Francesco Gianino, elogio della vita acre

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Di Salvo Barbagallo

Nella pletora di romanzi che riempiono gli scaffali delle (superstiti) librerie è difficile andare a scoprire qualcosa che esca dal consueto, e il lettore normalmente si affida a ciò che è maggiormente pubblicizzato, o presentato nelle (poche rimaste) pagine letterarie dei grandi quotidiani. Difficilmente il lettore si affida agli Autori sconosciuti, sacrificando magari il piacere della scoperta. Nessun suggerimento ricevuto, dunque, nel ritrovarci in mano e averlo letto, il libro di Francesco Gianino “Il salto del cavallo”.

Un titolo curioso e di certo non accattivante “Il salto del cavallo”, ma già con una intrigante introduzione di Cateno Tempio che invita alla lettura.

Diciamo subito che questo di Gianino è una romanzo inusuale che si snoda con un linguaggio particolarmente scivoloso nella terminologia adottata, non accostabile a precedenti con altra firma. Una caratterizzazione significativa che pone “Il salto del cavallo” in una dimensione a sé stante, così come il suo contenuto. Il titolo del romanzo può trarre in inganno: il “cavallo” c’è, ma c’è una storia raccontata da penetrare attraverso i protagonisti che si muovono nella “loro” realtà. Una storia che affascina, che si snoda in capitoli che fissano situazioni apparentemente atemporali, quasi incomprensibili nella loro asimmetria. Ma non è così.

Ne “Il salto del cavallo” non si trovano riferimenti specifici sulla location della storia, ma si comprende chiaramente che i personaggi principali – Santo Bumma e Concetta Salomone -vivono la loro esistenza a Catania. Cenni sfuggenti: “… le ceneri dell’Etna: quando il vulcano spara fuoco, piove dappertutto e s’infila persino dentro le mutande.”. Una esistenza acre di gente anonima nel quartiere degradato non specificato, palcoscenico, luogo deputato di vicende normali “dove vivono cinquecento invisibili… il fior fiore della manovalanza operaia, onesta e criminosa, anche se gli onesti a furia di camparci si erano mutati in disonesti per forza di carità.”.

Tanti personaggi nel loro mondo con la loro forza e la loro debolezza, il centro urbano vitale lontano, assente: “Le luci della città si astutarono davvero per quei vastasi, che adesso si taliavano in faccia ammosciati, come i pupi dell’Opera dei pupi quando è terminato lo show.”. Un mondo accessibile a pochi, dove prevalgono i sensi, i sapori: “… appartati sotto i portici per mangiare carne di cavallo. Carne tenerissima. Seta dolce, sanguinolente (…). Il fumo della brace mischiava il sentore d’aceto forte alla brina argentata, e l’odore delle cacocciole arrostite faceva venire l’acquolina in bocca”.

Nel frastagliato andirvieni di facce che compaiono e scompaiono, poi c’è il cavallo. Un cavallo che si chiama “Geronimo”…

Cosa aggiungere? E’il caso di leggerlo questo romanzo di Francesco Gianino.

Francesco Gianino “Il salto del cavallo” –Mare Nostrum edizioni srl – dicembre 2020

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