Etna, un vulcano “pericoloso” da non sottovalutare

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Intervista al Prof. Giovanni Frazzetta, già Direttore dell’INGV di Catania

di Giuseppe Firrincieli

 

Non bastano i problemi che abbiamo in Sicilia, in tutti i versanti, come la situazione catastrofica stradale ed autostradale e tale da richiamare alla memoria le compiante, ma resuscitate, trazzere borboniche; la rete ferroviaria dell’era dei treni a vapore, o per essere più avanzati, delle littorine a gasolio; la emigrazione forzata dei giovani verso il Nord, o vero altri Paesi molto più avanti di noi; lo spopolamento di intere aree urbane, l’abbandono di Comuni montani, La emigrazione, anch’essa forzata, di pensionati verso altri Paesi, dove la vita costa meno e, quindi, poter sbarcare il lunario con le pensioni misere; fabbriche ed industrie che chiudono giornalmente.

Non bastano tutti questi problemi? No!!! Adesso ci si mettono anche gli scienziati che profetizzano a breve: “L’Etna destinata a scivolare a mare”. In parole povere, il vulcano di casa nostra, da ultimi studi scientifici effettuati, risulta privo di un piede sul lato est, tanto da non godere di una solida base su cui appoggiarsi e precisamente nella parte che si affaccia sui Comuni di Zafferana, Santa Venerina, Acireale e aree vicine, tanto da fare prevedere uno slittamento verso il mare, provocando uno Tsunami di proporzioni catastrofiche e tali da inondare mezza Isola.

Per cercare di capirne qualcosa di più, e lungi dal creare allarmismi inutili,  abbiamo pensato di chiedere lumi ad un esperto del settore che, negli anni caldi di “Emergenza Etna  2000, 2001,2002”, è stato a capo dell’INGV, ovvero il Professore Giovanni Frazzetta.

 

Professore Frazzetta, lei è stato per lunghi anni, ci conceda l’appellativo, un amico molto stretto e fedele del nostro amato Vulcano, visto che, come si dice da noi: “Nun l’ha lassatu ppì curtu!!!” per lunghi decenni della sua attività professionale. Ci vuole, Prof, spiegare se abbiamo bisogno, nel 2020, di andare a cercare un altro “Cola Pesce” per fare da piede, alla nostra amata Muntagna??? A parte  gli scherzi, e credo che sul tema non conviene, per nulla, scherzare, considerato che il Mongibello dei sicilani, in tempi brevi possa collassare?

 

Che il versante orientale etneo stia “scivolando” verso Est non è una novità. Già agli inizi del 900’ Platania, aveva ipotizzato un ipotetico scivolamento di parte del versante orientale etneo. A partire dagli anni 80’ e soprattutto negli ultimi 15 anni, una nutrita schiera di ricercatori, in particolare italiani, hanno intensificato gli studi, cercando di comprendere i meccanismi che stanno alla base di questo movimento, utilizzando, persino, moderne tecniche di rilevamento radar satellitare (GPS e InSAR, Interferometric Syntetic Aperture Radar) che permettono di misurare con precisione lo spostamento della superficie del vulcano.

 

Ma si intravvede un pericolo imminente?

L’instabilità del settore orientale etneo è, a mio avviso, un processo evolutivo iniziato, presumibilmente, da diverse decine di migliaia di anni ed è ancora in atto.

Senza voler entrare nel dettaglio dei risultati delle varie ricerche, documentate in decine di pubblicazioni scientifiche a cui si rimanda, il problema principale è cercare di capire il perché di questo scivolamento.

 

Quali sono le cause del cosiddetto scivolamento e il cosiddetto “piede” mancante risulta vero?

 

Fondamentalmente si tratta di un fenomeno gravitativo che non interessa la sola parte emersa, ma anche una parte sottomarina antistante il vulcano stesso, le cui cause sono molteplici e molto complesse. Un ruolo fondamentale lo svolge, a mio avviso,  la presenza a mare della Scarpata Ibleo Maltese, la quale fa sì che, al versante orientale etneo, manca il “piede”; la presenza di due importanti direttrici tettoniche, a direzione NNW-SSE e NE-SW, che sul versante orientale hanno “sbloccato” a “mo di triangolo” un’area, con vertice i crateri sommitali, ad ovest, e  base compresa tra Vena-Presa ed Acicastello, ad est, area da millenni in continua subsidenza (presumibilmente legata al lento e continuo scivolamento del settore) rispetto alla restante area e non solo etnea, in continuo sollevamento.

 

Di certo, a questo punto, non può mancare, tra i protagonisti, l’elemento vitale dell’Etna e, cioè, le persistenti colate laviche.

Certo, un qualche ruolo lo hanno avuto e possono averlo in futuro, le continue intrusioni magmatiche da cui si originano le colate laviche che appesantiscono ulteriormente l’intero versante, favorendone l’instabilità.    Cercare di definire il ruolo che ciascuno di questi elementi svolge e le loro interazioni, potrebbe portare in futuro ad una migliore comprensione del fenomeno e delle sue complesse cause e, possibilmente, avere elementi certi per definire un modello evolutivo realistico del fenomeno.

 

Professore, diciamolo chiaramente, c’è un rischio imminente di un possibile collasso?

Il rischio potenziale esiste, ma fare previsioni catastrofiche, non condivise dalla comunità scientifica locale, su un fenomeno che si evolve molto lentamente da migliaia di anni, sulla base di dati riferiti ad un arco temporale della decina di anni ed anche meno e che fondamentalmente riguardano un singolo aspetto del più complesso problema, a me sembra una pura speculazione. Come speculativo sembra essere dare un significato generale ad un singolo aspetto in particolare. Bisognerebbe intensificare ricerche multidisciplinari ad ampio raggio non solo sulla parte emersa ma anche sulla parte sommersa prospiciente l’Etna. Ma per questo bisognerebbe mettere a disposizione della comunità scientifica i fondi necessari.

In Italia sono presenti i tre principali rischi naturali: idrogeologico, sismico e vulcanico, oltre a quello legato alle attività umane. Logica porterebbe a pensare che l’Italia dovrebbe essere il paese della prevenzione per eccellenza invece che il paese dell’emergenza per eccellenza con tutto ciò che di negativo questo comporta non soltanto in termini economici ma anche per la perdita di vite umane.

     

Professore Frazzetta, lei ha toccato un nervo scoperto, abbastanza delicato e suscettibile di produrre reazioni inimmaginabili per il tema che stiamo trattando. Evidentemente, parliamo di prevenzione, salvaguardia e messa in sicurezza del territorio isolano. Parliamoci chiaro, nella parte della Sicilia Sudorientale che risulta circondata dalla Faglia Ibleo Maltese e dall’Etna, insistono insediamenti industriali come il Petrolchimico, sito nel triangolo Siracusa, Melilli e Priolo e poi un altro triangolo sensibilissimo, sito a pochi chilometri, sede di armamenti, di tipo logistico, operativo con (possibile) presenza di armi nucleari, mezzi aerei militari e basi aeree, droni, per arrivare a porti sommersi per sommergibili atomici americani. Adesso che siamo a conoscenza del gravissimo, pericolo, imminente o meno che sia, che determina l’Etna, e la Faglia Ibleo Maltese, non sarebbe meglio che le Istituzioni responsabili ci riflettano un po’ sulla smilitarizzazione di Augusta, Cava Sorciaro, Sigonella, e chi più ne sa più ne dica, e pensare a bonificare l’intera area per evitare che un potenziale sisma o un minimo cedimento dell’Etna, possa divenire la scintilla per la intera cancellazione della Sicilia e dell’intero Corollario dei Paesi del Mediterraneo?

 

Il quesito da Lei posto è certamente molto delicato. Innanzitutto diciamo che le coste della Sicilia Sud-Orientale sono soggette ad effetti negativi legati sia ai terremoti che ai maremoti.

Con riferimento ai terremoti, anche se non è un settore di mia specifica competenza, diciamo che in linea di massima non sono i sismi a creare i danni ma, come ricordato prima, la mancanza di una seria  politica di prevenzione.

Un esempio è dato dal Giappone, una delle aree a più alto rischio sismico di tutto il pianeta, dove una seria politica di prevenzione ha quasi annullato gli effetti negativi causati da fortissimi terremoti.

Purtroppo la legislazione italiana in termini di prevenzione sismica è stata molto carente. Basti pensare che fino agli anni settanta il territorio della Sicilia sud-orientale non era considerato area ad alto rischio sismico e che solo a  partire dal 1983, l’Isola, è stata inserita nelle aree ad alto rischio sismico,   dimenticando che   nel 1693 l’area è stata interessata da un terremoto devastante la cui  magnitudo è stata calcolata in 7,3 della scala Richter e considerato il terremoto più intenso che ha interessato, in tempi storici, l’intero territorio italiano. Un altro sisma devastante, con magnitudo    calcolata di 6,6 della scala Richter, si era verificato nel 1169, causando ingenti danni. Ambedue i terremoti sono stati messi in relazione alla frattura ibleo-maltese. Altri sismi con frequenza di accadimento molto più breve (ultimo il terremoto di Santa Lucia del 1990, magnitudo stimata 5,6 della scala Richter) hanno interessato la medesima area con danni “limitati”.

Che un fortissimo terremoto con effetti devastanti possa verificarsi in futuro nella Sicilia sud-orientale (alcune lo chiamano “big one”) nessuno lo esclude. Purtroppo, al momento, i terremoti non sono prevedibili e non è quindi possibile avere un’idea di quando un sisma di elevata magnitudo si     potrà verificare nella stessa area. Quello che possiamo dire è che si verificherà. Il territorio è pronto a sopportare gli effetti devastanti di un tale terremoto?

La risposta è no.

 

Riguardo, invece ai maremoti, a cui può essere soggetta la costa Ionica?

Diversa è la questione per ciò che riguarda i maremoti o tsunami che hanno interessato le coste della Sicilia orientale. Questi o almeno i più importanti, allo stato attuale delle conoscenze, sono sostanzialmente legati all’attività sismica che interessa in modo particolare l’area del mediterraneo orientale.

Fra tutti, secondo recenti ricerche, va ricordato il terremoto del 365 d.c., localizzato poco a sud dell’isola di Creta, che ha innescato un maremoto che ha interessato in modo consistente le coste orientali della Sicilia e parte dell’entroterra (fino a Pachino?). Ma maremoti che hanno interessato le coste della Sicilia orientale sono stati relazionati   anche ai terremoti del 1196  e del 1693 oltre che del 1908 (terremoto di Messina-Reggio Calabria). Maremoti seppur di minore entità si sono verificati a causa di crolli che hanno interessato i versanti di vulcani (es. Stromboli 2002). Per dovere di cronaca va ricordato che un possibile maremoto di notevole intensità, avvenuto circa 8.000 anni fa e che si è propagato in tutta l’area del Mediterraneo centro-orientale, sembra sia stato causato dall’improvviso collasso di parte del versante orientale dell’Etna e che ha portato alla formazione della Valle del Bove. A tal proposito va ricordato che i pareri sulla sua effettiva formazione (noto come Lost Tsunami) non sono concordi.

Purtroppo, se contro gli effetti dei terremoti, l’ingegneria sismica ha fatto passi da gigante per limitare i relativi danni, contro gli effetti negativi legati a maremoti di una certa intensità c’è poco o niente da fare. E oltre ai danni conseguenti all’ingresso dell’acqua marina nell’entroterra effetti negativi si possono avere sui fondali marini prospicienti le coste.

Per fortuna nell’area del Mediterraneo la frequenza di maremoti di una certa intensità è molto bassa e non ha niente a che vedere con la frequenza di maremoti che interessano l’area del Pacifico.

 

Grazie, professore Frazzetta, per la sua attenta analisi.

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