, all’invito o alla provocazione del politologo (le dichiarazioni di Luttwak, ovviamente, vanno interpretate) non c’è stato (sempre apparentemente) alcun riscontro, nessuno (sempre apparentemente) ha mostrato un interesse. Eppure un personaggio come Edward Luttwak non parla mai a caso, né mai si esprime a caso: una ragione, alla radice di questa intervista (notando anche chi è l’intervistatore) deve pur esserci.

La Sicilia non è la Catalogna. Anche se il “sentimento” dell’indipendenza non si è mai spento, nei Siciliani la spinta verso la propria “sovranità” si è addormentata settant’anni addietro, quando venne concessa alla regione un’Autonomia Speciale che nessun governante siciliano ha mai applicato (forse per un “patto occulto” con lo Stato Italia). L’idea dell’indipendenza oggi sopravvive in decine di gruppuscoli sicilianisti, l’uno in contrasto con l’altro per mancanza di una leadership unica, credibile e affidabile. Oggi non c’è in Sicilia un nuovo Federico II. In Catalogna il movimento indipendentista è stato costantemente in grado di far sentire la propria voce tanto da incutere paura. In Sicilia oggi non incute più paura neanche la mafia, continuamente mitizzata perché torna utile tenerla come paravento quando si presentano fatti di corruzione e malaffare criminale che possono essere collegati alla politica. Se qualche entità estranea ritenesse altrettanto utile rispolverare il mito dell’indipendenza siciliana quale comodo spauracchio (contro chi?), allora (statene certi) l’argomento “indipendenza siciliana” tornerà a rivivere. Ma questo è un rischio che difficilmente si può correre: in fondo, i Siciliani, potrebbero (finalmente e magari) prendere coscienza della loro condizione di sudditanza e del loro degrado. E, chissà, potrebbero approfittarne…


Se la Sicilia “non è” dei Siciliani, di chi è?

13 Agosto 2017

di Salvo Barbagallo

 

La Sicilia interessa anche ai Siciliani? Naturalmente non ci riferiamo a quei siciliani che occupano posti di governo o di potere, i quali sanno sfruttare bene (molto bene) tutte le possibili risorse dell’Isola. Ci riferiamo invece ai milioni di Siciliani che sono i veri titolari del loro territorio e che, purtroppo, nulla o poco (molto poco) fanno per cambiare il destino della loro Terra.

L’interrogativo “La Sicilia interessa anche ai Siciliani?” nasce da una constatazione che ci tocca direttamente: un nostro articolo, “Crocetta fa rivoltare i morti nella tomba”, pubblicato (e visibile) su questo giornale, ha superato il tetto delle diecimila visite ed è vicino al tetto delle undicimila visite. Certo ben poca cosa a fronte delle migliaia e migliaia (e anche centinaia di migliaia) di visite che altri quotidiani online hanno. C’è da dire, innanzitutto, che La Voce dell’Isola è un giornale di “nicchia”, un giornale d’opinione e non di stretta cronaca; c’è da dire che La Voce dell’Isola non è supportata dai mezzi (economici) necessari per incrementare sui social e sui motori di ricerca il flusso dei visitatori; c’è da dire che La Voce dell’Isola si basa sul volontariato non retribuito di chi vi scrive e degli stessi tecnici che lo aggiornano; c’è da dire che La Voce dell’Isola non usa “tecniche” tipo il “clickbaiting” (titoli “esca” fuorvianti e spesso apocalittici) per attirare visitatori; c’è da dire che La Voce dell’Isola, infine, non fa favori a nessun politico o potentato economico.

Dette queste cose, consequenziali sono le considerazioni su questo inatteso flusso di lettori sull’articolo in questione.

L’articolo e il titolo “Crocetta fa rivoltare i morti nella tomba” sono riferiti a un fatto di “cronaca” e a un fatto di “storia” contemporaneamente. La “cronaca” ci mostra l’uso che il Presidente uscente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, sta facendo in campagna elettorale (con tanto di manifesti sparsi nelle città dell’Isola e nel sito politico) di una frase non sua, “La Sicilia ai Siciliani”. La “storia”: la frase “La Sicilia ai Siciliani” è dell’antifascista e indipendentista Siciliano Antonio Canepa, assassinato il 17 giugno del 1945 nelle campagne di Cesarò/Randazzo. La frase in questione è ampiamente documentata (e documentabile) perché è il frontespizio di un libretto stampato clandestinamente negli Anni 43/44 in periodo di dittatura fascista e in periodo di occupazione angloamericana della Sicilia. Su questi punti qualsiasi discussione diventa superflua.

L’interrogativo che noi ci ponevamo (quello se “la Sicilia interessa anche ai Siciliani”) era riferito al flusso dei lettori dell’articolo indicato, con provenienza quasi al 100 per 100 dalla Sicilia. Un interesse per il fatto di “cronaca” riferito a Crocetta, o un interesse per la circostanza “storica” messa in evidenza che intendeva ricordare in maniera inequivocabile Antonio Canepa? Quale che sia la risposta consideriamo il notevole numero di lettori un “avvenimento” positivo: l’interesse suscitato nei Siciliani ha sicuramente una sua valenza, un suo significato. Per noi che quotidianamente cerchiamo di dare ai nostri lettori opinioni libere non condizionate da direttive estranee ed esterne, vedere risvegliare nei Siciliani lo stimolo dell’interesse per le “cose” di Casa nostra, è un “fatto” importante. Se questo stimolo si moltiplicasse proporzionalmente, potremmo dedurre che non tutto è perduto, che si stanno incominciando a sciogliere indifferenza e immobilismo., i principali due elementi negativi che hanno consentito (e consentono ancora) a pochi di approfittare (in maniera esclusiva) di ciò che è di tutti i Siciliani. La Sicilia è infatti “di tutti i Siciliani”, così come la intendeva Antonio Canepa e non come la intendono i falsi profeti contemporanei.

La Sicilia ai Siciliani? Solo se i Siciliani lo vogliono, se si risvegliano dal loro torpore, solo se sanno far valere le loro “ragioni” senza lasciarsi infinocchiare da chi predica bene (apparentemente) e razzola male, molto male…

Ultimo appunto: “la Sicilia ai Siciliani”. Sic. Ma se – come si dovrebbe desumere dalla frase di Antonio Canepa, “strumentalizzata” da Crocetta – la Sicilia “non è” dei Siciliani, di chi è la Sicilia?


Che fine ha fatto Edward Luttwak “il Siciliano”?

1 dicembre 2017

di Salvo Barbagallo

 

Chissà perché ci è venuto in mente il nome di Edward Luttwak nell’occasione della presentazione da parte del presidente Nello Musumeci della “squadra” del nuovo governo della Regione Siciliana. Forse perché qualche tempo addietro Luttwak aveva spontaneamente offerto la “ricetta” per fare uscire la Sicilia dal pantano in cui da decenni la “politica” l’ha immobilizzata. O forse perché il neo governatore Musumeci continua a battere sulla sua espressione preferita “Diventerà Bellissima”, convinto nella possibilità di un radicale cambiamento. O forse perché nel crogiolo del nuovo governo della Sicilia si potrebbero riscontrare (?) simpatie di antichi e dimenticati Regimi, o idee di inedite forme di indipendentismo, o di rinverditi impulsi massonici? Simpatie, idee o opinioni di certo non possono (e non devono) essere “censurate” soprattutto quando sono, appunto, “simpatie”, almeno fino a quando ci consideriamo un Paese “democratico”, e almeno fino a quando le simpatie restano tali. Perché, dunque, un richiamo a Edward Luttwak del quale si sono perdute da tempo le “tracce Siciliane”?

Ma intanto chi è Luttwak e cosa ha che vedere con la Sicilia? Chi è Edward Nicolae Luttwak? Basterebbe prendere le prime righe di Wikipedia per incominciare a darsi una risposta: Edward Nicolae Luttwak (Arad, 4 novembre 1942) è un economista, politologo e saggista romeno naturalizzato statunitense, conosciuto per le sue pubblicazioni sulla strategia militare e politica estera, esperto di politica internazionale e consulente strategico del Governo americano. Questo personaggio si dice che abbia lavorato e collabori ancora con la CIA. Luttwak da tempo ha casa a Bagheria e fa la spola con gli Stati Uniti d’America, ma in Sicilia (da tempo) è passato e passa (quasi) inosservato, qualche volta la sua presenza è stata segnalata a Sigonella, ma da un paio d’anni sembra essere scomparso.

Il “caso” Luttwak venne all’attenzione nell’estate del 2015 a seguito di una polemica insorta con Pietrangelo Buttafuoco e a seguito di un reportage di Enrico Deaglio sul “Venerdì” di Repubblica che parlava di questo personaggio, del perché “vivesse” in Sicilia e perché mantenesse la sua residenza in Sicilia, a Bagheria, un territorio che, fra le altre cose, appare spesso sulle cronache dei mass media per la presunta presenza del boss latitante Matteo Messina Denaro. È nell’intervista a Enrico Deaglio che Luttwak offriva ai Siciliani la sua ricetta per salvare l’Isola: Cosa diceva di “interessante” il politologo “made in Usa”? Ecco in che cosa consisteva la “ricetta”: “È semplice. Rialzando con orgoglio il loro vessillo indipendentista sanguinante, i siciliani si riuniscono in assemblea e dichiarano la loro separazione da Roma. Non vogliono più un soldo da chi li ha asserviti e distrutti. Il loro capo – che vedrei bene indossare un elmetto – prima di tutto dichiara che in ogni caso non vorrà essere rieletto, poi procede al licenziamento di tutti i dipendenti pubblici della Regione. Sarà riassunto solo chi ha intenzione di lavorare. Viene dato spazio all’iniziativa privata, al commercio, al turismo, alla cultura. Viene incoraggiato il co-investimento. Vengono ristrutturati i porti eliminando la burocrazia, viene alacremente costruito un hub portuale internazionale nella piana di Enna. L’isola non sarà più governata dalla mafia, dalla politica, dal Calogero Sedera, ma dai siciliani veri, compresi i suoi nobili, come ai tempi di Federico II. E di nuovo stupirà il mondo”.

Due anni addietro apparvero inquietati le parole di Edward Luttwak. Ci si chiedeva per conto di chi parlasse, e perché la sua presenza in Sicilia fosse diventata stabile (o quasi)? Sapevamo (e sappiamo anche oggi) che in questo scacchiere mediterraneo la Sicilia occupa un posto primario: la massiccia presenza militare USA ne era e ne è una facile dimostrazione. L’autorevolezza di Luttwak in merito alle questioni internazionali era ampiamente riconosciuta: alimentare la voglia d’indipendenza innata nei Siciliani poteva avere uno scopo?

Poi Edward Luttwak è scomparso. Oggi c’è un nuovo Governo alla Regione e ci sono tante “simpatie” per fare diventare “Bellissima” questa Sicilia: c’è da sperare o da disperare?


Costituzione Italiana nata sul fuoco dell’Indipendentismo siciliano

25 Dicembre 2017

di Salvo Barbagallo

Fra 48 ore (il 27 dicembre) la Costituzione Italiana compirà settanta anni. Qualcuno ricorderà questa fondamentale data per il Paese, sicuramente il Capo dello Stato Sergio Mattarella che, unitamente alla ricorrenza, avrà ben viva nella memoria anche l’intera storia che ha preceduto la nascita dell’Italia/Repubblica, e come si è giunti alla Carta costituzionale. Basterebbe semplicemente ricordare, infatti, che lo Statuto Speciale Autonomistico Siciliano fa parte integrante della Costituzione Italiana per “giustificare” una serie di riflessioni che oggi (solo se si volesse) potrebbero far comprendere tanti e tanti eventi che hanno caratterizzato nel corso dei decenni la vita dello Stato/Italia, compresi quelli riguardanti la “trattativa” con i poteri mafiosi.

All’indomani dell’offuscata celebrazione cristiana del Natale, con una collettività che sta perdendo pure i valori del Cristianesimo, purtroppo, riteniamo non susciti grande interesse discutere su ciò che ha significato e significhi la Costituzione Italiana, nonostante che un Referendum abbia sancito che non debba toccarsi, e nonostante che qualche “illuminato” (leggasi Napolitano) dica ancora che può essere “revisionata”.

Nell’occasione della Festa della Repubblica, il 2 giugno scorso, sei mesi addietro, scrivevamo: La Storia è “Storia” e Storia resterà anche se si cerca di cancellare la memoria: i fatti restano fatti, anche se, poi, a distanza di giorni o di decenni si “interpretano” a seconda dei “punti di vista” o degli “opportunismi” del momento. Non diciamo nulla di nuovo, non vogliamo scoprire l’acqua calda, né, di certo, siamo animati da “spirito antinazionalista”, ma di certo non possiamo non notare come ad ogni ricorrenza importante – come è quella del 2 Giugno – si faccia di tutto per ignorare cosa ha preceduto quell’importante data per l’Italia, e ignorare come è nata la Repubblica Italiana. Meno di un mese addietro la Sicilia ha festeggiato la sua “Autonomia Speciale”: una “festa” tenuta quasi in sordina come se gli attuali governanti la Regione se ne vergognassero, o come se considerassero il ricordo della “ricorrenza” un “atto dovuto”, e nulla più.

Era il 15 maggio del 1946 quando Re Umberto II firmava lo Statuto Autonomistico della Regione Siciliana con Decreto Luogotenenziale n° 155 (l’Italia era ancora una monarchia retta dal “Luogotenente” Umberto di Savoia). L’approvazione dello Statuto fu il patto politico che mise fine ai disordini ed alle rivolte che sin dal 1944 agitavano la Sicilia e che avevano anche portato alla creazione dell’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia). In quella data la Repubblica Italiana non era ancora nata. Lo Statuto Siciliano divenne poi parte integrante della Costituzione Italiana a seguito della Legge Costituzionale n° 2 del 26 febbraio 1948.

E in merito non occorrerebbe aggiungere altro, per evitare di essere ripetitivi, ma ci sembra opportuno sottolineare che questa “storia Siciliana” il Capo dello Stato Sergio Mattarella la conosce approfonditamente e (a nostro avviso) ne dovrebbe tenere conto nell’esercizio del suo ruolo istituzionale per “ricordarla” alle nuove generazioni.

Le riflessioni, comunque, possono portare lontano, come da lontano possono partire considerando avvenimenti in corso, come quelli che riguardano la Catalogna o la Corsica o la Scozia, solo per citare alcuni territori: la richiesta della “riappropriazione” della propria “identità” storica e culturale, cioè la netta contrapposizione alla globalizzazione intesa come “annullamento” delle “identità”. Quella globalizzazione (se amassimo le teorie del complottismo) il cui seme venne innescato (forse sperimentalmente?) dopo l’ultimo conflitto mondiale proprio in Italia…

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