Migranti: gli “accordi italiani” con i Libici non servono a nulla

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di Carlo Barbagallo

 

È opportuno che la diplomazia italiana compia tutti i passi possibili, con tutte le varie sfaccettature che rappresentano la Libia di oggi, ma gli accordi non servono a nulla se il problema non viene risolto a monte. Nelle attuali condizioni a trarre vantaggio dalla “buona volontà” dell’Italia volta ad “aiutare” chi governa quel Paese (in un modo o in un altro), sono soltanto le diverse e contrapposte “parti” libiche. Che hanno (alla fine e forse) ben ragione di approfittare delle elargizioni che vengono date in cambio di una firma (poco affidabile) tracciata su un foglio di carta. La cancellazione dalla faccia della terra di Gheddafi e del suo regime hanno riportato indietro di decenni la Libia e provocato una destabilizzazione che ormai si protrae dal 2011 e che appare irreversibile. Il governo di Fayez Al Sarraj voluto e imposto dall’Onu e avallato anche dall’Italia dimostra quotidianamente la sua limitata influenza sul territorio, il contrapposto governo di Tobruk del generale Khalīfa Belqāsim Haftar non è che sia in una situazione tanto migliore: il premier Gentiloni cerca e firma accordi a destra e a manca nel tentativo di bloccare l’enorme flusso di migranti che stazionano nelle aree di pertinenza dei due leader che mirano a una impossibile egemonia sulla loro collettività. Così (quasi) sicuramente cadrà nel vuoto l’ennesima scesa in campo (quella di venerdì 31 marzo) del ministro degli Interni Marco Minniti, con un accordo di pace tra le tribù del Fezzan, siglato in un clima top secret, al ministero con l’obbiettivo di accelerare la lotta all’emergenza dei flussi migratori.

Un accordo/patto con lo scopo di intensificare non solo il controllo delle coste libiche, ma anche quello a sud del Paese, lungo i 5 mila chilometri al confine con Ciad, Algeria e Nigeria, viene messo subito in discussione dalla migrazione di centinaia di “fuggitivi” che sono stati raccolti (come accade spesso) a poche miglia dalle coste libiche. Oggi, infatti, è atteso un nuovo sbarco di profughi a Trapani: nel porto del capoluogo attraccherà la nave “Prudence” di Medici senza frontiere, che ha recuperato 295 persone in diverse operazioni nel Canale di Sicilia. A bordo si trovava anche un bambino di due anni, che è stato trasferito d’urgenza a Malta per esigenze mediche.

L’accordo sottoscritto con i Capi delle Tribù libiche è stato salutato come un evento eccezionale: sul fronte libico meridionale, l’Italia interverrà con mezzi e risorse per la formazione del personale. Il Viminale esulta: Sarà operativa una guardia di frontiera libica per sorvegliare i confini a sud della Libia, su 5000 chilometri di confine. Mentre a nord, contro gli scafisti sarà operativa la guardia costiera libica, addestrata dalle nostre forze, che dal 30 aprile sarà dotata delle 10 motovedette che stiamo finendo loro di ristrutturare (…) Sigillare la frontiera a Sud della Libia significa sigillare la frontiera a Sud dell’Europa (…). C’è da chiedersi come abbiano già potuto eludere i controlli i 295 migranti raccolti in mare dalla nave di Medici senza frontiere.

Ed è passata praticamente inosservata una nota dell’Agenzia Ansa del 24 del mese scorso che riferiva che Un tribunale di Tripoli ha bloccato qualsiasi accordo sui migranti derivante dal memorandum of understanding (MoU)” firmato dal premier libico Fayez Al Sarraj e dall’Italia a febbraio: lo scrive il sito Libya Herald segnalando la sentenza ma avvertendo che “resta non-chiaro” quale sarà l’impatto del pronunciamento avvenuto ieri sulla “determinazione europea” a fermare i migranti in cooperazione con il consiglio presidenziale di Sarraj. Il ricorso accolto da tribunale era stato presentato da “sei persone fra cui l’ex ministro della Giustizia Salah Al-Marghani”, ricorda il sito precisando che la contestazione riguardava non solo il “controverso piano” di riportare migranti in Libia ma anche la legittimità di accordi stipulati dal “Governo di accordo nazionale” (Gna) di Sarraj che non riesce ad ottenere la fiducia del parlamento insediato a Tobruk (…).

È proprio la condizione in cui versa oggi la Libia che difficilmente può portare a una via d’uscita per quanto concerne la questione migranti, e patti ed accordi, a conclusione, servono ben poco.

 

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