E’ morto a Catania Antonio Pallante, nel ’48 sparò a Togliatti

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E’ morto a Catania Antonio Pallante, l’attentatore di Palmiro Togliatti, contro cui esplose 3 colpi di pistola il 14 luglio 1948, riducendo in fin di vita il leader del partito comunista italiano, in compagnia di Nilde Iotti, nei pressi della Camera dei deputati. Un attentato che portò l’Italia sull’orlo della guerra civile, con lo stesso leader comunista, che dal letto dell’ospedale, invitò alla calma, mentre iniziavano scontri nelle piazze antifasciste. Pallante, nato in Irpinia il 3 agosto del 1923, è scomparso lo scorso 6 luglio, per complicazioni respiratorie, nella sua casa del capoluogo siciliano. La notizia del decesso era stata finora tenuta riservata da parte dei suoi due figli.Antonio Pallante rilasciò il 17 gennaio del 2021 all’AdnKronos la sua ultima intervista. Nel corso di quella conversazione rivendicò le motivazioni “ideali” del suo gesto, che descrisse come patriottico, per mettere l’Italia al riparo dal comunismo “evitando alla nostra nazione di finire sotto il tallone del comunismo”.

L’INTERVISTA

“Non sono pentito – dice il 97enne Antonio Pallante all’AdnKronos -. Ho pensato che fosse la cosa giusta da fare per salvare il Paese”. Non ha dimenticato quasi nulla di quel 14 luglio del 1948. Eppure Antonio Pallante quando premette il grilletto della sua calibro 38 a tamburo ne aveva solo 24. Era uno studente fuoricorso di giurisprudenza a Catania, già simpatizzante del ‘Fronte dell’Uomo Qualunque’, ma soprattutto, un giovane ossessionato dalla paura del comunismo in Italia. E non si è mai pentito.

Lui si immagina di poter dare una svolta al paese, nei suoi ricordi, spiega come bruciasse il rancore per i comunisti: “Al nord i partigiani rossi, specialmente nel famigerato triangolo della morte ma non solo, avevano eliminato sistematicamente chi non la pensava come loro”. “Massacrarono partigiani bianchi, preti, possidenti”, dice puntando il dito contro i comunisti. A Togliatti, poi, Pallante rimprovera un’altra cosa: “Quella pagina terribile, emersa negli anni in tutta la sua tragicità, sui soldati dell’Armir, catturati dall’armata rossa e mandati a morire a migliaia nei campi di concentramento sovietici senza che ‘il Migliore’ muovesse un solo dito per aiutarli”, una vicenda che il figlio del forestale di Randazzo definisce con una sola parola, “mostruosa”.

“C’era in ballo – si accora ancora – la sorte della mia patria: la libertà contro la dittatura”. E noi “eravamo a un bivio” che “nella mia coscienza aveva un significato epocale, si doveva scegliere tra il bianco o il nero, la vita o la morte, il di qua o di là definitivi e irrevocabili”. Sparare a Togliatti, ribadisce, gli sembrava la soluzione, la sua scelta di campo.

“Certo, a quell’età – dice a distanza di quasi 73 anni dagli spari che fecero disperare Iotti, che gridò ‘hanno ammazzato Togliatti’, dando poi vita alla reazione popolare, che lasciò senza vita nelle piazze italiane almeno 30 vittime – si è ingenui e solo un ingenuo, idealista come me, poteva pensare che eliminato Togliatti avrei risolto i problemi dei miei connazionali, ma io ci credevo”. “Avevo davanti dei modelli, modelli che hanno illuminato tutta la mia vita e che ancora adesso mi riempiono di entusiasmo”.

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