Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, riedizione dell’intervento straordinario

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La Mobilità

a cura di Giuseppe Gullotta

Premessa

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è la riedizione dell’intervento straordinario applicato al Paese, non più al solo Mezzogiorno, in un lasso di tempo straordinariamente breve, privo di strumenti straordinari. Il rischio – già in atto – è di dover fare ampio ricorso a decretazioni di urgenza, cioè alla peggiore straordinarietà possibile.

La coesione economica, sociale e territoriale è stata promossa dall’Europa della risposta comune alla crisi pandemica a obiettivo esplicito da conseguirsi con le politiche generali nazionali, non più “solo” con la politica di coesione.

Inoltre le risorse UE sono aggiuntive e non sostitutive rispetto ad alte fonti di finanziamento, come lo è stato per almeno il 25% dei fondi del PNRR, affinché la politica europea non si sostituisca alla politiche regionali e nazionali dei singoli Stati membri.

Da un lato, con i fondi del PNRR vanno riequilibrate le condizioni di accesso ai diritti di cittadinanza, investendo sulle infrastrutture sociali e innalzando la qualità dei servizi pubblici; dall’altro, va ricomposta la divaricazione quali-quantitativa tra sistemi produttivi regionali, valorizzando il contributo alla crescita del Mezzogiorno; purtroppo su entrambi i fronti, il PNRR sta mostrando non poche difficoltà a rispondere alle finalità di riequilibrio territoriale.

Come è noto, la priorità assegnata al riequilibrio territoriale ha preso forma quantitativa nell’impegno a riservare alle otto regioni del Mezzogiorno almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente, la cosiddetta “quota Sud”, una riserva di spesa per investimenti contabilmente favorevole alle regioni meridionali.

Già la prima Relazione del DPCoe, diffusa poco più di un anno fa, basata sui dati di avanzamento disponibili al 31 gennaio 2022, aveva fatto emergere diversi profili di criticità, tali da configurare la quota Sud come un risultato molto difficile da realizzare. Alla luce delle valutazioni del Dipartimento, gli ambiti nei quali la quota Sud rischia concretamente di rimanere solo un impegno sono due: gli interventi che vedono come soggetti attuatori gli Enti territoriali beneficiari di risorse distribuite dalle Amministrazioni centrali su base competitiva; gli strumenti di incentivazione per le imprese.

La seconda Relazione, diffusa a ottobre dell’anno scorso, ha aggiornato il primo monitoraggio al 30 giugno 2022. A quest’ultima data, la stima delle risorse destinate al Mezzogiorno si attestava su 86,4 miliardi di euro, pari al 41% dei 210,6 miliardi con destinazione territoriale.  Questa seconda relazione del DPCoe, intervenendo in una fase più avanzata di attuazione del PNRR, è andata più a fondo nella valutazione del rischio di “tenuta” nel tempo della quota Sud di 47,2 miliardi di euro a valere su misure/procedure attivate con procedure competitive di livello nazionale. Questa è la parte di risorse più esposta agli esiti della competizione tra territori e dunque al rischio di mancato assorbimento da parte del Mezzogiorno. Tra i Ministeri che gestiscono dotazioni finanziarie più corpose, il più distante dal rispetto della quota Sud è lo Sviluppo Economico (24,5%); viceversa, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili riporta la quota più elevata (48,2%).

Completata la fase di allocazione delle risorse e di selezione dei progetti, la capacità di realizzazione richiesta dal PNRR peserà sugli Enti decentrati, soprattutto i Comuni del Mezzogiorno, depauperati di risorse umane e finanziarie, con dipendenti sempre più anziani a causa dei reiterati blocchi del turn over, e deresponsabilizzati dalla crescente tendenza a esternalizzare alle assistenze tecniche funzioni essenziali delle politiche pubbliche.

Sei Comuni su dieci nel Mezzogiorno giudicano complessa la partecipazione ai bandi del Pnrr e al Sud la realizzazione di un’infrastruttura sociale richiede nove mesi in più rispetto alla media dei Comuni italiani. Sono alcuni dei dati contenuti nello studio “I Comuni alla prova del Pnrr”, realizzato da Svimez, che sottolinea “il rischio di non realizzare gli investimenti del piano nei tempi previsti” e la necessità “di dare continuità alle azioni di rafforzamento e supporto delle amministrazioni comunali”, la principale motivazione indicata nel caso di mancata partecipazione riguarda la complessità dei bandi e le scadenze stringenti.

Le fragilità del Mezzogiorno nel recepire le potenzialità del PNRR emergono dall’analisi dei
tempi di realizzazione effettivamente osservati per oltre 87 mila opere pubbliche in infrastrutture sociali realizzate tra il 2011 e il 2022, monitorate dalla BDAP (Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche) della Ragioneria Generale dello Stato (dati aggiornati al 4 ottobre 2022).

La Terza Missione

I progetti di investimento del PNRR sono suddivisi in 16 componenti, raggruppate a loro volta in 6 missioni: 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica, 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile, 4. Istruzione e ricerca, 5. Inclusione e coesione, 6. Salute.

La terza Missione dispone una serie di investimenti (€ 31,46 Miliardi complessivi) finalizzati allo sviluppo di una rete di infrastrutture di trasporto moderna, digitale, sostenibile e interconnessa, che possa aumentare l’elettrificazione dei trasporti e la digitalizzazione, e migliorare la competitività complessiva del Paese, in particolare al Sud.

Gran parte delle risorse è destinata all’ammodernamento e al potenziamento della rete ferroviaria (€ 27,97 Miliardi): il Piano prevede il completamento dei principali assi ferroviari ad alta velocità ed alta capacità, l’integrazione fra questi e la rete ferroviaria regionale e alla messa in sicurezza dell’intera rete ferroviaria.

L’obiettivo principale è potenziare il trasporto su ferro di passeggeri e merci, aumentando la capacità e la connettività della ferrovia e migliorando la qualità del servizio lungo i principali collegamenti nazionali e regionali, anche attraverso il rafforzamento dei collegamenti transfrontalieri.

Vi sono poi interventi per la digitalizzazione dei sistemi logistici, inclusi quelli aeroportuali, che grazie all’utilizzo delle soluzioni tecnologiche innovative volte a efficentare il sistema e ridurre l’impatto ambientale avranno un rilevante ruolo nel rilancio di questi settori.

In stretta connessione con l’impianto strategico di questa Missione, verranno inoltre realizzati investimenti per la sicurezza stradale, al fine di migliorare la sicurezza e la resilienza climatica/sismica di ponti e viadotti, utilizzando le soluzioni fornite dall’innovazione tecnologica e in un’ottica di adattamento ai cambiamenti climatici; saranno finanziati interventi per lo sviluppo del sistema portuale per il miglioramento della competitività, capacità e produttività dei porti italiani, con una particolare attenzione alla riduzione delle emissioni inquinanti.

All’uscita dall’emergenza sanitaria l’assetto di sostenibilità del trasporto passeggeri nel Paese è in peggioramento, poiché i mezzi privati motorizzati (automobili in particolare), che generano di gran lunga la quota maggiore di costi esterni del trasporto (inquinamento, congestione e incidentalità per citare solo i principali impatti negativi), hanno riconquistato in pieno le proprie quote di mercato a scapito soprattutto della mobilità collettiva.

Allo stesso tempo si sta deteriorando la percezione di qualità dei mezzi di trasporto utilizzati (indici di soddisfazione) con un allargamento della tradizionale forbice tra i mezzi individuali, che continuano a raccogliere valutazioni positive (soprattutto l’auto), e i mezzi collettivi, che invece oscillano attorno alla soglia della sufficienza o scendono un po’ al di sotto (è il caso dell’autobus urbano). In terzo luogo, il quadro post-pandemia sembra mostrare un ampliamento delle fratture territoriali nella mobilità sostenibile, tra grandi e piccoli Comuni, tra centralità urbane e periferie, infine tra Nord e Sud.

Dentro questa dinamica complessiva si assiste infatti a un ulteriore graduale allontanamento del Sud dagli standard medi nazionali di sostenibilità, già di per sé risucchiati in basso dai nuovi assetti post-pandemici. Il punto è evidente nell’aggravarsi della crisi del trasporto pubblico che non riesce a recuperare mercato, soprattutto nei territori a bassa densità, e vede crescere l’insoddisfazione dei cittadini per la qualità del servizio (in misura maggiore rispetto a quanto accade nel resto del Paese); così come i tassi di penetrazione dei mezzi “leggeri” in alternativa all’auto (bicicletta, micromobilità, sharing mobility) sono bassi e molto lontani dalle performance del Centro-Nord.

È chiaro che le debolezze della domanda riflettono squilibri e divari che si generano nei sistemi di offerta, inadeguati per servire efficacemente la mobilità della popolazione meridionale. I divari sono vistosi e, dove le variazioni si apprezzano, risultano crescenti negli anni dell’emergenza sanitaria, sia nelle infrastrutture che nei servizi. Rispetto alle dotazioni infrastrutturali il divario Nord-Sud è particolarmente rilevante per la parte ferroviaria e per quella autostradale, meno per la rete stradale di rango nazionale e regionale. Ma sono i fattori prestazionali e localizzativi delle medesime reti a penalizzare molto il Mezzogiorno soprattutto in termini di accessibilità ai bacini di destinazione per la mobilità delle persone (e ai bacini di mercato per la mobilità delle merci).

Nel Mezzogiorno mancano da parte delle Amministrazioni locali la capacità e la determinazione per accompagnare i modelli di mobilità dei cittadini verso equilibri più avanzati in chiave di riduzione del traffico e dell’inquinamento, nonché di incremento della sicurezza.

Le politiche nazionali per la mobilità passeggeri negli scorsi decenni non sono state in grado, per inadeguatezza delle risorse e/o per inefficienza della spesa, di colmare il ritardo del Sud dal resto del Paese.

Le risorse messe a disposizione dal PNRR e dagli altri capitoli di spesa nazionali ed europei, con destinazione proporzionalmente più rilevante al Sud, rappresentano una grande occasione per ridurre i divari di accessibilità sulle medie e lunghe distanze che penalizzano fortemente i territori meridionali.

Restano i nodi strutturali di congestione e bassa qualità dello spazio pubblico nelle aree urbane e locali, un aspetto critico molto accentuato nel Mezzogiorno. È tuttavia indispensabile “investire e non spendere” le risorse programmate con celerità ed efficacia, oltre che in modo trasparente.

Bisogna però sottolineare che in questa prima fase, per certi versi preparatoria, il carico procedurale è stato in capo principalmente al MIMS e ad alcuni grandi soggetti attuatori (RFI su tutti).  Nelle fasi successive diverse misure richiederanno un impegno più diretto delle Amministrazioni locali (Regioni, Comuni) per predisporre bandi di gara e assegnare le risorse già ripartite (ad esempio quelle previste per il rinnovo delle flotte autobus, per il trasporto rapido di massa, per la ciclabilità), per cui è auspicabile che si mettano in campo azioni di enforcement amministrativo e di coordinamento tra gli Enti stessi.

Da una primo consulto delle determine concernenti il PNRR dell’Amministrazione comunale catanese e dell’anno scorso (15 provvedimenti) e di quest’anno (finora solo 8) emerge che sono due le direzioni principalmente impegnate, quella politiche comunitarie e quella urbanistica, e maggiormente sono tre le missioni intraprese: la Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” con quattro determine nel 2022, la Missione 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (due determine nel 2022) e la Missione 5 “Inclusione e coesione” (10 determine, di cui cinque nel 2023). Come detto nei prossimi mesi vedremo come si tradurrà concretamente l’impegno avviato, anche se difficile sarà comprendere l’effettivo stato degli investimenti. Di certo non incoraggia gli osservatori attenti che il “Patto per lo sviluppo della Città di Catania” (convenzione del 30 aprile 2016), finalizzato a migliorare la mobilità urbana ed i collegamenti con le aree interne per assicurare pari accessibilità alle diverse aree e promuoverne lo sviluppo economico con fondi per i trasporti e la mobilità pari al 25% della dotazione finanziaria dal Fondo per lo dal Sviluppo e la Coesione di € 335 Ml con 67 progetti ammessi e un totale importo progetti di € 160 Ml (alcuni interventi sono integrati con l’area metropolitana e con l’area portuale), ha avuto tre anni fa, non è dato capirlo adesso, il 2% dei progetti  conclusi, l’1% dei progetti liquidati, il 92% dei progetti ancora in corso e il 5% dei progetti non ancora avviati!

Il Centro Nazionale per la Mobilità

In questo contesto è utile sottolineare che sulle spinte del PNRR  stato costituito lo scorso giugno e più operativamente da alcune settimana il Centro Nazionale per la Mobilità (MOST) con i migliori protagonisti del mondo della mobilità e delle infrastrutture, una cinquantina di stakeholder attivi nei settori dei trasporti e delle infrastrutture (università, centri di ricerca e soggetti industriali) (1), per poter agire come un ecosistema innovativo di eccellenza in grado di favorire l’innovazione attraverso l’utilizzo sistemico dei risultati della ricerca da parte dell’intero sistema produttivo.

Il Centro, finanziato per il periodo 2023-2025 con quasi 320 milioni di euro (di cui il 41% al Sud!?!) del PNRR, Missione 4, promuove infatti la mobilità sostenibile e innovativa attraverso attività di ricerca destinate a progetti di ricerca e sviluppo industriale, per attivare percorsi formativi dedicati e per favorire la collaborazione tra gli stakeholder tramite osservatori tecnologici e centri studi, bandi specifici per le startup della mobilità e azioni di trasferimento tecnologico. Un investimento significativo con 696 ricercatori dedicati e 574 neoassunti che parteciperanno con il loro lavoro al progetto, per sviluppare la ricerca di frontiera nel campo della mobilità sostenibile.

Il Most sarà gestito da una Fondazione privata senza scopo di lucro, attivando una collaborazione tra le università e i relativi centri di ricerca, e le grandi imprese attive nell’ambito della mobilità e delle infrastrutture. La Fondazione è organizzata con una struttura di governance di tipo Hub & Spoke. L’Hub con sede a Milano svolgerà attività di indirizzo strategico, gestione e coordinamento. I quattordici Spoke (sette tra Roma, Napoli e Bari e sette in tre regioni e sei città Milano e Bergamo, Torino, Bologna, Modena e Reggio Emilia),cui sono demandate le attività di ricerca coordinate dalle Università e che vedono impegnate le imprese partner, sono invece distribuiti su tutto il territorio nazionale (da Napoli e Bari in su!).

Salta subito evidente che tra le università storiche del Mezzogiorno non sia presente il nostra “Siciliae Studium Generale”. Le università a noi più vicine sono l’Università degli Studi di Palermo, ente promotore, impegnata negli spoke come membro: n. 2, spoke leader Politecnico di Torino – Sustainable road vehicle, n.3, CNR (spoke leader) – Watereways e n. 12, CNR (spoke leader) – Innovative propulsion; oltre l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, ente aderente, coinvolta negli spoke n. 4, Politecnico di Milano (spoke leader) – Rail transportation e n. 6, Università di Modena e Reggio Emilia (spoke leader) – Connected and Autonomous vehicle (CAV).

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