di Carlo Barbagallo
Fin troppo distolti dalle rocambolesche alchimie del premier Matteo Renzi, gli italiani che non sono potuti andare in vacanza poca attenzione prestano ai fatti nazionali e internazionali. La questione “jihad” del Califfato nero non scompare dai mass media, ma ha posizioni poco rilevanti, notizie che ci sono ma non saltano subito all’occhio. Eppure il “pericolo in Italia” non è scongiurato, è latente. Un “pericolo” dal quale mette in guardia Giacomo Stucchi, presidente del COPASIR, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, che in un intervista di Marco Maisano sul quotidiano “Il Giornale”, mette in luce aspetti che spesso sfuggono all’attenzione.
Afferma Stucchi: “… Noi ovviamente siamo particolarmente attrattivi, ciò è dovuto alla presenza nel nostro paese di importanti punti di riferimento della religione cristiana. Ma questo non basta. L’obiettivo delle organizzazioni terroristiche è creare terrore appunto, dunque i target potrebbero essere religiosi, ma anche laici, come una metropolitana per esempio (…) Chi dice che non accadrà sicuramente nulla, illude i cittadini. Non è possibile avere un controllo così stringente del territorio da poter escludere qualunque rischio. Siamo nel mirino quanto gli altri. E’ una fortuna se ancora non è accaduto…”.
Come detto in diverse occasioni, il governo di Matteo Renzi ha altro da pensare che non al pericolo dell’ISIS che si trova già alle porte del Paese: il “pericolo” più attuale è quello delle intercettazioni telefoniche che sono piovute sulle sue spalle come un tornado inatteso. Ma a farne le spese, alla fine, poi sono soltanto i giornalisti che tirano fuori “certi” argomenti.
Dunque, in questa Estate torrida, c’è tempo per pensare all’Isis? Spesso in Italia si tende a sottovalutare la capacità dei terroristi, ma quanto continua ad accadere in Libia doveva essere una “lezione” da prendere in considerazion e recepire. Per il nostro Paese il “pericolo Isis” si chiama Libia, a due passa da casa nostra. “I nodi da sciogliere, prim’ancora che legati alla strategia militare, sono di natura politica e non possono prescindere da una valutazione fortemente critica dell’intervento militare del 2011 che portò alla caduta del regime di Muammar Gheddafi” questa è l’opinione espressa recentemente dal generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato Maggiore della Difesa, oggi tra gli analisti di punta dell’Istituto affari internazionali. “Ho sempre giudicato – afferma Camporini – assai avventato l’intervento in Libia, motivato essenzialmente da ragioni di politica interna francese, che ha gettato quel Paese dalla padella dell’autoritarismo di Gheddafi nella brace di una lotta tribale combattuta senza esclusione di colpi, con una dovizia di armamento pesante assolutamente fuori controllo. Chi invocava motivi umanitari si faccia un esame di coscienza e si domandi se il mancato rispetto dei diritti umani del regime di Gheddafi fosse davvero peggiore della quotidiana insicurezza degli abitanti di Bengasi, Tripoli, Misurata e di tutto il territorio libico..”.
Ignazio Stagno scriveva mesi addietro su “Il Giornale”: Di fatto, secondo quanto si legge in un e-book diffuso in rete dai jihadisti l’attacco dovrebbe arrivare molto presto. L’obiettivo è quello di conquistare Roma entro il 2020, esattamente cento anni dopo la caduta del Califfato ottomano. Così nel book è possibile visualizzare una mappa che spiega esattamente il piano d’attacco sull’Italia. Il nostro paese è evidenziato su una carta geografica e con lei tutti i paesi da cui sferarre l’attacco concentrico. Le basi da cui attaccare sono quelle del Marocco, Tunisia, Albania, Kosovo e Bosnia. Da qui gli jihadisti si apriranno la strada per Roma. L’unico ostacolo sulla via di Roma è quello della mafia. Un nemico a quanto pare temuto dai jihadisti dell’Isis: “In Italia la mafia ha un forte radicamento sul territorio – si legge nell’e-book – e approfitta di un governo debole. Di certo se si vuole arrivare a Roma bisognerà allearsi con altre milizie per combattere la mafia”. Dunque la mafia è la forza più potente che teme l’Isis nel suo piano criminale.