La Voce dell'Isola


Vai ai contenuti

Menu principale:


Cambiare tutto affinché nulla cambi

Esteri > Nord Africa

Share |

ANCHE IN NORD AFRICA DEVE CAMBIARE TUTTO AFFINCHE’ NULLA CAMBI

Ben Alì, Mubarak e Gheddafi: sarà la fine di un’epoca?

di Michele Cannavò


Il 10 ottobre 1999 Carlo Chianura, giornalista di
La Repubblica, ha pubblicato l’articolo ”L’Italia dietro il golpe in Tunisia”.
Chianura riportava in esso dichiarazioni fatte dall’allora ex capo del Sismi, Fulvio Martini, durante un’audizione parlamentare della commissione stragi. Quest'ultimo mostrava come nella seconda metà degli Anni ottanta un’ondata d’integralismo islamico stava coinvolgendo i paesi del Nord Africa e che l’allora presidente tunisino Bourghiba si apprestava a reagire troppo energicamente “minacciando di fucilare un certo numero di persone”.
Già allora s’intuì come una reazione del genere avrebbe potuto innescare controreazioni non solo in Tunisia, ma anche nei paesi vicini e pertanto il governo italiano, allora presieduto da Bettino Craxi con Giulio Andreotti ministro degli esteri, avviò un’operazione
“a tutela degli interessi nazionali” che portò nel novembre dell’87 al primo “golpe medico” della storia: Bourghiba fu deposto per senilità e prese il suo posto Ben Alì.
Nel dicembre del 2010, sulla scia di un diffuso malcontento generale dovuto all’aumento dei prezzi delle materie prime ed all’altissima disoccupazione (senza considerare i cablogrammi pubblicati il 28 novembre da Wikileaks che descrivevano lo stato tunisino come uno stato mafioso e che certo hanno contribuito ad aumentare l’indignazione popolare), il ventiseienne Mohammed Bouzazi si è dato fuoco nella città di Sidi Bouzid, dando inizio alla protesta tunisina.
Come già si paventava negli Anni ottanta, anche questa volta il vento di protesta ha coinvolto molti paesi (precisamente 15 nell’arco dei mesi) creando una scia di sangue nata in Tunisia, giunta sino in Bahrein ed attualmente culminata in Libia. Un’insieme di rivolte, spesso armate alla meno peggio, che non hanno lasciato scampo a Ben Alì, a Mubarak (leader egiziano) e verosimilmente a Gheddafi, tutti in età certo ormai avanzata.
I paesi di cui essi erano leader rivestono un ruolo fondamentale nelle strategie geopolitiche occidentali, sia per quanto concerne l’approvvigionamento energetico, sia per il mantenimento di una incisiva influenza nei paesi mediorientali e africani.
Al leader tunisino è succeduto prima Mohammed Ghannouchi, poi dimesso per i violenti scontri di protesta in quanto uomo di Ben Alì, e poi, con la qualifica di presidente supplente, Mebazaà che ha ricoperto negli anni vari incarichi governativi tra cui quello di ambasciatore presso le Nazioni Unite.
A Mubarak è succeduto Mohamed Hussein Tantawi, comandante del Consiglio supremo delle forze armate (forze armate vicine ai militari occidentali).
Diverso è il caso della Libia, dove Gheddafi, nell’ultimo ventennio, aveva cambiato la propria posizione verso i paesi occidentali. Basta ricordare i viaggi, con tanto di calorose accoglienze, sia in Francia, primo paese ad attaccare militarmente in solitaria subito dopo la risoluzione Nato (della quale è stata tra i maggiori propositori), che in Italia, con la quale nell’agosto del 2008 era stato siglato il c.d. “Patto di amicizia e cooperazione” in cui vigeva una clausola di non aggressione.
In questo generale clima di “rivoluzione” la popolazione libica, pur non avendo gli stessi problemi economici di quella dei paesi confinanti, non ha perso l’occasione di ribellarsi contro un regime storicamente duro e sanguinario, e contro il suo dittatore. Il rais però ha potuto contare su buona parte del proprio esercito per schiacciare la rivolta, almeno inizialmente. Tale rivolta ha avuto come massimo esponente il Consiglio nazionale di transizione libico (CNT), divenuto ora un’istituzione riconosciuta internazionalmente, riunitosi il 24 febbraio per la prima volta ed auto proclamatosi il 5 marzo come unico legittimo rappresentante della repubblica libica.
Il CNT, in piena rivolta, ha creato il 19 marzo sia la nuova Banca Centrale libica, con sede a Bengasi, che dovrà raccogliere l’eredità della ex Banca Centrale libica gestita dai cosiddetti lealisti (tra le poche al mondo ad essere interamente posseduta dallo Stato, imponeva per ogni operazione commerciale il cambio in dinaro libico), sia la Libyan Company Oil che controllerà e regolamenterà le politiche e la produzione di petrolio in Libia.
Una domanda a tal punto sorge spontanea: ma le armi per invertire l’esito del conflitto in Libia chi le ha date hai ribelli?
Il 19 luglio 2011 sul
Corriere della Sera è stato pubblicato l’interessante articolo “Il mistero dei 400 missili spariti dalla Maddalena”. In questo articolo si fa riferimento all’arsenale sequestrato nel 1994 a seguito di un’operazione d’intelligence che comprendeva ”400 missili Fagot con 50 postazioni di tiro, 30 mila mitragliatori AK-47, 5 mila razzi katiuscia, 11 mila razzi anticarro, 32 milioni di proiettili per fucili mitragliatori”, ovvero un vero e proprio arsenale con cui si poteva rifornire un intero esercito.
Sulla scomparsa di tale arsenale tra aprile e maggio (periodo nel quale in Europa si parlava di armare i ribelli libici, ipotesi però subito rigettata da Russia e Cina) è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Tempio a cura del sostituto procuratore Riccardo Rossi, poi però interrotta dal “segreto di Stato” posto dal Governo.
Il CNT fino ad oggi non si è concretamente espressa nei confronti dei c.d. lealisti che hanno ormai abbandonato il Rais (come buona parte dei propri componenti), ma che durante il regime svolgevano funzioni di altissimo rilievo, come ad esempio Mohammed Zaroug, governatore della ex Banca Centrale libica, che ha gestito anche il Fondo Sovrano libico e che può vantare amicizie molto influenti in tutto il mondo occidentale.
L’Unione africana, con l’uscita di scena del rais, ha avviato un trend che la porterà a ricoprire in realtà solo un ruolo marginale nello scacchiere internazionale e che potrà essere invertito esclusivamente dalla Cina.
Il paese asiatico negli ultimi anni ha investito pesantemente in Africa, e non certo con politiche di assistenzialismo come quelle occidentali, ma con politiche di sostegno infrastrutturale. La Cina, insieme ad India e Russia, guarda con estrema attenzione lo svilupparsi di tali operazioni in Oriente ed in Nord Africa, poiché anche queste potenze hanno bisogno di importare materie prime per poter sostenere la propria crescita. Dobbiamo infatti sempre tenere in debito conto che a fronte di una popolazione crescente nel tempo, le materie prime diminuiscono.
In estrema sintesi è possibile “ironicamente” notare come la ciclicità negli accadimenti storici si ripresenti con estrema puntualità: coloro i quali hanno raggiunto il potere con congiure di palazzo sono stati a loro volta deposti con analoghe operazioni; chi ha raggiunto il potere con la violenza, con altrettanta violenza e sangue gli è stato sottratto il potere.
Certo è che al momento attraversiamo un periodo storico che sarà analizzato per anni ed è impossibile prevedere con certezza gli sviluppi di tali scenari in quanto le variabili in campo sono numerose e le ripercussioni sono di tipo sistemico.


31/08/2011 - M.C.



Menu di sezione:


Torna ai contenuti | Torna al menu