Il “messaggio” del Quirinale alle Camere. Carceri, Giustizia: dobbiamo fare presto, amnistia subito

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giorgio-napolitanoDi Valter Vecellio

    Il primo a saperlo è stato Marco Pannella, glielo doveva: da mesi invocava e sollecitava un “messaggio” alle Camere sul tema delle carceri e della giustizia e il suo cattivo funzionamento. Così alla vigilia della sua visita al carcere napoletano di Poggioreale, il presidente Giorgio Napolitano aveva avvertito il leader radicale comunicandogli che aveva maturato l’intenzione di inviarlo, il messaggio. Pannella, con l’espressione soddisfatta del gatto  che ha appena ingoiato un grosso topo, a sua volta l’aveva confidato ai suoi più stretti collaboratori, con la ferrea consegna alla più assoluta discrezione. Ed effettivamente nulla è trapelato fino a quando la cosa non è stata resa nota dallo stesso presidente non lo aveva reso noto. Ma che qualcosa fosse in movimento lo si poteva indovinare da giorni: il leader radicale aveva cessato le sue “intemerate” pressoché quotidiane contro il Quirinale. E anche se sono proseguiti i digiuni della fame e della sete, gli ultimi erano condotti all’insegna di rafforzare e aiutare il presidente.

    In più occasioni Napolitano aveva sollevato la questione: la prima volta  due anni fa, in occasione di un convegno organizzato al Senato, aveva avuto parole di fuoco, denunciando l’intollerabile situazione che si era creata: “Una realtà”, aveva detto in quell’occasione, “che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana – fino all’impulso a togliersi la vita – di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo”. E aveva invocato uno “scatto”, “una svolta”, lasciando intendere che poteva essere solo un provvedimento di amnistia. Del resto Napolitano, prima di essere eletto presidente, aveva partecipato alla marcia “per l’amnistia, il diritto e la vita”, indetta da Pannella da Castel Sant’Angelo fino al Quirinale, passando per il carcere di Regina Coeli. Una marcia che aveva visto sottobraccio Napolitano e Pannella, Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, don Andrea Gallo, don Antonio Mazzi, Emanuele Macaluso e tanti altri…

   Da allora il presidente della Repubblica era tornato più volte sulla questione, ma mai si era spinto come ha fatto il 28 settembre scorso: “Sono lieto di potervi annunciare qui, è la prima volta che lo faccio ed è questo il luogo adatto per farlo, che è pronto il mio messaggio al Parlamento sulla situazione delle carceri” aveva detto Napolitano, aggiungendo che attendeva solo “un momento di maggiore serenità e attenzione politica, perché è un messaggio che mi auguro venga ascoltato, venga letto, venga meditato con tutto il necessario sforzo e coraggio”.

    Lo strumento del messaggio presidenziale alle Camere, una delle prerogative espressamente previste dalla Costituzione (articolo 87), è stato usato raramente: in poco meno di settant’anni di Repubblica, i predecessori di Napolitano hanno inviato solo altre dieci volte “messaggi” al  Parlamento; ed è il primo di Napolitano. Già questo solo dice dell’eccezionalità dell’evento; che il presidente così motiva:  “Abbiamo un obbligo giuridico europeo e nazionale. Voi sapete quale sentenza della Corte di Strasburgo ci imponga di dare una soluzione soddisfacente al sovraffollamento che c’è nelle carceri italiane, e ci pone anche un termine”. (maggio prossimo, ndr.).

     Il Quirinale insomma, con il suo “messaggio” intende formalmente richiamare l’attenzione del Parlamento su una situazione da sanare: “in termini molto stretti di obbligo che noi dobbiamo soddisfare”. Un “messaggio” col quale Napolitano fa “una verifica di quello che stanno dando le misure già prese o in arrivo”, ma soprattutto valutarne anche i loro limiti. Per questo al Parlamento si pone formalmente “l’interrogativo se esso non ritenga di dover prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di un provvedimento di indulto e di amnistia”.

    L’amnistia, ha cura di chiarire il Quirinale, è un provvedimento che “non può prendere d’autorità il Presidente della Repubblica che non ne ha i poteri, è un provvedimento che non può prendere il governo da solo, è un provvedimento che ha bisogno del consenso, di un consenso molto ampio del Parlamento, forse troppo ampio secondo quanto si è stabilito con una modifica della norma costituzionale originaria. Ma questo non deve essere un freno ad esaminare fino in fondo la necessità e la possibilità di questo provvedimento se si è convinti non solo di dover corrispondere ad un obbligo giuridico”. Perché non è solo “una sentenza della Corte di Strasburgo che dobbiamo rispettare, noi dobbiamo rispettare un imperativo umano e morale. E non è solo una questione di corretta gestione di un qualsiasi organismo, è una questione di sofferenza umana che qui si concentra e che raggiunge dei livelli insopportabili”.

   Come si vede, messaggio e sollecitazione autorevolissime e di inequivocabile significato. E non per un caso Napolitano ha scelto di far cadere alla vigilia di una importante appuntamento: approda infatti alla Corte Costituzionale una delle questioni più spinose e urgenti: quella dell’intollerabile e disumano sovraffollamento delle carceri, per la quale l’Italia è già sorvegliata speciale in Europa, dopo la cosiddetta “sentenza Torreggiani” che impone al nostro Paese di “adottare rimedi concreti entro un anno”. Un sovraffollamento che è frutto e risultato dell’intollerabile e disumana lentezza dei procedimenti e dei processi, per i quali la Corte Europea per i Diritti Umani ripetutamente ci ha condannati.

   La Consulta in particolare, è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’articolo 147 del codice penale, laddove non prevede, tra le ragioni che consentono di differire l’esecuzione di una condanna in carcere, le condizioni disumane di detenzione: cioè che la pena debba essere scontata in penitenziari che scoppiano e che non garantiscono al singolo detenuto nemmeno quei tre metri quadrati a testa indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. A sollevare la questione i tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, che chiedono alla Consulta quella che viene definita “una sentenza additiva”: cioè di aggiungere il sovraffollamento carcerario tra le cause che permettono di far slittare l’esecuzione della pena.

   Se dai giudici costituzionali arrivasse un sì, si tratterebbe di una pronuncia storica, che permetterebbe a tutti i tribunali di sorveglianza di rimediare concretamente ai tanti casi in cui la detenzione, a causa del sovrappopolazione carceraria, si concretizzi in un trattamento disumano e degradante. Sono stati i giudici di Venezia a porre per primi il problema: a loro si era rivolto un detenuto del carcere di Padova, ristretto in una cella dove il suo spazio vitale era inferiore ai tre metri quadrati; con la richiesta esplicita di differire l’esecuzione della pena, visto che in queste condizioni era contraria al senso di umanità e al principio di rieducazione, oltre che lesiva della sua stessa dignità.

   Le forze politiche, di sinistra, destra e centro, con l’eccezione di Lega Nord e Movimento 5 Stelle, in queste ore mostrano di condividere il monito e la sollecitazione che arriva dal Quirinale. Ma tra le dichiarazioni di oggi e l’eventuale voto di un ipotetico domani, c’è un abisso. Pannella ha vinto un round, ma il match è ancora tutto da giocare.

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