di Carlo Barbagallo
A dare più risalto sulla stampa nazionale all’annuale rapporto del Censis sullo stato di salute del Paese ieri (sabato 3 dicembre) è stato il Fatto Quotidiano con un approfondito servizio di Luisiana Gaita. I mass media, in generale, hanno dato un rilievo “mediocre” alle informazioni che provengono dal Censis, forse perché in questo delicato momento “referendario” è sembrato più opportuno non porre in evidenza l’attuale (negativa) situazione che attraversa l’Italia.
Alessandra Arachi su Il Corriere della Sera tiene a sottolineare che Siamo un Paese che non riesce a guardare in avanti, ad avere fiducia nel futuro. E basta guardare nelle tasche dei più giovani per capire cosa ci vuole dire il Censis con il suo cinquantesimo rapporto sulla condizione dell’Italia e degli italiani: i ragazzi hanno un reddito del 26,5 per cento più basso rispetto ai loro coetanei di venticinque anni fa. Non solo: oggi le famiglie composte da giovani con meno di 35 anni hanno introiti del 15,1 per cento più bassi rispetto alla media e anche una ricchezza del 41,1 per cento inferiore.
Gli elementi di riflessione che sottopone il Censis non possono essere equivocati: il 61,4% degli italiani è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni e il 57% ritiene che i figli e i nipoti non potranno vivere meglio di loro. Di più: il 63,7% ha la certezza che l’esito inevitabile del loro futuro sarà una riduzione del tenore di vita (…) Senza politiche di sviluppo e di disincentivo della fuga altrove andiamo verso una situazione di ristagno. Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni e quelle che hanno difficoltà ad acquistare beni durevoli 2,5 milioni (…) i minori in povertà relativa nel 2015 sono oltre 2 milioni, il 20,2% del totale.
Come scrive Rosaria Amato su La Repubblica, Il problema non è solo dei giovani: in generale diminuiscono le “figure intermedie esecutive” e crescono le professioni non qualificate (più 9,6% tra il 2011 e il 2015) e gli addetti alle vendite e ai servizi personali (più 7,5%). Si riduce anche il numero di operai, artigiani, agricoltori, il lavoro costa meno ma questa riduzione non favorisce la domanda, anche per via della crisi del settore pubblico: la deflazione è figlia anche di questo sistema del massimo ribasso, che ha compresso e impoverito la classe media.
Insomma, il Censis ha “fotografato” ciò che l’Italia è con numeri e percentuali. In Sicilia le cose per i giovani e il lavoro vanno ancora peggio di come può apparire la questione nel suo complesso: in Sicilia c’è il “lavoro nero”, un “elemento” che spesso viene trascurato. La Sicilia, infatti, è la terza regione italiana per lavoro nero e irregolare con oltre 300 mila lavoratori senza garanzie e circa sei miliardi di euro che rappresentano il valore dell’economia sommersa dell’Isola. Questi dati sono stati forniti dal Centro studi della Cgia, l’associazione artigiani piccole imprese che riguardano il 2014, ultimo anno disponibile per l’analisi.
La svolta? Come già detto, “costruire” il presente, in caso contrario non si andrà oltre.