Verità cancellate, libertà rubata, giustizia negata alla Sicilia

Condividi questo articolo?

sicilia-dominataOvvero dimenticati fasti reiterati oltraggi

di Guido Di Stefano

   E’ ragionevole supporre che tutti i popoli che si sono affacciati sul Mediterraneo abbiano calcato il suolo di Sicilia. E tutti hanno cercato di modellarla (o riprogrammarla) secondo i loro “gusti”, cancellando quanto più possibile delle memorie passate e “ricreandone” nuove.

   Probabilmente non tutti sbarcarono per “dominare” ma, quanto meno, per conoscere e prendere. Non si può escludere che le più antiche civiltà abbiano conosciuto la Sicilia. Antichi miti la citano come “spettatrice” di scontri e ripicche  (per esempio Zeus contro  Efesto, il ratto di  Proserpina)tra gli dei.

   Ma sono comunque rimasti tracce di grandezza.

   Del periodo preistorico troviamo ancora sui Nebrodi qualche tholos: antica costruzione in pietra con copertura in a cupola in pietrame “sciolto”. E, più antichi ancora, troviamo i megaliti del Lagrimusco in quel di Montalbano Elicona.

    E’ stata rinvenuta qualche traccia egizia e non sarebbe da escludere qualche approdo della flotta di oriente di Salomone.

    In ogni caso le comunità ebraiche, pur non avendo costruito una “dominazione”, diedero un forte contributo costruttivo agli isolani per tutto il medioevo e con tutti i regnanti fini alla grande inquisizione spagnola.

   La Sicilia è sempre risorta e prosperata con tutte le dominazioni (e/o invasioni) fatta eccezione per i vandali, i goti,  i papalini angioini , e gli antesignani dei neo-colonialisti cioè i “democratico-costituzionalisti” piemontesi.

   Fenici, Greci, Cartaginesi, Romani, Vandali, Goti, Bizantini,   (gran conti e re) Normanni, (re) Svevi, (re) Angioini (solo sedici anni),   (re) Aragonesi , e poi i casati di Barcellona, Trastamara, Asburgo di Spagna, Borboni di Spagna, Savoia (1713-1720), Asburgo d’Austria (1720-1724), Borboni di Napoli (1734-1816), i Borboni si susseguirono nella nazione sovrana di Sicilia . Poi nel 1816  perse l’individualità ma continuò a prosperare fino al 1860, sotto i Borboni. E in ogni epoca i Siciliani futono apprezzati per i loro meriti, in ogni campo.

   Il regno di Sardegna (a guida piemontese) aveva già perfezionato una tecnica espansionistica che molti credono recente invenzione. Con lungimiranti ed efficaci “infiltrazioni” informanti e disinformanti insieme si “stimolavano”   gli scontenti, illudendo le popolazioni con i miraggi dell’Eden in terra governato e diretto dal popolo sovrano. Proliferarono rivolte e sommosse seguite all’occorrenza da interventi militari esterni e/o referendum (a suffragio non proprio universale) di annessione.

   Il regno meridionale era estremamente ricco e con grandi risorse (lo zolfo in particolare, indispensabile per la polvere nera); non poteva sfuggire agli appetiti dei nordici, che potevano contare su appoggi trasversali internazionali e interni.

   Scattò l’invasione! La storiografia ufficiale (o di regime) ha sempre evidenziato la spontaneità della spedizione dei mille volontari, diventati poi ventiquattromila alla battaglia di Milazzo, passati da una folgorante vittoria all’altra. La storiografia non ufficiale racconta di ottocento reali carabinieri (più duecento volontari) A Marsala (e Calatafimi) e di diciottomila militari del reale esercito sabaudo a Milazzo: dicono che qui la vittoria fu regalata dal sovrano borbone per circuizione diplomatica.

   Cominciò in pratica l’era dei misteri: le vittorie sul campo, la composizione delle truppe, l’oro del banco di Palermo, la morte del seguitissimo  Rosolino Pilo (colpito in combattimento alla nuca il 21 maggio 1860), la scomparsa (naufragio?) del vapore Ercole ai primi del marzo 1861 su cui era Ippolito Nievo ed altri militari che ben conoscevano  “ tutti i documenti amministrativi e ricevute delle spese sostenute dalla spedizione” che viaggiavano con loro verso Napoli per essere consegnati ai vertici. Il vapore sparì nel nulla delle acque del Tirreno ed era notte.

     E dall’unità iniziò la morte della Sicilia e del meridione.

E mistero tra i misteri sembrerebbe che Giuseppe Garibaldi nella seduta della Camera del 18 aprile 1861 manifestò molti dubbi sul trattamento e sui pregiudizi riservati al meridione dopo l’unificazione (spontanea ma non troppo): vi alleghiamo l’estratto intero come l’abbiamo reperito, con la denominazione “Garibaldi alla camera”.

    D’altra parte osservatori non “di regime” si “dilettano a evidenziare i comportamenti del potere centrale nei confronti del meridione in genere.

    Notano ad esempio che già dal 1861 il sud subiva un “innaturale” aumento delle tasse mentre per il nord si accresceva il potere. E per continuità storica neppure il cambio di regime, né la guerra, né la liberazione favorirono il meridione in genere e la Sicilia in particolare.

    Mai un grazie per l’oro di Palermo, né per lo zolfo allora o per le risorse energetiche ora, né per le manifatture traslate, né per i morti sacrificati alla patria comune, né per la resistenza siciliana, né per le risorse continuamente catturate da Roma a favore del centro-nord o (se si vuole) regalate da compiacenti complici a  Roma (e parliamo di miliardi di Euro).

    La Sicilia muore spogliata e dissanguata senza che le venga riconosciuto nessun merito (e ne ha tanti) in ogni campo. Noi Siciliani i non razzisti, i fratelli di tutti (è storia) veniamo sempre dipinti a fosche tinte dai colonialisti del centro-nord, complici tanti Siciliani (forse solo di nascita non di animo) che praticano disinvoltamente l’attività  del “fango per putti”.

    Misteri infiniti che si aggiungono a quelli del passato e si inseguono: la morte di Canepa e dei suoi, il “sonno” dello statuto speciale, la morte di Falcone, Borsellino,Livatino, La Torre, Dalla chiesa, tanti fedeli servitori dello stato, la strage di Ustica ef effetti collaterali.

   Così nascono anche le leggende metropolitane: troppe per elencarle tutte. Ci limitiamo a quella di Ustica perché anche come leggenda è legato allo “status” per la Sicilia di nazione occupata. Dicono i “visionari” che l’aereo di Ustica fu investito dall’esplosione di un MIG Kamikaze (ben imbottito di esplosivo e colpito da un missile) che cercava “l’ombra” nel volo civile. Un’alta personalità dello stato ebbe a dire che con quegli 81 morti si era “fermata” la terza guerra mondiale; al che i soliti visionari hanno interpretato che quell’aereo Kamikaze poteva essere destinato a distruggere un trasporto occidentale di testate atomiche.

Certamente non è vera la predetta leggenda: ma allora non sarebbe opportuna una maggiore chiarezza e precisione nelle informazioni e parole che piovono dalle alte sfere dello stato?

     E comunque se noi Siciliani siamo l’essenza del male perché gli Italiani ci hanno invasi e non ci vogliono lasciare liberi?

GARIBALDI ALLA CAMERA (18 aprile 1861)

Presidente [Urbano Rattazzi] : — La parola è al deputato Garibaldi. {Movimento generale di attenzione)

Garibaldi: — Mi permetterò prima di tutto di fare una breve osservazione al discorso dell’onorevole Ricasoli, e di ringraziarlo per avere messo in campo una questione per me gitale, trattandosi di difendere i miei compagni d’arme: io ne a ringrazio di cuore. Affermerò con lui che l’Italia è fatta; ne ho la coscienza, perché ho fede nel nostro forte esercito e A’ più conto sull’entusiasmo e sulla generosa volontà di una n zione che già tante ha dato prove di valore, ancor senza esse esercito disciplinato e regolare. Sì, ripeto col deputato Ricasoli  l’Italia è fatta; ad onta degli ostacoli che intrighi individuali vogliono frapporvi, l’Italia è fatta.

Debbo dire ancora una parola relativa al discorso dell’ono­revole Ricasoli, ed è sul « dualismo ».

Sebbene non si sia espresso, mi permetta la camera di dirlo francamente, io credo che colui che è designato di capitanare una delle parti del dualismo, allegato dall’onorevole Ricasoli sono io. (Movimento) E giacché disgraziatamente sono stato portato ad una questione personale, dirò ancora che io sono compiutamente convinto, nel più profondo dell’animo mio che io non ho mai dato motivo a questo dualismo.

Mi sono state fatte proposte di riconciliazione, è vero; però queste proposte di riconciliazione sono state fatte con parole; ma l’Italia sa che io sono uomo di fatti, ed i fatti sono sempre stati diametralmente opposti alla parola di riconcilia­zione. Io dico adunque: tutte le volte che quel dualismo ha potuto nuocere alla gran causa del mio paese, io ho piegato, e piegherò sempre. (Applausi nella camera e dalle tribune) Però, come un uomo qualunque, lascio alla coscienza di questi rappresentanti dell’Italia il dire se io posso porgere la mano a chi mi ha fatto straniero in Italia. (Rumorosi applausi della galleria)

Presidente: — Avverto le tribune che è vietato qualsiasi segno d’approvazione e di disapprovazione, e se non si mantiene l’ordine, sarò costretto di farle sgombrare. (Bravo! Bene!)

Garibaldi: — Ciò dico quanto al dualismo. In conse­guenza di questo però non sono d’accordo coll’onorevole Rica­soli che l’Italia sia dimezzata. L’Italia non è dimezzata, è in­tera; perché Garibaldi e i suoi amici saranno sempre con coloro che propugnano la causa d’Italia e ne combattono i nemici in qualunque circostanza. (Bravo! Bene!)

Risponderò ora alcune parole al signor ministro della guerra. Egli mi obbligò, e ne sono addolorato, a scendere nel campo della individualità. Il ministro della guerra disse, e la camera avrà ciò osservato, che per patriottismo andò nell’Italia cen­trale a sedare l’anarchia.

Fanti [ministro per la guerra]: — Non ho detto tal cosa.

Presidente: — Non mi pare che abbia detto questo.

Voci: — No! No! No!

Altre voci: — Sì! Sì!

Garibaldi: — Questo è un fatto; io non rispondo che alle parole del ministro della guerra.

Presidente: — Perdoni l’onorevole Garibaldi, non ha ben udito …

Garibaldi: — Me ne appello a quelli che reggevano il governo, se v’era dell’anarchia nell’Italia centrale.

Presidente: — Non sono state dette precisamente queste parole dal signor ministro. Del resto il suo discorso è scritto e si può verificare. Ha detto, credo, che si temeva l’anarchia.

Garibaldi: — Non c’era nessunissimo pericolo di anarchia. Io chiedo permesso alla camera di annunciarle che vera­mente con dolore io sono sceso a personalità, ma doveva ri­spondere a qualche cosa che attaccava il mio decoro, la mia dignità di uomo, la mia dignità di comandante delle forze del­l’Italia centrale, che si trovavano in quell’epoca a Modena.

Adesso, se mi permettono, io dirò alcune parole sul prin­cipale oggetto che mi portò oggi alla presenza della camera, che è l’esercito meridionale.

Dovendo parlare dell’armata meridionale, io dovrei anzi tutto narrare dei fatti ben gloriosi; i prodigi da essa operati furono offuscati solamente quando la fredda e nemica mano di questo ministero faceva sentire i suoi effetti malefici. (Rumori e agitazione) Quando per l’amore della concordia, l’orrore di una guerra fratricida, provocata da questo stesso ministero … (Vivissimi richiami dal banco dei ministri — Violenta interru­zione nella camera)

Molte voci a destra e al centro: — All’ordine! All’ordine!

Presidente: — Prego l’onorevole generale Garibaldi… [1 rumori coprono la voce)

Di Cavour C. [presidente del Consiglio]: — (Con im­peto) Non è permesso d’insultarci a questo modo! Noi prote­stiamo! Noi non abbiamo mai avuto queste intenzioni. (Ap­plausi dai banchi dei deputati e dalle tribune) Signor presi­dente, faccia rispettare il governo ed i rappresentanti della na­zione! Si chiami all’ordine! (Interruzioni e rumori)

Presidente: — Domando silenzio. Al presidente solo spetta il mantenere l’ordine e regolare la discussione. Nessuno k disturbi con richiami!

Crispi:   — Domando  la  parola per  l’ordine della discussione.

Garibaldi: — Credeva di aver ottenuto, in trent’anni di servizi resi alla mia patria, il diritto di dire la verità davanti ai rappresentanti del popolo.

Presidente: — Prego l’onorevole generale Garibaldi di esprimere la sua opinione in termini da non offendere alcun membro di questa camera e le persone dei ministri.

Di Cavour C. [presidente del Consiglio]: — Ha detto che abbiamo provocato una guerra fratricida! Questo è ben altro che l’espressione di un’opinione! {Interruzioni e voci di­verse da tutti i banchi)

Garibaldi: — Sì, una guerra fratricida! (Tumulto vàis­simo nella camera e nelle tribune)

Molte voci: — All’ordine! All’ordine! È un insulto repli­cato! È un insulto alla nazione! È una provocazione scritta! Voci a sinistra: — No! No! Si lasci libertà della parola! (Molti deputati abbandonano i loro stalli — Rumori da tutte le parti della camera — II presidente si copre il capo — Gran numero di deputati è sceso nell’emiciclo, dove si disputa vivamente)

(La seduta rimane sospesa per un quarto d’ora — Cessata la più dolorosa agitazione, la seduta è ripresa alle ore 4 in pro­fondo silenzio)

Presidente: — Sono costretto, con dispiacere, di disap­provare altamente le parole testé sfuggite all’onorevole generale Garibaldi, colle quali egli faceva censura ingiusta e non par­lamentare al ministero, d’aver voluto promuovere una guerra fratricida. Io prego l’onorevole generale Garibaldi a volersi aste-nere da siffatte censure nel suo discorso, perché mi costringe­rebbe, quando proseguisse in questo modo, a togliergli la parola. Ora intanto gli accordo nuovamente la facoltà di parlare per proseguire.

Garibaldi: — (Movimento di attenzione) Dunque non parlerò dell’azione ministeriale nell’Italia meridionale.

Il nostro re guerriero e galantuomo dichiarò più volte be­nemerito della patria quell’esercito meridionale. La camera, spero, non mi lascierà solo ad affermare che esso fece il suo dovere. (Segni di assenso)

Molte voci: — È vero!                                               ,

Garibaldi: — La storia imparziale dirà il resto. Ma domando: che cosa ne ha fatto di quelle schiere il ministro della guerra? Egli poteva fonderle coll’esercito nazionale, come aveva fatto con quello dell’Italia centrale. Se nella mente sua stava che l’armata meridionale fosse men degna della centrale, po­teva farne un corpo separato dell’esercito nazionale. Se poi l’armata meridionale non si voleva viva sotto nessuna forma, doveva scioglierla, ma non umiliarla.

(…) Dirò solamente che se si voleva conservare l’armata meridionale, si poteva dare a ciascuno uno, due, tre mesi di permesso, e non solleticarli con sei mesi di soldo perché se ne andassero … (Applausi, e una voce forte dalle gallerie: — È vero! È vero! — Vivi richiami dalla camera)

Presidente: — (Con forza) Invito di nuovo le tribune al silenzio …

Voci dal centro e dalla destra: — Le faccia sgombrare! Le faccia sgombrare!

Presidente: — Al più lieve segno di approvazione o disap­provazione che parta dalle tribune, io le farò inesorabilmente sgombrare!

Nuove voci: — Le faccia sgombrare subito! Lo scandalo è ripetuto!

Presidente: — Prego i signori deputati di far silenzio: al solo presidente spetta di mantenere l’ordine nella camera.

La parola è al signor Bixio.

Bixio: — (Movimento d’attenzione) Io sorgo in nome della concordia e dell’Italia. (Bravo! Bravo!) Quelli che mi cono­scono sanno che io appartengo sopra ad ogni cosa al mio paese. (Segni di approvazione)

Io sono fra coloro che credono alla santità dei pensieri, che hanno guidato il generale Garibaldi in Italia (Bravo!), ma appartengo anche a quelli che hanno fede nel patriottismo del signor conte di Cavour. (Applausi) Domando adunque che nel nome santo di Dio si faccia un’Italia al di sopra dei partiti. (Applausi vivissimi e prolungati nella camera e dalle tribune)

Io ritorno da Parigi, ove certamente ho veduto amici di tutti i paesi e del nostro; uomini che venivano dalla Polonia, dalla Germania, dall’Ungheria, e tutti, credetelo, o signori, tutti sono attristati che i due uomini, i quali, a parer mio, rap­presentano in Italia il patriottismo più elevato, siano talvolta tra loro in discordia. (Movimenti) Io lo dico al generale Garibaldi (Bene!), e lo dico al conte di Cavour (Bene!); il gene-teorico, asseriva di non essere entusiasta del tipo di centralizza francese che alla fine venne imposto. Tuttavia, nella generale situazione di emergenza, occorreva una soluzione rapida, semplice, uniforme, e vi erano persone influenti, nelle sue coalizioni, favorevoli allo Stato forte e centralizzato. Cavour si oppose, ad ogni tipo di federazione, pronto tuttavia a fare concessioni direzione della decentralizzazione, posizione che continuò a sfatare sul piano elettorale là dove esistevano dei forti sentimenti autonomisti.

II suo gabinetto giunse fino a proporre di creare un nuovo sistema che raggruppasse le province esistenti in regioni dotate dì certe funzioni amministrative e consultive. Questo progetto, però fu steso senza troppa convinzione dal ministro degli interni Farini. Lo schema non era nell’insieme molto chiaro, senza dubbio a causa delle differenti opinioni esistenti all’interno del governo. Al­cuni dei colleghi di Cavour erano preoccupati soprattutto di elimi­nare le differenze regionali, o, per lo meno, le vecchie frontiere regionali. Altri, ad esempio fra i siciliani e i toscani, si oppone­vano al regionalismo perché esso avrebbe potuto significare il predominio di Palermo sulla loro città natale di Messina, o di Firenze su Livorno.

La legge, presentata infine al parlamento da Minghetti senza molto entusiasmo, non venne approvata, e il sistema piemontese vigente venne imposto con alcune modifiche al resto d’Italia, come già era successo in Lombardia, causando numerosi malcontenti, spe­cialmente nelle ex capitali. Le cause del fallimento della legge Minghetti, e le conseguenze che ne derivarono sarebbero state am­piamente dibattute negli anni successivi. Cavour, se fosse vissuto, avrebbe senza dubbio saputo imporsi, riuscendo in qualche modo a concedere più ampia espressione alle forze e alle tradizioni locali.

Potrebbe interessarti

Leave a Comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.