Finisce in carcere figlia boss: gestiva 2 bar in movida a Messina

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La Guardia di finanza ha arrestato la figlia 26enne del boss mafioso Salvatore Sparacio: gestiva due bar in pieno centro a Messina, luogo di ritrovo della movida cittadina, riconducibili a un importante clan mafioso. I locali sono stati sequestrati. Il provvedimento di sequestro ha interessato beni per un valore complessivo di oltre un milione di euro. La donna, posta ai domiciliari, è indagata per intestazione fittizia di realtà societarie, beni immobili e autovetture, in realtà riferibili al padre. Secondo l’accusa, proprio per eludere le disposizioni in materia di misure patrimoniali previste dal Codice antimafia, la donna avrebbe assunto fittiziamente la titolarità delle attività commerciali, nel centralissimo corso Cavour di Messina, note per essere meta preferita della movida giovanile.

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Salvatore Sparacio, fratello dello storico boss poi divenuto collaboratore di giustizia, è recentemente balzato agli onori della cronaca nell’ambito dell’operazione ‘Provinciale’, che lo scorso aprile ha disarticolato il gruppo criminale attivo nel Rione Ariella, conosciuto come Fondo Pugliatti. Le indagini, dirette dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina ed eseguite dagli specialisti del Gico della Guardia di finanza peloritana, avevano documentato come il clan mafioso costituisse un importante riferimento per le scommesse illecite, tanto da spuntare commissioni del 40 per cento sugli incassi, forte anche di consolidati rapporti con dirigenti maltesi del settore, rilevando, pericolose connessioni con esponenti della politica locale.

Nell’aprile dello scorso anno, in pieno primo lockdown, destò scalpore il funerale del padre del boss, celebrato in violazione di tutte le norme anti Covid all’epoca vigenti.  Il provvedimento di oggi interviene a valle del recente riconoscimento, da parte del Tribunale del Riesame, dell’esistenza e autonoma operatività del clan mafioso, inizialmente ritenuto subordinato a un altro. Nel merito, su appello della Dda di Messina, il Riesame ha affermato come i rapporti tra i due clan fossero caratterizzati da un patto di “non belligeranza in forza del quale il referente di un gruppo criminale interviene nei momenti di difficoltà attraversati dal gruppo concorrente”.

Durante le indagini è emerso come il boss prendesse decisioni autonome, senza minimamente interpellare la figlia, solo formale titolare delle attività commerciali. In un’occasione, ad esempio, Sparacio dispose il licenziamento del banconista. “Ma quello che ca…risponde a telefono, lui si deve stare dietro al banco… va e rimproveralo… non deve rispondere lui al telefono… cos’è questo bordellino… lunedì se ne deve andare… troppo babbo è”. Ancora, parimenti, emergeva come al boss fosse rimessa anche la gestione economica degli esercizi di ristorazione oggi sottoposti a sequestro. “Gli dobbiamo dare una stretta alle spese – diceva non sapendo di essere intercettato – sono due giorni che faccio spese in continuazione e non va…”. Da qui il provvedimento di sequestro. I sigilli sono scattati, oltre che per i due bar, anche per una quota pari al 25 per cento di una srls, con sede a Messina e attiva nel settore della consulenza pubblicitaria, 2 fabbricati, un’auto e denaro contante pari a 15.000 euro, il tutto per un valore complessivo di circa a 1,1 milioni di euro.

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