Il Parco territoriale Monte Po-Vallone-Acquicella di Catania un sogno realizzabile

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Nell’Aula “Valerio Giacomini” dell’Orto Botanico di Catania, un luogo molto caro ai cittadini in quanto simbolo della tutela e conservazione di specie vegetali, si è tenuta una conferenza con successivo dibattito su una proposta che potrebbe cambiare davvero il volto della città, soprattutto per il suo significato culturale: la creazione di un parco territoriale a tutela di un vasto territorio di 250 ettari a nord-ovest di Catania, la zona che dalla collinetta di Monte Po nei pressi dell’Ospedale Garibaldi prosegue lungo il percorso del torrente Acquicella fino alla Playa.

Come è apparso subito dalla particolareggiata descrizione dell’ampia zona da diversi studiosi nel corso della serata, organizzata dal Comitato Parco Monte Po-Vallone Acquicella e dall’Università di Catania, la situazione è davvero contraddittoria perché gli esperti che si sono avvicendati al microfono hanno enumerato una quantità tale di presenze archeologiche e biologiche, da giustificare la riqualificazione di un luogo dal valore anche turistico, del tutto paragonabile alle zone boschive dell’Etna. Eppure l’assoluto degrado in cui versa tutto il territorio, per la speculazione edilizia, il pascolo selvaggio, le discariche a cielo aperto, la cementificazione di alcune aree come posteggio auto, sembrano vanificare le varie proposte fatte da tempo all’amministrazione comunale, del tutto prive di risposte chiare. Non a caso alla serata sono stati invitati i diversi candidati alla carica di sindaco per le prossime elezioni comunali, per iniziare idealmente già da adesso un dialogo costruttivo con un possibile eletto. I candidati che hanno risposto all’invito nei loro interventi hanno mostrato interesse per le indubbie qualità, purtroppo misconosciute, dell’intera zona destinata a parco, avanzando suggerimenti in relazione alla sua gestione pratica, in previsione, da parte dei candidati, di un futuro potere decisionale in merito. 

I lavori, moderati dalla giornalista Luisa Santangelo, sono stati aperti dal prof. Giampietro Giusso del Galdo, direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’Università di Catania, che nella sua premessa ha sottolineato l’importanza che ha per una comunità la scelta di operare nella direzione di conservazione del proprio territorio. Tra i tanti interventi, molti hanno suscitato particolare interesse nel nutrito pubblico presente, grazie anche alla ricchezza del materiale iconografico proiettato.  Salvatore Alecci, ingegnere idraulico, ha trattato di idrologia e idrografia, mettendo in luce le caratteristiche uniche del torrente Acquicella, che pur scorrendo in diversi punti nel sottosuolo, riesce a mantenere vivo il suo corso tutto l’anno e non quindi solo grazie alle piogge invernali. Ma lo studioso ha ipotizzato anche un ripristino del corso naturale del fiume mediante interventi già sperimentati altrove ma che sarebbero una vera novità per la Sicilia.

Anche Rosario Ennio Turrisi ha fatto un efficace uso delle immagini fotografiche, parlando di elementi floro-vegetazionali. La zona risulta tanto ricca di vegetazione da diventare una delle caratteristiche più allettanti nel visitare il potenziale parco, che conosce un equilibrio botanico e ambientale che deve essere preservato prima che sia tardi, dato che il fiume passa attraverso insediamenti urbani.

Pietro Minissale, botanico, parlando sul paesaggio urbano, ha fatto delle importanti considerazioni su come la vegetazione del parco, malgrado l’utilizzo abusivo delle sue risorse, abbia saputo resistere mantenendo i caratteri originari dell’ambiente locale, a differenza di quanto è accaduto col rimboschimento operato in altre zone, come ad esempio il boschetto della Playa. Principio difeso dal World Forum on Urban Forests per la valorizzazione delle caratteristiche distintive di ogni circondario urbano.

Nella stessa direzione l’intervento di Dario Grimaldi, che descrivendo l’avifauna ha mostrato le fotografie delle decine di specie di uccelli che vivono nella zona dalle alture al corso del fiume, mettendo in risalto dunque la grande varietà esistente (aironi cenerini e bianchi maggiori, fratini, piovanelli, alzavole, e tanti altri), denunciando tutti i rischi che corrono questi abitanti naturali del luogo per colpa dell’uomo, soprattutto per le distruzioni dei nidi causate dal trambling (calpestare) dei fuoristrada che si avventurano oltre i sentieri tracciati e dal motocross.

Alfredo Petralia parlando degli artropodi ha denunciato il rischio di estinzione di particolari insetti, soprattutto nelle zone in cui sta scomparendo la battigia del fiume, allineandosi dunque con i precedenti interventi nella denuncia di una situazione di abbandono e deturpazione di un luogo, che la creazione di un parco cittadino potrebbe superare definitivamente.

Con l’intervento della prof.ssa Pinella Marchese si è passati ad analizzare gli aspetti archeologici: inevitabilmente il discorso si è fatto ancora più critico, perché molti reperti, malgrado le prime operazioni di scavo organizzate dalla Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali dal 1992 al 1995, sono ancora nascosti tra la fitta vegetazione, in terreni privati, talvolta distrutti per fare posto a costruzioni edilizie. In particolare la presenza sulla sommità della collina di Monte Cardillo dei resti di una piccola basilica bizantina, e anche di altri ruderi romani e medievali, basterebbe a riconsiderare diversamente il valore culturale della zona, in epoca romana asse viaria tra la città di Catania, e l’entroterra etneo, che per a sua importanza verrà ripopolata in epoca medievale, come aveva già ipotizzato l’archeologo Guido Libertini.

A questo proposito Giambattista Condorelli ha integrato la descrizione delle tracce del passato urbanistico aggiungendovi le particolari opere storico-militari realizzate nel corso della seconda guerra mondiale, dei veri e propri bunker fortificati, riproponendo ancora una volta la vocazione difensiva della zona collinare.

Adolfo Longhitano ha ricostruito il quadro storico della costruzione dell’abbazia di Santa Maria di Novaluce, costruita nei pressi del fiume, con il rischio per gli abitanti della zona di essere esposti alla malaria, molto presente ai tempi. Del carattere difensivo della zona fin dai primi insediamenti urbani ha parlato anche il prof. Edoardo Tortorici, approfondendo così anche i valori storico-insediativi.

Parlare di un parco aperto alla normale frequentazione dei cittadini, che tolga al luogo la sua attuale marginalità, significa anche sollevare la questione, per Giusi Milazzo delle Infrastrutture sociali, e per Filippo Gravagno della politica ambientale: questi temi hanno contribuito a stimolare un serrato dibattito con gli interventi provenienti dal pubblico, in quanto la questione di un parco territoriale di tali dimensioni rimane un punto interrogativo, malgrado tutte le buone intenzioni, al quale le autorità competenti non hanno dato risposta, rendendo incerta una questione che nella più positiva delle previsioni richiederebbe in ogni caso tempi lunghi di realizzazione (sentieri, piste ciclabili, luoghi di sosta e ristoro, ecc.), ma che per il suo valore ambientale, archeologico e turistico rappresenta una sfida cruciale da compiere.

Mario Guarnera

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