La Mummia della città di Catania

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di Giuseppe Smedile

Poche persone a Catania conoscono la misteriosa storia che aleggia intorno al castello di via Leucatia. A pochi giorni dal devastante nubifragio che si è abbattuto sulla città, purtroppo sembrerebbe che questa giovane donna “Angelina Mioccio” non riesca a trovare pace, complice anche le nostre istituzioni che purtroppo non riescono ad intervenire in maniera tempestiva per tutelare, quello che, al meglio identifica  la nostra cultura del “Caro estinto“.

Una triste storia d’amore, lo strazio di un genitore, colpevole di aver imposto scellerate imposizioni può e deve essere il patrimonio della nostra città, preservare il loculo, recuperare le spoglie, possa diventare un monito per tutti noi La storia che gira intorno a questa infelice fanciulla storicamente ci testimonia la presenza e l’integrazione della comunità Ebraica nella città di Catania.

La presenza del culto “Giudaico” per troppo tempo volutamente scivolato nell’oblio, tanto da non saper valorizzare, e preservare il patrimonio di questa mirabile opera di “mummificazione“ commissionata per mantenere la perpetua memoria di uno straziante dolore. Angelina era la figlia di un ricco commerciante catanese di fede Ebraica, avido e accecato dalla bramosia di potere, la promise in sposa ad un uomo, un ricco avvocato , di ben dieci anni più grande di lei. Il futuro sposo  di fatto esercitava ruolo di prestigio nella città dei primi anni del novecento.
Per raggiungere il suo scopo, il genitore si impegnò a costruire un “castello“ da portare in dote, per compensare nella giusta misura il prestigio dello sposo .

La fabbrica dell’edificio fin da subito prese sembianze maestose, svettava imponente sulle basse costruzioni dell’epoca, assunse un ruolo strategico in  una città che si stava espandendo urbanisticamente verso il versante nord.

Fu così che senza interpellare la giovane fanciulla fu posta in opera la prima pietra angolare della costruzione. Furono chiamati abili artigiani,  maestranze specializzate si incaricarono di intagliare la dura pietra lavica, i migliori architetti dell’epoca progettarono la loggia, le guglie e le torri che dovevano svettare per celebrale la coppia nunziale che di lì a poco, sarebbe diventata una delle più importanti famiglie Etnee.

Però….

A far saltare l’ambizione del promesso sposo e la brama di immense ricchezze del genitore, ecco spuntare all’improvviso… Alfio, un lontano cugino della donzella, dipendente del padre, il quale timoroso di perdere il posto di lavoro, mai si immolò per difendere la loro storia d’amore.

Come nella tragedia di William Shakespeare “Giulietta e Romeo“ la giovane donna sola e sconfortata, ma perdutamente innamorata del giovane squattrinato rifiutò il matrimonio (ndr). Molti documenti recentemente emersi sembrano attribuire le origini Siciliane del più famoso taumaturgo inglese, coincidenza temporale che rende più romantica la vicenda che stiamo raccontando per analogia con la tragedia decritta in “Giulietta e Romeo” (la storia d’amore per eccellenza).

Se vi trovate a passare in via Leucatia osservate la torre più alta, fermatevi per qualche secondo, giusto il tempo per una prece, e poi tutti insieme identifichiamoci con la disperazione di Angelina, che decise con  un  estremo gesto,  per consacrare, proteggere rimarcare a peritura memoria la sua grande  storia d’amore, si lancio dalla stessa, nel lontano  1911, sacrificando la sua giovane età sull’altare dell’amore più puro, un rifiuto netto della mercificazione del più grande sentimento che distingue noi“ Umani“.

Disperato il padre schiacciato dai sensi di colpa, tormentato dalla  così tanta bellezza, di una giovane mancata sposa, come estremo gesto rappacificante nei confronti di colei che perpetuava, e rappresentava la sua genesi, ordinò la mummificazione della salma, cercando sollievo in una effimera forma di espiazione dei torti da lui ciecamente commessi verso colei che la consanguineità imponeva di dover proteggere. Una maestosa cappella funeraria fu realizzata per accogliere la giovane salma.  

Una teca di vetro fu realizzata per permettere a tutti coloro che in colei si identificavano, potessero con il loro disappunto perpetuare a futura memoria il torto fatto a questo dolce angelo, violentato dalle miserie di questo mondo .

Un vergognoso stato di abbandono oggi mortifica tutta la nostra città. La memoria di Angelina per l’ennesima volta viene violentata da una colpevole inerzia. Il corpo di questa giovane donna è, e deve essere tutelato. Il suo estremo gesto possa servire a memoria dei tanti torti perpetrati nei confronti delle donne. Stridente è lo stato di degrado della cappella della famiglia Mioccio. La bottiglia di plastica ai piedi della salma “ bisticcia “ con la città che si vanta di avviarsi verso la raccolta differenziata. L’angelo sembra sorreggere macerie, ultimo baluardo a protezione della salma, ma è evidente che anch’egli soccomberà  all’ignominia di noi tutti. La teca di vetro rotta diventa un funesto presagio per  l’imminente fine della “mummia”, acqua, umidità, funghi e parassiti finiranno col distruggere questa testimonianza, che ha attraversato il novecento.

ONORA IL PADRE E LA MADRE. Nella nostra religione così viene recitato il nostro credo, una discutibile ritualità ci impone una serie di atteggiamenti verso i nostri cari defunti, la nostra cultura funerea, ci impone una lunga serie di nenie, composta da riti ancestrali, perpetui e ripetitivi. Mah! Io mi chiedo? Potremmo mai sentirci in pace con questa giovane fanciulla se tutta la nostra comunità non farà nulla affinché anch’essa  possa finalmente RIPOSARE IN PACE?

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