Vittorio Sgarbi in una sola parola: “Rinascimento”

Il simbolo del movimento RINASCIMENTO
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di Giuseppe Stefano Proiti

Suona con le musiche de La Primavera di Antonio Vivaldi, con Nessun Dorma di Giacomo Puccini, o semplicemente col suo inno “Ti amo Italia”.

Il dito, indice di Dio, che sfiora quello di Adamo nell’atto della Creazione di Michelangelo è uno dei particolari che la Storia dell’Arte ipostatizza come i più emozionanti (perché vicino alla Vita), i più potenti (perché vicino a Dio), i più avvincenti (perché vicino all’Uomo). È questo il simbolo del movimento con il quale Vittorio Sgarbi – dopo aver

Il simbolo del movimento RINASCIMENTO
Il simbolo del movimento RINASCIMENTO

ricoperto le cariche di deputato “Forza Italia”e di sindaco a Salemi – è certo di portare una ventata di novità e carisma in politica, con la sua aria giovanile, con il suo entusiasmo di sempre. E l’entusiasmo, si sa, è contagioso …  perché vorrebbero averlo tutti, ma appartiene a pochi: quelli che sono liberamente apprezzati.
<<RINASCIMENTO>>  lo chiama … e vuole in primo luogo significare un profondo rinnovamento morale; un nuovo Manifesto del Futurismo epurato dal concetto di guerra come “igiene del mondo”, dove regna la Pace come sommo valore mondiale. “L’idea mi è venuta qualche mese fa mentre tenevo una conferenza in Sicilia”, spiega il professore alla stampa.
<<Ciascuno deve avere un giorno memorabile, un cassetto, o semplicemente un luogo, anche ideale, dove custodire il proprio sogno. Vorrei che fossero registrate queste mie parole … ho l’impressione che esse ci facciano provare l’euforia della vertigine di chi rimane sospeso per aria e guarda il mondo dall’alto. Come il bambino sull’altalena immagina di volare venendo sospinto dal padre, esse rappresentano lo slancio di una memoria collettiva che rimarrà imperitura, e che dovrà, per necessità ontologica, tramandarsi ad ogni generazione futura.
Per lungo tempo ho tentato, con diversi insuccessi, di costruire il Sogno della Bellezza. Adesso credo di poterlo consegnare in maniera degna a tutti quegli italiani che sentono ardere nelle loro coscienze la nobiltà di questo sentimento.
L’idea di Bellezza mi è da sempre appartenuta, e sia sulla scena pubblica che privata, nei più svariati modi, ho sempre cercato di attuarla. Nel ’96 fondai un partito della Bellezza candidandomi assieme alla lista di Pannella. I tempi erano troppo remoti rispetto a quest’idea, troppo lontana da quello che ora invece sembra essere nel cuore di molta gente, quindi facemmo risultati piuttosto modesti. Pannella, poi si vendette per denaro, ritirò la sua misera manciata di deputati eletti in Parlamento e ottenne un grosso finanziamento per Radio Radicale. Io, indignato da questi umani inganni, proseguii da solo il mio cammino nella Bellezza, sostanzialmente fino al giorno d’oggi, convinto che prima o poi avrei incontrato qualcuno che non mi avrebbe tradito, qualcosa di sincero che mi avrebbe dato un motivo, solo un motivo, per continuare a lottare per ciò in cui credo.
Così un giorno incontrai il giurista Michele Ainis e nel 2015 abbiamo immaginato una “rivoluzione costituzionale” con il libro La Costituzione e la Bellezza. Mi pare che questo spunto sia importante perché uno studioso di Costituzione che sente l’urgenza di un tema così specifico, indica da un lato l’intelligenza e l’intuizione rispetto al tema, dall’altro una sorta di antenna che intercetta un sentire ormai diffuso. E ci sono diverse prove:  oggi in prima pagina sul Corriere, c’è un articolo di Ernesto Galli della Loggia che parla della “Bellezza perduta”, due giorni fa c’era un inserto del Corriere con 40 pagine sul tema della Bellezza e su un “Patto per la Bellezza”. Il Sole 24 ore due anni fa ha intrapreso una campagna per portare al centro delle iniziative culturali del Governo i valori della Bellezza. Dunque, è ragionevole presumere che se dovesse prendere corpo l’idea della Bellezza, avremmo sicuramente un riscontro importante che va al di là della destra, del centro, della sinistra o di Grillo, che segna una pars destruens molto forte rispetto ai partiti tradizionali che non hanno corrisposto alle aspettative, e viceversa si intercetterebbe una vocazione democratica a un bene che è sopra le parti, ma che è un valore condiviso di cui ognuno capisce l’importanza, molto più che un tempo.
E allora partendo da questa dimensione tutta politica non è escluso che questo partito in fieri a un certo punto possa spiccare il volo.
Di certo, il libro che ho scritto con Ainis tocca i punti fondamentali della mia politica, perché abbiamo analizzato i 12 articoli fondamentali della Costituzione, quelli che riguardano i diritti inalienabili, e ci siamo sforzati di dare la nostra lettura personale. Ne è venuta fuori da una parte l’idea di Ainis che la Costituzione sia bella e piena di intuizioni che resistono al tempo, dall’altra la mia interpretazione che la Costituzione sia come un monumento che deve essere restaurato, ma – come ogni buon restauro – in maniera tale che non si veda l’intervento. Quindi non deve essere trasformata o ricostruita, c’è solo bisogno di qualche ritocco, ed è pericolosissimo lasciarla a mani inesperte come quelle dei parlamentari che hanno fatto la precedente riforma. In considerazione di questo “monumento”, abbiamo commentato gli articoli con riferimento a quello che essi dicono, lasciandoli resistenti nel tempo, oltre le mode. Quest’epoca svuota di contenuto i valori tradizionali, tenta di significare ciò che non è significabile, fa diventare necessità ciò che in realtà non lo è. Oggi viviamo una crisi profonda di visioni del mondo, le mode si insinuano e contaminano i valori fondamentali, che dovrebbero essere indefettibili in una società.
In questo libro, ho cercato di affermare esattamente l’opposto di questa tendenza odierna, ovvero il principio che la Bellezza è un valore ancora più costituzionale della Costituzione stessa. E’ un dato che appartiene alla percezione del rapporto che l’uomo ha con tutto ciò che lo circonda. Quale valore più universale di un dipinto, o di un monumento di una città? La Bellezza unifica perché riguarda un atteggiamento di tutela che ci rende tutti titolari dei patrimoni artistici. Un monumento come il Castello Ursino non è soltanto del Comune ma di tutta la città. E questa percezione è sempre più forte.
Allora, la crisi dove sta? Mentre da una parte abbiamo delle leggi che vengono fatte sulla scia di urgenze veniali, di finte necessità in favore di mode che le stimolano e che lasciano il tempo che trovano, dall’altra parte abbiamo un cedimento dei valori importanti che sono percepiti in modo molto debole e che invece dovrebbero rimanere ben saldi nel tempo. Dobbiamo reagire ad esempio al fatto che nelle scuole non si insegni più obbligatoriamente né musica, né arte; questa è una cosa abbastanza inquietante. Si insegna la letteratura italiana che è pure importante, ma che oltre Chiasso nessuno conosce. In compenso Rossini, Puccini, Verdi, Monteverdi, sono conosciuti nel mondo ma non dagli italiani che non li studiano a scuola. Lo stesso dicasi per gli artisti italiani, che valgono un’ora di Storia dell’Arte in qualche liceo che non ha nessuna forma di obbligatorietà. Quindi il nostro rapporto con l’arte, già a partire dalle istituzioni scolastiche si è di molto distanziato, creando una disaffezione, uno scollamento di questo rapporto con il patrimonio.
Questo rapporto invece oggi si sta via via riscoprendo perché molte persone in età matura cominciano a meditare su quello che non gli è stato insegnato e ad avvertire il bisogno di colmare quelle lacune. Quindi c’è più attenzione per i luoghi monumentali, per le città d’arte, per i musei. Le opere d’arte conservano ancora per fortuna la libertà di non essere imposte, perché ognuno di noi le conquisti nel suo desiderio. Tutto quello che non ci è stato insegnato diventa ragione di un’opzione libera che non ha un imperativo, ma un sentimento, un’appartenenza. L’arte è qualcosa che ha a che fare con l’amore, e sembrano cadere a pennello le parole di un libro di Andrej Tarkovskij, dal titolo Scolpire il tempo: “L’arte esprime tutto ciò che vi è di migliore nell’uomo: la Speranza, la Fede, la Carità, la Bellezza, la Preghiera … ossia ciò che egli sogna, ciò che egli spera. Quando un uomo che non sa nuotare viene gettato in acqua non è lui ma è il suo corpo che comincia a compiere movimenti istintivi nel tentativo di salvarsi. Anche l’arte è come un corpo umano che viene gettato nell’acqua; è per così dire l’istinto dell’umanità di non affogare in senso spirituale.”
A dispetto della natura peccaminosa dell’uomo in quanto tale, l’arte è “una contemporanea impronta dell’eterno”, dunque non cessa di trovare la Verità nella sua costante riproduzione nel tempo … e questo la salva … e ci salva. Ma questa “concezione salvifica” si è venuta maturando in questi ultimi 20 anni, fino al punto da suscitare la domanda: “a che punto siamo?”. Siamo in un punto non particolarmente allegro, preso atto di come la bellezza viene continuamente mortificata.

Nell’Italia del 1947-1957 eravamo braccianti agricoli. Il 42.2 % (al Sud il 56%) dei lavoratori era impiegato nella categoria Agricoltura e Pesca

È il momento di fare un breve excursus storico per capire come questa idea di Bellezza è stata accolta nel 1947 dai nostri padri costituenti. L’art. 9 è lentamente cresciuto, soprattutto grazie ad associazioni come Italia Nostra. Si è determinata una necessità di ritornare a quei principi che in questo articolo erano messi lì quasi per scontato. Perché nel 1947-48 l’Italia non era asfaltata, i centri storici erano stati ricostruiti malamente, le periferie non c’erano, la distruzione e la catastrofe di ogni ordine e di ogni bellezza era molto di là da venire. Da un punto di vista quantitativo, un dato impressionante è che gli edifici innalzati che noi abbiamo in Italia dai Templi di Agrigento e di Segesta fino ad oggi, sono 25 milioni. Di questi 25 milioni, 12 milioni sono stati eretti fra il 7mo sec. A.C. e il 1959 (il che vuol dire in 2.700 anni) e 13 milioni in soli 50 anni. Abbiamo letteralmente devastato e ricoperto l’Italia di cemento. Una specie di parossismo che ha rovinato la sensibilità e l’estetica di gran parte degli uomini che nel dopoguerra hanno ricostruito l’Italia, giusto perché era importante ricostruirla e farla un paese ricco e industriale. Così sono venuti i casi come Bagnoli, l’Ilva, Priolo. Sono esempi di un tentativo di industrializzare il Sud, che tutto chiedeva meno che essere industrializzato. L’unico intervento di restyling che in Italia ha funzionato bene, è a metà strada fra un’impresa e il rispetto della natura che è la Costa Smeralda. Essa è nata dal nulla in una regione meravigliosa e dimenticata. Una serie di speculatori inventano una speculazione sul turismo, che riesce. Ma era logico che riuscisse, perché è l’andare nel verso di quello che l’Italia realmente è. Il caso eclatante e paradossale è quello della Sicilia che non ha avuto lo stesso sviluppo turistico della Sardegna.

Oasi di Vendicari

Per cui negli anni ’60 la mentalità era: meglio Priolo, meglio l’industria, che non poter fare niente. Oggi si è rovesciato tutto. Ecco come la nostra sensibilità è mutata: Priolo appare un fallimento e l’Oasi di Vendicari un miracolo. Chi vede l’oasi di Vendicari si compiace che l’identità di quella natura sia stata preservata. Ma la percezione di oggi è molto diversa da quella degli anni ‘60, ‘70, ’80, che hanno prescritto solo distruzione e orrore, come se fosse progresso. Oggi si capisce che quel progresso è un errore e il modello culturale vincente è quello di un signore svedese con una madre romana, che fa il restauro integrale di un borgo che si chiama Santo

Santo Stefano di Sessanio

Stefano di Sessanio, un posto bellissimo vicino l’Aquila, che non è stato completamente distrutto dal terremoto e che è stato rimesso in piedi nell’integrità di quei muri, in una dimensione che è quella di un luogo che ha mantenuto le sue caratteristiche e che è diventato uno dei miracoli del turismo italiano recente, portando i valori immobiliari da 1 a 100, semplicemente salvando l’integrità di quel luogo.
Ora, queste considerazioni di oscillazione della sensibilità servono per capire che quando i nostri costituenti hanno scritto l’art. 9: <<La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione>>, non avevano neanche il sospetto che potesse capitare quello che è avvenuto dopo. Il primo comma è stato accolto e ha trovato una realizzazione di quell’indicazione che era come un’aspirazione, perché di fatto la promozione e lo sviluppo della cultura ci sono state; l’Italia nel ’38 era un Paese con un alto tasso di analfabetismo, oggi c’è la scolarità obbligatoria.
Il secondo comma invece è quello su cui possiamo avere una serie di dubbi.

Palazzo di Giustizia di Firenze

Il Palazzo di Giustizia costruito nella più bella città d’Italia (Firenze) ne costituisce un esempio. La cupola di Santa Maria del Fiore è più bassa di quell’ammasso di cemento dall’architettura orribile con 8 lati, che non si potrebbe immaginare neanche a Dubai o in Texas. E’ stato inaugurato nel 2013 dopo 30 anni di faticose lavorazioni ed è costato 600 milioni di euro.
Quindi questo è quello che noi offriamo: l’Italia di Michelangelo, l’Italia di Bernini, l’Italia di Bramante, l’Italia di Palladio, l’Italia della Bellezza, oggi presenta nella sua principale città questo orrore.

Il grattacielo di Fuksas per il Consiglio Regionale a Torino

Ma andiamo in un’altra fra città più belle d’Italia: Torino. È una città che ha uno sviluppo orizzontale, in tempi novecenteschi è stata anche il luogo dove è nata la metafisica di De Chirico. Questo grattacielo, progettato dall’architetto Fuksas, è costato alla Giunta Regionale piemontese qualcosa come 222milioni di euro, di cui 22milioni solo in arredi. Dunque orrore … su orrore … su orrore … e la negazione della condizione urbanistica prevalente di Torino.
Anche città più piccole non sono risparmiate. Scopriamo per esempio come una stupenda città italiana al confine con la Francia, che è La Spezia, nel 2014 sia stata rovinata da orrendi archi di cemento armato disegnati dall’ “artista” francese Daniel Buren, che il Comune ha deciso di inserire in Piazza Verdi, al posto dello storico filare di pini. Ho dato incarico al mio legale Giampaolo Cicconi di denunciare il sindaco della Spezia (Minimo Federici) per i reati di danneggiamento e vandalismo, avendo egli consentito la devastazione di questa Piazza. Pensate che su questo ho trovato dalla mia parte persino il singolare personaggio Dario Vergassola, il quale, pur essendo ideologicamente distante da me, accorgendosi di quest’oscenità, mi ha dato ragione.

Non bastando quello che avete visto arriviamo anche in Sicilia. L’intervento di un grande artista che è Alberto Burri ha segnalato come la morte del paese di Gibellina, ricostruita in maniera discutibile altrove, e quindi dove c’era la vecchia Gibellina, con tutti gli edifici abbattuti, è sceso come un sudario. Con intelligenza Burri ha coperto questa parte della città perduta e ha lasciato solo un assetto viario. Dunque un’azione consistente e definitiva che rispecchia un’idea forte, quella di dire: questa è come la lapide di un paese perduto. Ma non riescono a capire che lo spirito era quello. Allora c’è il solito mafioso, a Castelvetrano che monta le pale eoliche. Nel territorio che va da Palermo a Mazara del Vallo ce ne sono 850. E quest’orribile devastazione del paesaggio  – di cui sono stato il più radicale oppositore, dopo aver fatto tante denunce ed aver parlato con la Magistratura imbelle – non ci fa di certo rivivere quella poesia dei viaggi del grande critico d’arte e scrittore Cesare Brandi: “Per andare a Mozia da Palermo, se uno vuol fare una delle strade più belle del mondo, prende da Costiera e passa da Castellammare, e quello che vede è così multiplo e diverso, come se invece di percorrere quelle poche centinaia di chilometri, ne facesse migliaia: tanto in poco spazio il panorama è variato e il mare si offre in modi così differenti e così belli. Per di più la strada è ancora poco alterata da vezzosi edifici moderni …  lasciatemi dire che non si pagherebbe mai abbastanza per tenere questa costa, che è certamente la più bella della riviera, ancora intatta come ancora certo non lo è più la riviera né a Levante né a Ponente in Liguria”. Quindi ci indica un paradiso in Sicilia.

Ebbene, oggi la bellezza di questo percorso è stata deturpata da 850 pale eoliche, di cui la metà inattive. Questa è una violenza che tocca solo le regioni meridionali; se andiamo in Calabria, in Puglia, in Campania ne vedremo a migliaia, in assoluto contrasto col disposto dell’art. 9 co. 2 della Costituzione. Ma perché la Costituzione è stata così poco rispettata? Perché non era neanche immaginabile che si sarebbe arrivati fino a questo punto. Un “pensiero” corroborato persino da alcuni professori che a scuola insegnano che le pale eoliche producono finalmente energia pulita ecc. Tutta retorica con cui le industrie multinazionali – favorite dalla mafia – hanno imposto questi orrori ingenerando l’idea che comunque è meglio un sacrificio di bellezza purché ci sia energia pulita. Quindi intere colline ricoperte di pannelli fotovoltaici e di pale eoliche. Si è assecondata un’idea di progresso e di sviluppo basato sull’energia pulita, senza però tenere conto che anche questo è un alto tradimento.
Insomma, gli esempi in cui in la Bellezza in Italia viene brutalmente colpita potrebbero continuare all’infinito, ma restando in tema di “tradimento”, il più grave a livello costituzionale si consuma da tempo nei riguardi del 2° comma dell’art. 1: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“. Anche questo sarebbe un bellissimo discorso se non fosse totalmente disatteso ormai da vent’anni a questa parte, con leggi elettorali che tolgono ai cittadini la possibilità di poter scegliere un partito e dei candidati decenti. C’è un’accozzaglia di partiti irriconoscibili, perché non si identificano più nei valori originariamente ascritti al loro tradizionale “ruolo storico”. Si sono cancellati i valori culturali della politica: essere socialista, essere repubblicano, essere comunista, essere radicale, essere democristiano, voleva dire “essere qualcosa”, avere un’idea e una concezione del mondo che s’identificava in alcuni valori. Dunque si è passati dall’essere allo stare: io sto da una parte o dall’altra, in una ripartizione senza senso, di blocchi molto eterogenei, in cui ad esempio un Follini diventava del PD essendo un democristiano, o un Dini che è stato per lungo tempo presidente della Commissione Esteri del Senato con Berlusconi, poi lo è stato per 5 anni con Prodi. Questo “modo di stare” e non “di essere”, si è andato sempre più esacerbando negli anni fino alla nascita di partiti come Scelta Civica e Nuovo Centrodestra di Alfano, Futuro e Libertà di Fini, tutte entità nate da interessi particolaristici che non hanno portato nessun bene sociale e che alla fine si sono sciolte.
Dopo queste esperienze fallimentari si è arrivati persino a qualcosa di peggio, il Movimento 5 Stelle. Quale destino vogliate che sia riservato nel futuro ad un partito che ha la denominazione di un albergo? Ora, pensare che siamo arrivati a questo, indica la decadenza assolutamente straordinaria dei valori della politica, che sono poi riflessi nel fatto che la “sovranità del popolo” è totalmente disattesa, perché nessuno di noi sa qual è il suo parlamentare di riferimento, dove lo ha eletto e come si chiama. Una volta la preferenza stabiliva un rapporto diretto tra un rappresentante e il suo gruppo sociale. E’ questo il motivo per cui ci troviamo in Parlamento delle facce che non abbiamo mai visto. Il M5s è l’emblema di quest’assurdità, in cui i candidati prendono voti dall’unico potente attrattore di voti che non può essere eletto perché non si candida: Beppe Grillo.
Ma indipendentemente dai singoli partiti, tutti i risultati della mia analisi scientifica e di pensiero mi portano a dire che nelle scelte della politica, alla fine, a pagarne le conseguenze è stato sempre il concetto di Bellezza … e in generale le belle idee che fanno parte della nostro “DNA” e del substrato culturale degli italiani. Mi limito in questa sede a citare solo due casi eclatanti.
Il primo è la proposta di modifica dell’art. 1 della Costituzione, da parte dell’on. Serena Pellegrino, con la previsione di un 3°comma: “L’Italia ha la sua identità nella Bellezza”. Ebbene, questa modifica non altrimenti definibile se non in meius, ha vergognosamente ricevuto soltanto 150 firme. E se proprio ritenevano che era molto difficile modificare l’art. 3, avrebbero potuto inserirla come preambolo, a testimonianza, anzi, di come la nostra Costituzione sin dal principio, rispecchia l’Italia nella sua bellezza.
Ma se allora Giuliano Amato non accolse la richiesta del Papa di inserire le “origini cristiane” nella Costituzione europea, adducendo che una Carta dei Diritti deve avere un temperamento assolutamente laico, figuriamoci se in Italia si sarebbe potuto approvare qualcosa di altrettanto intelligente e tra l’altro concretamente più fattibile, in quanto la Bellezza non pone il problema della laicità.
Io lo ritengo ingiustificato il silenzio nella Costituzione europea sul fondamento della nostra fede cristiana. Quella non era un’idea di un religioso che vuole a tutti i costi indurmi a credere, ma la semplice constatazione che noi siamo una civiltà cristiana che ha un’articolazione di valori, di simboli, e di rappresentazioni che sono quelli e ci caratterizzano, anche se non siamo poi cristiani nella nostra fede personale. Quindi la Costituzione europea è priva di ogni riferimento “identitario”.
A tal uopo va anche precisato che il mondo della cristianità ha sempre avuto rispetto e propensione ai valori della laicità. Per renderci conto di questo basta solo mostrarvi uno dei più straordinari dipinti del Rinascimento italiano che è La Scuola di Atene. In quest’architettura scorgiamo l’armonia di un “Tempio della Bellezza”, che non è cristiano. Non sono cristiani neppure i personaggi Platone, Aristotele, Dante, Boccaccio, Petrarca, Raffaello, Michelangelo, pur trovandoci nella “Stanza della Segnatura” (una delle quattro “Stanze Vaticane”). Questa è la testimonianza di come la religione cristiana in realtà si fonda su dei valori culturali che hanno la loro sintesi nella “Scuola di Atene”. E’ un’opera la cui magnificenza è sotto gli occhi di tutti: da il senso di una civiltà che genera un’altra civiltà, e che è basata sul sapere … sul desiderio infinito di conoscenza. E’, forse, il più importante dipinto del Rinascimento italiano.

C’è una totale assenza di consapevolezza delle nostre “fondamenta”, e questa ignoranza poi si riverbera anche nelle “Carte scritte” per eccellenza.
Allora una delle primissime proposte in Parlamento di “RINASCIMENTO” sarà quella di modificare l’articolo 1, oppure far inserire nel preambolo della nostra Costituzione la seguente articolazione: “L’Italia è una Repubblica democratica che riconosce la Bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali, storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche, naturali”. Quindi una constatazione di quello che rende veramente distinta l’Italia, dalla Finlandia, dalla Germania, dalla Polonia; una bellezza quasi insolente, ovunque diffusa, che caratterizza la natura dei nostri luoghi, dei nostri edifici, dei nostri paesaggi, delle nostre città, della nostra storia.
Il riconoscimento di questa “natura tipica”, sarebbe un elemento che, come dicevo, addirittura va al di sopra della Costituzione stessa. E’ un ipotesi in cui credo molto … per la quale mi batterò … e chissà se fra qualche anno non diventi realtà! Perché, badate, non è solo un discorso a livello costituzionale, ma concretamente attuabile. L’intera economia italiana può ripartire “a tutto gas” con un progetto che metta al centro la Bellezza. Abbiamo un patrimonio immenso che racchiude un’economia ignota. E di questo la politica non si occupa. E’ come se il governatore delle Maldive fingesse di ignorare il mare. Carlo Petrini ci ha già dato una lezione incredibile in questo senso. Con  lo Slow food, ha trasformato in economia quello che prima era solo un peperone. Ora c’è “il peperone Presidio slow food”. Geniale. Poi è arrivato Oscar Farinetti, che ha fatto diventare globale quello che era nazionale. Ecco, il modello Slow food voglio applicarlo all’architettura, che non prevede pale eoliche ma un ritorno all’edilizia con materiali tradizionali e dall’impatto estetico positivo.
In una mia recente fatica letteraria Il Tesoro dItalia ho parlato molto di cibo, ma ho fatto anche un attacco sferrato alla politica, denunciando una enorme  dilapidazione di denaro pubblico. Per quel che riguarda solo gli allestimenti, l’Expo è costato agli italiani intorno a 170 milioni di euro, per mettere in piedi delle architetture senza senso, o fare sparare dei fulmini ad una macchina senza senso – il cdd. Albero della Vita – oppure una mostra sul cibo e l’arte, costata circa 8 milioni di euro, fatta da un critico del tutto ignaro in Italia e solo attenta ai contenuti cibari. Da parte mia, con una spesa di 750 mila euro, che è una cifra particolarmente modesta rispetto all’arrivo di 250 dipinti antichi e 100 moderni, assieme alle fotografie, ho dimostrato a Renzi che l’Albero della Vita non è fatto di luci e artifici, ma è quello straordinario Reliquiario di Lucignano (alto circa 3 metri, che si ispira all’iconografia francescana del “Lignum vitae”, uno schema compositivo derivato dall’omonimo trattato che Bonaventura da Bagnoregio scrisse nel 1260). Ebbene, quel “motivo fitomorfo”, è stato per me l’emblema, la vera essenza dell’Expo:  un “albero” ricco di storia, di metafore di vita e di spirito, di “frutti” come la virtù: “un componimento mistico” in campo artistico oltre che teologico e letterario.
La Bellezza è l’ultimo “appiglio” che ci è davvero rimasto; è quello che dovremmo tutti riconoscere come l’urgenza più chiara e cogente. Se l’Italia avrà questa coscienza, essa si affermerà nel mondo! Quello che in Italia si produce è conosciuto nel mondo, perché è marchiato “Bellezza”; che va dai cibi, ai vestiti, all’artigianato, alle automobili ecc.
Io, come buon auspicio, vorrei concludere questa mio discorso non con la parola “fine” ma con la parola “inizio”. Una metafora che è rappresentata dal connubio dell’articolo 1 della Costituzione con la natura rivoluzionaria che “apre” il mio libro La Costituzione e la Bellezza; mi riferisco al Quarto Stato. Una singolare composizione che è la prima pala d’altare totalmente laica orizzontale. Le pale d’altare solitamente sono posizionate sugli altari, in verticale verso l’alto, e sono rappresentazioni in cui l’umanità viene protetta dalle divinità. Qui siamo nel 1902, e il “cristianesimo socialista” presuppone che i diritti li conquisti il popolo senza bisogno dell’aiuto di Dio; per questo il dipinto è senza cielo. Ne esalto l’importanza proprio in questo rovesciamento della tradizionale composizione. Quando io, assessore di Milano, lo misi in mostra per l’ennesima volta alla Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale, lo volli completamente appoggiato a terra, senza un altare e neanche un piedistallo, proprio perché ci desse la sensazione di un popolo che dalla campagna avanza e ci viene incontro per consegnarci i diritti che ha conquistato con le lotte, il lavoro, la fatica, la perseveranza.
Io voglio credere nella grande democrazia di quest’opera, nel forte segnale di questa “percezione nuova” che essa ci dona: la necessità di sentire che questi valori vanno difesi, perché sono valori che ci portano a conseguire la Verità, vincendo il male, la violenza, la mancanza di resistenza della Ragione, che è quello su cui si fondano le civiltà.
Viva l’Italia. Viva il “RINASCIMENTO”>>.

 

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