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Politica - Le mani dei Texani sull'oro nero della Sicilia

In edicola > Articoli pubblicati > N°1_2011

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I mari della Sicilia depredati dai vecchi e nuovi petrolieri
Le mani dei Texani sull'oro nero della Sicilia
L'area più a rischio è quella che va da Gela verso le coste ragusane: lo stesso braccio di mare che nel corso dello scorso anno ha prodotto 172.000 tonnellate di greggio

Di ERNESTO GIRLANDO

Il cammino sociale ed economico di un paese, di un'area, di una regione non è mai segnato. E' sempre una scelta. Che parecchi dilemmi sul modello di sviluppo futuro (e presente) delle nostre terre non facciano più parte del dibattito politico è una grave diserzione, una delle tante che sono motivo di discredito e rivelano la pochezza della politica, diventata pura e semplice amministrazione dell'ordinario. Ciò non è nemmeno triste. E' pura follia, nel senso proprio del termine. Una follia accecante che ha condotto il nostro personale politico a costruirsi un mondo fatto di beghe interne, di vanità personali, di un cursus honorum castale e avulso da quella realtà sociale che dovrebbe essere la sola materia prima della politica. Ogni goccia di sudore versata per regolamenti di conti interni, per dispute correntizie, è una goccia che la gente percepisce come sottratta alla politica e rubata agli elettori.
Nemmeno la stampa internazionale, il prestigioso quotidiano britannico "The Independent", che appena un paio di mesi fa parlava di un "paradiso colpito dalla maledizione dell'oro nero", è riuscita a smuovere la politica locale dal suo torpore e, meno che mai, a suscitare in essa quell'effetto di ripensamento culturale e politico sufficiente a capire che il problema esiste ed è pure strutturale.
Il lavoro di chi fa politica è parlare di queste cose. E se non ora, quando?
La nuova ondata di trivellazioni che si abbatte sul territorio del sud-est siciliano e sul mare prospiciente le coste ragusane (e non solo), contrariamente a quanto avvenuto in altre province siciliane, o nella stessa area iblea in un recente passato, passa tra le maglie lasche dell'indifferenza della politica e degli enti territoriali ragusani. Che, a volte, non sono solo indifferenti, ma cercano pure di trarre illusorie rendite dalla corsa all'oro nero.
All'inizio della scorsa estate, diverse compagnie petrolifere hanno ottenuto le autorizzazioni da parte della Regione per trivellare nel sottosuolo in territorio di Scicli. A Cammarana, a due passi dalla zona archeologia dell'antica città di Kamarina, la terra ha tremato, per diverse settimane, 24 ore al giorno sotto i colpi dell'impianto di trivellazione. Poco più in là, in mare aperto, il campo Vega, la più grande piattaforma petrolifera offshore del mare di Sicilia, torna in funzione. Contestualmente, altre autorizzazioni vengono rilasciate dal Ministero dello Sviluppo Economico alla Peal per la ricerca di idrocarburi in un tratto di mare compreso tra Pozzallo e Marina di Ragusa.
Fanno parte delle oltre 40 richieste presentate al Ministero in un periodo di tempo che va dal 2002 al 2010 e che riguardano un tratto di costa che va da Trapani a Siracusa, per un totale di un'area che si aggira sui 20 mila chilometri quadrati. Delle 40 richieste, la metà hanno fino ad oggi ottenuto le autorizzazioni necessarie dai ministeri competenti. Siti dell'Unesco inseriti nella prestigiosa World Heritage List, città a forte vocazione turistica, riserve naturalistiche, aree marine protette, financo i Templi di Agrigento e Selinunte, sono minacciati dal rischio, dal depauperamento, dall'inquinamento, considerato che la gran parte dei permessi riguarda siti di ricerca situati a un tiro di schioppo dalla terraferma, sui quali convergono gli appetiti di diverse compagnie petrolifere. Che rischiano di mandare all'aria le attività di resort di lusso e di strutture ricettive che dall'Europa hanno ottenuto sostanziosi capitali per incentivare lo sviluppo del turismo e la promozione delle risorse territoriali. Insomma la solita ambiguità che pervade la vita e il destino di una terra che non sa dove andare. Un sistema di sviluppo legato alle vocazioni più intrinseche dell'isola, e l'incoerenza che lascia spazio alle ricerche petrolifere o alla cementificazione selvaggia e indiscriminata del territorio.
Ma se da più parti arrivano segnali di resistenza alla minaccia dei petrolieri e alla caccia all'oro nero siciliano, a Ragusa vige il silenzio più angosciante. Se i sindaci delle città costiere siciliane si mobilitano per organizzare iniziative di protesta - incredibilmente d'accordo a prescindere dalle appartenenze partitiche - a Ragusa il sindaco del capoluogo sigla un'intesa con tre compagnie petrolifere in base alla quale queste si impegnano a riqualificare Piazza della Libertà, nel centro cittadino ibleo, in cambio del rilascio delle autorizzazioni necessarie a trivellare in zona Cammarana. Persino l'allora assessore al Territorio e Ambiente, l'autonomista Roberto Di Mauro, chiamava, non più di tre mesi fa, alla "rivolta" i rappresentanti dei Comuni minacciati dalle trivelle. Da Ragusa, ovviamente, non si mai è visto nessuno.
Purtroppo la Regione non ha nessun potere sulle trivellazioni offshore. Ce l'ha invece su quelle che riguardano il sottosuolo in terraferma, per le quali diverse società hanno ottenuto le autorizzazioni (vedi Scicli e Cammarana). Salvo vedersele bloccare (in zona Cammarana e in contrada Tresauro, sempre nel ragusano) a causa delle incompatibilità con i vincoli dettati dal Piano paesaggistico.
Le incongruenze proprie della politica che non pone mai mano alla soluzione definitiva, quella legislativa. Finché infatti rimarrà in vigore la Legge 14 del 2000 e i suoi disciplinari del 2003, i petrolieri avranno sempre buon gioco.
A tutti è nota l'altra incredibile vicenda dei pozzi di contrada Sciannacaporale, bloccati nel 2008 da una sentenza del Tar su ricorso del Comune di Vittoria e recentemente liberati da quella del CGA che, non entrando nel merito della questione (il pericolo acclarato dell'inquinamento delle falde acquifere), dichiara inammissibile il ricorso del Comune ipparino perché presentato con oltre due mesi di ritardo rispetto ai tempi previsti dalla legge, dando la possibilità alla Panther Oil di riprendere le attività di ricerca petrolifera (e la facoltà di chiedere al Comune di Vittoria un congruo risarcimento dei danni subiti).
Nel passato a nulla sono valsi i tentativi di riformare la materia. Ci provò nel 2005 l'allora assessore al Turismo, Fabio Granata, la cui proposta di legge venne bocciata da una maggioranza trasversale composta da una parte del centrodestra cuffariano e della sinistra diessina. Materia che scotta, sulla quale ruotano corposi interessi. Ahinoi, non nostri, ma di compagnie private, intente a subordinare gli interessi dei tanti ai propri.
Secondo dati la cui fonte è attendibile (il Ministero dello Sviluppo Economico) al 31 marzo di quest'anno sono stati 12 i permessi concessi in favore di società petrolifere interessate a operare nel Mar Mediterraneo. Oltre a Eni ed Edison, diverse compagnie estere hanno fiutato l'affare. Negli ultimi due anni la metà delle istanze di ricerca è stata presentata da due compagnie britanniche: l'irlandese Petroceltic Elsa e l'inglese Northem Petroleum Uk. L'area più a rischio è quella che va da Gela verso le coste ragusane: lo stesso braccio di mare che nel corso dello scorso anno ha prodotto 172.000 tonnellate di greggio, estratte dalle installazioni "Gela1", "Perla" e "Vega A", di Eni ed Edison. Una quantità risibile, visto che si tratta del 12% del petrolio estratto in Italia, e solo lo 0,6% della quantità complessivamente consumata nel nostro Paese. Ma evidentemente remunerativa per le compagnie petrolifere (con il greggio intorno ai 90 dollari al barile) che tentano di dare l'ultima strizzata ai giacimenti siciliani. Compresi quelli dell'area delle Egadi, che contribuiranno, sotto l'egida della Shell, con 150.000 tonnellate a questa nuova folle corsa all'oro nero siciliano.
Raffaele Lombardo dal suo blog tempo fa ci faceva sapere che "abbiamo detto basta anche alle trivellazioni nei nostri mari. Un tema nel quale occorre cura, attenzione e un rigore estremo. Ci sono grandi gruppi che richiedono le autorizzazioni, certo, hanno referenti, dipendenti, uomini politici ben disposti ad ascoltarli. Ma vengono a prendere il petrolio da noi, e cosa ci danno? Due lire. Lo raffinano e a noi la benzina costa più cara che non nella Valle d'Aosta, dove costa la metà, ma anche nel Lazio o quant'altro. E noi per quattro posti di lavoro dobbiamo inghiottire veleno? Ma quello che mi preoccupa però ancora di più è che non si diano autorizzazioni a perforare il mare."
E le trivellazioni nel sottosuolo in terraferma autorizzate dalla Regione siciliana?
Intanto qualcuno provi a spiegare a sindaci e deputati dell'area iblea, impegnati a contrastare, insofferenti ai giusti vincoli e alle regole, alla pianificazione e alla razionalizzazione dello sviluppo, l'istituzione di Parchi e l'adozione del Piano paesaggistico, cosa sta succedendo.


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