Basi militari: protesta in Sardegna, indifferenza in Sicilia

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di Salvo Barbagallo

 

In Sardegna la protesta è continua contro le basi militari della Nato e le periodiche esercitazioni che le forze aeronavali effettuano al largo delle coste dell’Isola. basL’ultima protesta è quella dei pescatori del Sinis (penisola a nord di Oristano, in Sardegna) contro gli aerei Nato che sganciano bombe nel mare di Capo Frasca: un centinaio di barche ha cercato di penetrare nell’area definita “off limits” proprio nel giorno della esercitazione programmata che, alla fine, si è tenuta regolarmente. La Guardia Costiera ha, infatti, impedito alle imbarcazioni di arrivare nel tratto di mare segnato come “zona rossa” interdetto alla navigazione. Per precauzione i velivoli che prendevano parte alla manovra non hanno sganciato gli ordigni contro i bersagli predefiniti. Il territorio e le acque di Capo Frasca sono zona militare da più di 40 anni: l’installazione militare è una delle più importanti d’Europa, è collegata all’aeroporto di Decimomannu, dal quale decollano i velivoli Usa e dei Paesi Nato che simulano azioni di guerra con lancio di missili aria-terra e mare-terra.

La protesta dei pescatori in Sardegna
La protesta dei pescatori in Sardegna

Gabriele Chessa, di Legacoop, ha dichiarato: Fino a che la base non sarà chiusa. Se vogliono continuare a sparare a Capo Frasca almeno ci diano gli indennizzi per compensare i mesi in cui non possiamo pescare. Martedì scorso (4 ottobre) sindaci e amministratori di otto paesi costieri della provincia di Oristano, con la partecipazione di quasi cinquecento persone, si sono radunati all’ingresso della base per un sit-in chiedendo che i militari (stranieri e italiani) lascino il territorio. Nonostante la crescente tensione nella collettività il ministero della Difesa non ha dato risposte agli amministratori e la questione resta aperta. Il tema delle servitù militari ha riacceso la contrapposizione della gente alla presenza militare. L’isola ospita il 65 per cento delle basi militari in Italia e ancora non si è fatta chiarezza sulla questione delle contaminazioni dei territori intorno ai poligoni. Tutti argomenti all’attenzione della Commissione parlamentare d’inchiesta che segue lo svolgersi degli avvenimenti.

bas1Le esercitazioni d’autunno sono iniziate da alcuni giorni, ma ai “giochi” di guerra gli abitanti adesso stanno rispondendo con una battaglia vera: sono arrivati da mezza Sardegna: da Cabras, da Terralba, Caglieri, San Vero Milis, Arbus, dal Sulcis e dalla zona di Bosa, urlando tutti la stessa richiesta: “Liberare il territorio dalle installazioni militari”.

bas2In Sicilia sull’argomento delle servitù militari si alza soltanto la voce dei comitati “No-Muos” che, periodicamente, organizzano manifestazioni di protesta. In realtà la collettività Siciliana (inutile fare riferimento ai “politici” o a chi governa l’Isola) è indifferente al problema. Ovviamente è principalmente una questione di “ignoranza”, nel senso che non sono conosciuti i pericoli che comportano le basi militari con la loro continua attività. Si “ignora”, per esempio, il fatto che l’operatività dei droni Global Hawks e Predator statunitensi (e neppure Nato!) di stanza “stabile” a Sigonella comporta una limitazione nel traffico aereo civile dei “confinanti” aeroporti di Catania-Fontanarossa e Comiso. I “ritardi” che spesso si registrano nei voli in arrivo e in partenza a Fontanarossa spesso sono da attribuire alle “missioni” dei droni che si alzano in volo o atterrano a Sigonella. Nessuna voce si alza dai territori in prossimità di Capo Passero dove si svolgono “regolari” esercitazioni aeronavali, le proteste dei No-Muos finiscono nelle aule dei Tribunali a discapito dei manifestanti, e nessun “politico” scende in campo apertamente per dire che la “sovranità” del territorio è stata violata, è stata violentata.

In Sardegna la protesta si fa sentire, esce dai confini dell’Isola, in Sicilia l’argomento “basi militari” sotto la “sovranità USA” è un tabù. Il silenzio (come suol dirsi) è assordante.

 

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