Riceviamo e pubblichiamo
Sembra che il caso Svezia stia diventando davvero imbarazzante. Si insiste ad accusare il governo del socialdemocratico Stefan Löfven di condotte irresponsabili e perfino vergognose. Ma in realtà quello svedese rimane un punto di vista che se valutato senza facili compiacimenti e senza demonizzazioni, può fornire elementi utili alla comprensione di quel che accade realmente.
Occorre precisare per prima cosa che l’atteggiamento svedese non ha nulla d’inspiegabile, anzitutto sotto il profilo storico. Appare in linea infatti con le tradizioni lunghe di popolazioni nordeuropee che in diversi contesti epocali hanno affrontato situazioni estreme, non di rado catastrofiche, dando prova di una temerarietà inusuale, senza perdere tuttavia quell’ethos solidale che ha permesso loro di resistere, mantenere i propri caratteri identitarî e raggiungere perfino traguardi importanti. Si pensi, ad esempio, alle grandi migrazioni scandinavo-germaniche di età antica e tardo antica, che interagirono fortemente con la vicenda romano-imperiale e poi ricostruttiva dell’Europa mediterranea. Si pensi, ancora, alle imprese marinare vichinghe dell’età di mezzo, che, non meno temerarie, ebbero tra l’altro un ruolo di prim’ordine nel progresso delle culture materiali, nautiche in primo luogo, nell’esplorazione di varie aree dell’ecumene e negli scenari politici europei di quelle epoche. Il riferimento storico finisce comunque qui perché solo i fatti di oggi possono dire qualcosa sui paradigmi e sulle loro conseguenze.
Esplosa l’emergenza Covid 19, il governo svedese ha deciso di non ricorrere a misure severe di limitazione delle libertà individuali, adottate, oltre che dalla Cina, da numerosi paesi, a cominciare dall’Italia, primo grande focolaio europeo dell’infezione. Ha deliberato, in particolare, l’amministrazione di Stefan Löfven, la chiusura di scuole di diverso ordine e grado, ha deciso di porre delle limitazioni per evitare gli affollamenti, ha suggerito poi una serie di regole di condotta, ma qui si è fermato, confidando, per il resto, nel senso di responsabilità dei cittadini. E da questa opzione ha avuto origine la campagna denigratoria in atto, che davvero, dando una scorsa ai numeri, dimostra di non avere alcun appiglio.
La situazione svedese viene presentata, in Italia in particolare, ed è un paradosso, come una catastrofe assoluta, una situazione finita del tutto fuori controllo, che ha causato un numero spropositato di contagi e di morti. Si grida perciò allo scandalo morale, di uno Stato che starebbe sacrificando la vita dei propri cittadini per salvaguardare l’economia. In realtà, occorre dirlo con chiarezza, i dati emergenti vanno in altra direzione. I morti risultano essere circa 1.200, su 10 milioni circa di abitanti: un numero di certo significativo, che tuttavia risulta piuttosto contenuto se confrontato con quello di altri paesi del Continente in cui è stato decretato l’isolamento sociale, il cosiddetto lockdown. L’Italia, con i suoi oltre 60 milioni di abitanti, conta, secondo i dati del 16 aprile, oltre 21.000 morti, cioè, in rapporto alla popolazione, una cifra tre volte superiore a quella svedese. La Spagna presenta una situazione analoga, con oltre 17.000 morti da contagio, su 47 milioni di abitanti, e nella stessa direzione si muovono Regno Unito e Francia. Particolarmente istruttivo è poi, tra i paesi del Nord Europa in cui vige un severo lockdown, il caso del Belgio, che, con oltre 5.000 morti su appena 11 milioni di abitanti, registra un dato quattro volte superiore a quello svedese, senza suscitare alcuno scandalo morale.
Appare infine risibile il confronto che viene operato, per dare slancio al presunto «scandalo svedese», con altri paesi scandinavi, quando appare ben chiaro che il contagio si sta manifestando ovunque in maniera disomogenea, da regione a regione, da paese a paese, perfino all’interno dei paesi. Il Belgio presenta un quadro epidemico devastante al cospetto degli altri Paesi Bassi, pur avendo adottato tutti misure analoghe di contenimento. La Lombardia presenta una vera e propria ecatombe rispetto alla regione laziale, pur sottoposte entrambe alle stesse misure di isolamento sociale. Allora, è il caso di chiedersi, pensosamente: perché non si pone fine a questo insulto continuato?
Carlo Ruta
(storico e saggista)