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Si poteva prevedere l'incendio del Nordafrica?

In edicola > Articoli pubblicati > N°4-5_2011

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Gli attuali sconvolgimenti possono considerarsi un mutamento geopolitico non occasionale
Ma si poteva prevedere l’incendio del Nordafrica?

La rivolta, che dapprima è nata da problemi economici che non si potevano risolvere (e si sapeva) è proseguita con la richiesta di maggiore libertà e rappresentatività, ma ora si va verso la guerra civile

La guerra è la tomba della verità e le informazioni che arrivano al cittadino sono sempre filtrate da una censura ora grossolana, ora raffinata. Anche parlare ossessivamente di un solo argomento significa coprire tutto il resto

Forse è meglio non parlare di quando una certa classe politica italiana (mai cambiata) stipulava con i dittatori arabi degli scellerati accordi segreti per rimpinguare, a cascata, le casse di alcune grandi aziende, delle segreterie di partito e quelle personali

di Corrado Rubino

Dov’erano gli esperti di geopolitica e i politologi quando nel 2004, senza troppi clamori, nasceva in Egitto il movimento Kifaya? Era uno strano calderone che cominciò a fare bollire l'insoddisfazione contro Mubarak organizzando la prima manifestazione laica pubblica al Cairo il 12 dicembre 2004. C’erano dentro tutti; dai laici agli islamisti, dagli ex marxisti agli antiamericani.

Dov’erano gli esperti di geopolitica e i politologi quando alla fine del 2010, in piena crisi economica “qualcuno” ha deciso di aumentare decisamente il prezzo dei generi alimentari di prima necessità? Chi sta dietro queste manovre speculative sapeva bene quali effetti avrebbe avuto questo tipo di aumento sulle economie deboli e in mano a regimi dittatoriali dove gli ammortizzatori sociali non esistono.

Dov’erano gli esperti quando dal 2005 sempre più giovani egiziani, libici e tunisini cominciarono ad usare internet? Si riunivano sui social network per scambiarsi nuove idee e per imparare ad usare la parola “cittadini” al posto di “sudditi”. Ma per i regimi erano solo ragazzi sfaccendati che giocavano con internet.

Che un regime ottuso e corrotto non capisca le moderne e sottili strategie della comunicazione è plausibile, ma che non le intuiscano certi soloni, cosiddetti esperti occidentali, è sconcertante.

Nessuno, nei palazzi di governo, nelle sedi diplomatiche e nelle redazioni dei giornali dei Paesi occidentali, ha previsto cosa stava per succedere nei Paesi arabi del Nordafrica e soprattutto in Libia. Per la verità alcuni analisti militari avevano per tempo previsto molte delle cose che poi sono accadute in questi giorni. Ma gli analisti militari hanno poco credito. I politici invece, quelli si, avevano capito tutto col risultato di continuare a stipulare accordi commerciali e politici senza sentire l’odore di bruciato.

I giornali scrivevano: «La Libia rappresenta per l'Italia un importante esportatore di petrolio e in chiave futura anche di gas». L'Eni divenne il principale operatore petrolifero in Libia, con una media di 550mila barili al giorno e siglò nuovi accordi su gas e petrolio con Tripoli che, a dire dei politici, «proteggerà la posizione privilegiata dell'azienda italiana almeno fino al 2047».

Quel che segue è stato scritto su una rivista di studi geopolitici nel 2009 dopo la ratifica ed esecuzione del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” tra la Repubblica italiana e la Libia, stipulato a Bengasi il 30 agosto 2008: «Il trattato di amicizia e cooperazione ha chiuso anni di diatribe storiche e politiche e denunce tra i due Paesi, anche se l'aver indossato provocatoriamente durante la visita una foto dell'eroe della resistenza libica trucidato dagli italiani lascia presagire che il leader libico continuerà ad usare l'argomento anticoloniale anche in futuro. Non deve sorprendere, il dittatore Gheddafi - ancora saldamente al potere in Libia dopo 40 anni - è stato e rimane un leader rivoluzionario legato al suo famoso libro verde. Non può fare a meno della retorica anticoloniale anche se ciò non ha impedito di tessere importanti relazioni economiche e politiche anche nei momenti più bui dei rapporti tra i due Paesi» E ancora: «Infine dopo la fine delle sanzioni americane e la riabilitazione internazionale della Libia, la conseguente apertura di Tripoli al mondo esterno e il ruolo di primo piano che Gheddafi vuole ricoprire non tanto più solo nel mondo arabo ma anche nel contesto africano, aprono nuove prospettive di sviluppo per la Libia e indirettamente per l'Italia». Fantastico! È vero, è facile parlare ora, ma a nostra discolpa c’è da dire che neanche i politici europei sono riusciti a dire qualcosa di diverso dalle solite frasi di circostanza quando gli è stata contestata la troppa disinvoltura nelle relazioni diplomatiche con i vari dittatori che il popolo egiziano e magrebino ha cacciato o sta per cacciare via. In sostanza, la gente si è ribellata ad una classe politica al potere da più di trent’anni. L’Islam, finora, non ha mai saputo creare da nessuna parte una democrazia e soprattutto non ha saputo dare risposte moderne ai loro giovani.

La rivolta, che dapprima è nata da problemi economici che non si potevano risolvere (e si sapeva) è proseguita con la richiesta di maggiore libertà e rappresentatività, ma ora si va verso la guerra civile. I movimenti islamisti, come ad esempio i Fratelli Musulmani in Egitto, non sono stati i promotori della rivolta che invece deve molto di più a una popolazione giovane, istruita, capace di usare l’internet, facebook e twitter. Aggiungiamo pure che tutti gli aiuti finanziari ed economici dati dall’Europa hanno creato ricchezza, ma per pochi e sempre per i soliti. Da questa spaccatura sociale è nata la crisi.

L’Europa sicuramente poteva premere per il cambiamento, mentre si è preferito per anni privilegiare il profitto (in alcuni casi “privato” mascherato da accordi internazionali).

Come al solito ci svegliamo tardi e ci accorgiamo così che esiste un mondo islamico che non è fondamentalista. Ma allora cosa ci hanno propinato finora? Il problema della verità se lo pongono tutte le società, ma solo quelle democratiche riescono parzialmente a risolverlo. Parzialmente perché i risultati sul terreno in Afghanistan e soprattutto l’immensa mole dei documenti divulgati dal sito Wikileaks dimostrano, ancora una volta, che la guerra è la tomba della verità e che le informazioni che arrivano al cittadino sono sempre filtrate da una censura ora grossolana, ora raffinata. Anche parlare ossessivamente di un solo argomento significa coprire tutto il resto.

Forse è meglio non parlare di quando una certa classe politica italiana (mai cambiata) stipulava con i dittatori arabi degli scellerati accordi segreti per rimpinguare, a cascata, le casse di alcune grandi aziende, delle segreterie di partito e quelle personali. Quando Gheddafi cacciò l’intera comunità italiana di 25.000 persone sequestrando i loro beni, non molti anni dopo, 17.000 italiani lavoravano nella Giamahiria e l’oro nero arrivava da noi in cambio di armi, aerei (che la Libia ha usato nelle sue guerre africane), mobili dalla Brianza, macchinari per le prime industrie che troppo spesso risultavano antiquate o inadatte. Ma erano anni in cui succedeva anche dell’altro. Gheddafi si poteva permettere, tramite squallidi personaggi siciliani, l’acquisto di un pezzo di Pantelleria, di finanziare la costruzione di una moschea a Catania, d’istituire un corso di studio all’Università di Palermo, di comprare due canali TV e un giornale (Sicilia oggi). Ma noi, furbi, abbiamo capito subito a cosa mirava e “prontamente” gli abbiamo venduto le motovedette che poi lui ha usato per sparare contro i pescatori di Mazara del Vallo.

Nel 1976 l’acquisto libico del 10% della Fiat sconcertò gli italiani. Ma pochi si scandalizzarono quando Agnelli, su richiesta ufficiale di Gheddafi, licenziò il direttore del quotidiano La Stampa, Arrigo Levi (in quanto ebreo e sostenitore d’Israele) e quando negli “anni di piombo”, a Roma, agenti libici uccidevano per strada oppositori del regime. E così mentre i partiti politici si dividevano, spesso trasversalmente, sull’opportunità o meno di frequentare Gheddafi, i servizi segreti intrattenevano i veri rapporti con Tripoli, garantendo le commesse militari e salvandolo almeno due volte da complotti e attentati; depistando quando armi di provenienza libica furono trovate in mano a italiani confermando il coinvolgimento di Tripoli nel terrorismo nostrano.

La Sicilia si ritrovò di colpo coinvolta nelle vicende internazionali quando nel 1986 l’aviazione anglo-americana bombardò Tripoli e Gheddafi lanciò due missili Scud che caddero al largo di Lampedusa. Allora ci raccontarono che “l’eccentrico” colonnello ci considerava alleati degli americani e quindi era plausibile che ci attaccasse. Da recente si è scoperto che i servizi segreti italiani lo avevano avvertito in anticipo dell’arrivo dei caccia bombardieri USA. Ma Gheddafi conosce solo il suo tornaconto è quindi eccolo di nuovo a tirare fuori la questione del risarcimento per i crimini del colonialismo italiano. La trattativa per risolvere la questione, avviata da Prodi e poi proseguita da Dini e da D’Alema, è stata chiusa da Berlusconi con la firma del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione e le “scuse” della Repubblica per le colpe del Regno e del fascismo.

Ma questa volta il “suo popolo libico“ non è stato a sentirlo e si è ribellato. Buona parte del suo esercito è passato con i ribelli. Gheddafi ha reagito uccidendo i ribelli e attaccando l’Occidente. Gli Stati Uniti, l’Europa e il resto del mondo arabo subito, colti di sorpresa, hanno condannato il rais; poi hanno cincischiato per un po’ e in fine la Francia ha preso la palla al balzo per mettere in atto una risoluzione ONU che ha lasciato spazio a interpretazioni non gradite dalla Lega Araba (perché noi occidentali siamo sempre stati maestri nel far coalizzare l’islam contro noi stessi). Ora cosa succederà in Libia e nel mondo islamico? Succederà una cosa ormai chiara. I dittatori “arraffa tutto” se ne dovranno andare. Si dovrà dare vita a governi più democratici e meno confessionali. Per chi non ci sta, il pesce grosso ha deciso di mangiare il pesce piccolo e, in nome della globalizzazione, non spartirà niente con nessuno (soprattutto dove ci sono di mezzo le fonti energetiche primarie). E in Europa? La Francia farà di tutto affinché il comando delle operazioni non passi nelle mani della NATO (dove non ha generali in posti di comando). L’Unione Europea dimostrerà di non essere affatto una Unione. Se Gheddafi rimane al suo posto la Libia sarà spezzata in due. Se non rimane ci sarà la corsa a chi si accaparrerà la fetta migliore della ricostruzione. Le nazioni che hanno fatto affari con Gheddafi faranno il doppio gioco e lasceranno gli Stati Uniti a sbrigarsela da soli con il mondo islamico che, ancora una volta, agli occhi della loro opinione pubblica, scaricherà la colpa di tutto sugli occidentali. E noi italiani, che invece abbiamo capito tutto, che viviamo immersi nel “nucleare” e che non siamo “nucleari”, subiremo l’aumento del prezzo dei carburanti, dell’energia, dei generi alimentari e l’invasione dei profughi sulle coste siciliane. Speriamo che il nostro prossimo Presidente del Consiglio sappia scegliere le proprie amicizie fra gente più affidabile

C.R.


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