Sui Monti Peloritani l’eremo di San Rizzo tra storia e misteri

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Sulle alture dei Colli di San Rizzo nel settore NE dei Monti Peloritani (Messina), per la precisione in contrada Piano Rama nelle vicinanze dell’Istituto “Figlie Maria Ausiliatrice”, è ubicato il cosiddetto eremo rupestre di Sarrizzo, una piccola cavità artificiale dalla pianta rettangolare scoperta nel 1980 dall’arch. Nino Principato (studioso di storia locale). Ipogeo che non è facile raggiungere in quanto si cela in un luogo scosceso dei boschi peloritani alla base di un costone roccioso celato da un ammasso aggrovigliato di rami spinosi alti oltre 2 m, molto difficile da attraversare.

La scorsa settimana ho avuto l’opportunità di visitare l’eremo in compagnia di Gaetano Consalvo e Carmelo Micalizzi (cultori di storia locale), guidati da Rosario Abbate, preside in pensione e buon conoscitore delle grotte naturali e artificiali del messinese. Un percorso di certo non agevole in quanto per arrivare alla grotta ci siamo dovuti con fatica incamminare per un malagevole sentiero, districandoci tra fitti rovi e alti arbusti.

L’isolata cavità, per fortuna, in tempi recenti non è stata vandalizzata al suo interno dall’uomo, per cui allo stato attuale delle conoscenze essa costituisce un “unicum” in quanto sono ancora evidenti in modo tangibile molti segni di un passato che rendono sotto aspetti enigmatica la categorizzazione archeologica del sito. Il quale si caratterizza per la compresenza di tracce di culto, l’esistenza di una struttura idraulica forse di età medioevale e la presenza di una straordinaria varietà di incisioni rupestri dal valore altamente simbolico che lasciano aperti diversi interrogativi sulla sua funzione originaria.

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L’interno presenta un unico ambiente con incise nella roccia una evidente croce greca dai quattro rami equali (iscrivibile nel quadrato e nel cerchio e idealmente rappresentante la natura divina di Cristo), diverse croci latine (che con il ramo verticale allungato rappresenta in modo realistico la natura umana del Messia), vari disegni e iscrizioni in lingua greca non facilmente leggibili, nonché dei graffiti decifrabili: tra cui le scritte “1766” e “Gius. Midili” che attestano in modo inequivocabile che il sito è stato frequentato sin al XVIII secolo.

Nella grotticina internamente a destra è presente un’antica bocca d’acqua in terracotta scavata nella roccia a 20 cm dall’attuale piano di calpestio che convogliava le acque sotterranee di una sorgente in una probabile vasca ipogea: i suddetti bottini di presa, che nel dialetto messinese vengono denominati “buttischi”, costituivano nel passato degli efficienti sistemi di captazione idrica che servivano a irrigare limitrofi orti monastici o dissetare il bestiame durante la transumanza nel periodo estivo alla ricerca di freschi pascoli d’altura.

Nel passato molti ipogei artificiali del territorio messinese sono stati utilizzati dall’uomo per usi diversi, tra cui come: sepolcri nel Paleolitico e nel Neolitico; riparo e luogo di culto dei monaci eremiti provenienti dall’Oriente che sfuggivano alle persecuzioni iconoclaste; ricovero temporaneo di pastori e agricoltori che, nei secoli successivi, vi si rifugiavano per proteggersi dal brutto tempo o dormirvi la notte. Nella fattispecie, in particolare, l’Eremo di Sanrizzo si contraddistingue per la contemporanea coesistenza di affreschi cruciformi, petroglifi e un antico sistema idrico che a mio parere favoriscono diverse ipotesi contrastanti: fu solo un eremo adibito alla vita ascetica e alla preghiera solitaria dei monaci? O anche un sito che, grazie alla presenza della sorgente, fu utilizzato come luogo sia di battesimo sia per abbeverare uomini e animali?

L’ingresso della cavita orientata a Est e la croce greca, che è situata sulla parete centrale in una posizione sovrastante il vano interno, indicano di certo un suo utilizzo liturgico. Contestualmente la presenza di simboli cristiani sulle pareti (come ad esempio le croci latine) si mescolano a graffiti con nomi, date e riferimenti a ipotetici proprietari, di cui alcuni realizzati con una grafia elegante, incompatibili con la cultura contadina.

Tra i petroglifi di particolare interesse sono quelli rappresentanti delle scale stilizzate con due linee verticali e gradini orizzontali compositi che, molto ricorrente nell’arte cristiana antica, usualmente gli studiosi (tra cui Giovanni Climaco nel trattato “La scala del Paradiso”) associano alla ″Scala di Giacobbe″ (Genesi 28,12), metafora del collegamento tra cielo e terra, nonché simbolo di ascesi spirituale molto cara alla mistica bizantina in un percorso di purificazione ed elevazione spirituale. Un’altra probabile ipotesi potrebbe essere rappresentata anche dalla presenza di crocifissi stilizzati con l’asse verticale (divino) e orizzontale (umano) – presumibilmente simboleggiante la redenzione attraverso il sacrificio. Per altro la presenza nella grotta di croci esageratamente molto più lunghe nel ramo ortogonale rispetto a quelle parallele enfatizzano la contrapposizione tra la vita terrena e il divino e rammentano il lungo itinerario di purificazione che – soprattutto attraverso la preghiera, il digiuno e la penitenza – condurranno l’eremita all’elevazione verso Dio.

Senza dubbio l’esistenza nell’ingrottato di Piano Rama di croci incise sulle pareti e la presenza di una sorgente alla base sembrano attestare la presenza di una comunità monacale ascetica caratterizzata da riti di iniziazione battesimale e di purificazione (“acqua lustrale”).

Le precedenti considerazioni ci inducono a ritenere che per il futuro l’ulteriore approfondito studio dei graffiti presenti nelle pareti della grotticella di Sarrizzo, nonché degli elementi strutturali ivi presenti (la tipologia delle mura a mattone e del restante intonaco ammalorato, il bottino di presa, eventuali scavi nel terreno sottostante per asportare tutto il terriccio superficiale, raggiungere il pavimento originario dell’ingrottato e verificare la sua reale altezza, ecc…) potranno darci ulteriori elementi per meglio interpretare la storia e l’uso di questo isolato, straordinario e misterioso ipogeo della montagna messinese.

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Per l’elaborazione del testo sono stati consultate le seguenti pubblicazioni:
-Andrea Bambaci & Nino Principato, 2005. ″Sulle orme dei monaci bizantini a Messina″, CISL Messina, LA GRAFICA edizioni Di Nicolò, 95 pp., Messina.
Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso (VII secolo).
– Tramontana, S. (1980). Il monachesimo basiliano in Sicilia. Sellerio.
– Ortolani, G. (2012). Acqua e sacro in Sicilia bizantina. CNR.

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