Dell’Utri per la prima volta in aula nel processo Trattativa Stato-Mafia

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A sorpresa si è presentato per la prima volta in aula, al processo d’appello per la trattativa Stato-mafia, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, imputato per minaccia a corpo politico dello Stato. Oggi i Pg Carlo Barbiera e Giuseppe Fici inizieranno la requisitoria del dibattimento presieduto da Angelo Pellino. In primo grado Dell’Utri era stato condannato a dodici anni di carcere. L’ex manager di Publitalia, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa dai giudici di Palermo, ha finito di scontare la sua pena nel 2019. Avvicinato dall’Adnkronos ha preferito non parlare. “I miei avvocati mi dicono di non dire niente…”, si limita a dire.

 “Da ciò che è emerso nel corso del lungo dibattimento possiamo ricavare una certezza: che negli anni un cui si sono verificati i fatti nella risposta al crimine organizzato da parte degli organi preposti qualcosa non ha funzionato per come avrebbe dovuto funzionare. Ci si riferisce, è bene essere espliciti, a comportamenti opachi e anche delittuosi, è bene dirlo, da parte di appartenenti allo Stato di soggetti alcuni dei quali sono rimasti nell’ombra”. Con queste parole il sostituto procuratore generale di Palermo Giuseppe Fici ha iniziato la requisitoria.

“C’è qualcuno in quest’aula che dubita dell’esistenza di menti raffinatissime, di mandanti occulti, di ‘pupari'” dietro le stragi mafiose del 1992?” ha detto ancora Giuseppe Fici : “Durante la discussione finale non ripeteremo frasi come ‘Fuori la mafia dallo Stato’, ma è evidente che in questo processo sono emerse alcune scelte di politica criminale e alcune incomprensibili omissioni, guidate da logiche rimaste estranee al corretto circuito istituzionale, ovvero alle corrette dinamiche democratiche”.

“In un processo penale sono importanti i fatti provati e non le suggestioni e, tuttavia, è molto difficile restare del tutto insensibili a ciò che in questa terra si sa da decenni – ha proseguito il pg Giuseppe Fici: “Tutti lo sanno, vox populi vox dei, espressione medievale che non si addice ai crismi del giusto processo, posto che le opinioni e i giudizi del popolo non possono essere ritenuti, in quanto tali, giusti e veri. E, tuttavia, come non tornare a quello che gridava con toni disperati una moltitudine di cittadini ai funerali di Falcone, Borsellino?”. “Come non ricordare la rabbia esasperata dei colleghi degli agenti di scorta uccisi nelle stragi di Capaci e in via d’Amelio? – prosegue il magistrato – Avevano intuito qualcosa evidentemente e avevano persino aggredito il Capo della polizia Parisi, rischiando che la rabbia travolgesse anche l’allora Capo dello Stato Scalfaro. Noi non ripeteremo oggi frasi come ‘Fuori la mafia dallo Stato’ (il grido di battaglia delle Agende rosse ndr) ma possiamo dire che vicende di questo processo ci hanno fatto capire che furono fatte alcune scelte di politica criminale e alcune attività, ovvero incomprensibili omissioni, sono state guidate da logiche rimaste estranee al corretto circuito istituzionale”. E poi sottolinea: “E’ sufficiente ricordare che l’ex Capo dello Stato Ciampi pensava a un colpo di Stato, oppure l’ex Capo della Polizia Parisi fece uso di una segnalazione del Sisde sicuramente falsa”.

Nella presunta trattativa tra Stato e mafia c’è chi ha “agito al di fuori degli schemi ritardando e distruggendo le prove, falsificando le prove, favorendo e depistando”: questo è l’atto di accusa del sostituto procuratore generale di Palermo Giuseppe Fici: “Sono decine gli inviti a tentare di fare chiarezza, basta ricordare l’intervista fatta ieri dal vicequestore aggiunto Manfredi Borsellino, figlio del giudice Paolo Borsellino”. 

“Chi ha agito violando le regole lo ha fatto per la salvezza di un determinato assetto di potere. Anche a costo di calunniare degli innocenti, distruggendo famiglie e seminando dolore e lo ha fatto al di fuori delle dinamiche democratiche. Noi invece vogliamo capire. Lo dobbiamo a tutti i familiari delle vittime”. (AdnKronos)

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