L’Aedo dell’Etna Alfio Patti iscritto al Reis

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Di Giuseppe Firrincieli

Il Cantastorie, è un arte che penetra e rimane indelebile nel cuore dei siciliani.

La bella notizia è di questi giorni, il riconoscimento è avvenuto il 15 dicembre scorso, la Commissione Regionale che si occupa della salvaguardia dei Beni Immateriali della Sicilia e dell’ antico e sempre affascinante e commovente canto siciliano, ha iscritto nel Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana, il prof. Alfio Patti, per il suo costante impegno, quale cantore di Sicilia, profuso nell’opera di valorizzazione del Canto tradizionale.

Da ben trentacinque anni, il cantore catanese,  prof. Alfio Patti, classe 1957, di San Gregorio, alle pendici dell’Etna, si occupa di letteratura, poesia e narrativa, con particolare interesse per quelle siciliane, ma la sua versatilità prediletta è lo spettacolo con le sue esibizioni canore folcloristiche come “Allakatalla”-poesia cuntata e cantata; “Friscanzana”-poesia in movimento; “Trispiti e Tavuli”; “Tra Ciuri d’aranci e Spini santi”- la storia della donna siciliana; “Arsura d’Amuri”; “Santa Luna e Santu Suli”; “La Divina, Dante …canta” E molti altri ancora.

Alfio Patti è anche un docente di pedagogia e filosofia e ancora  giornalista e non può mancare un suo pensiero per la sua nobile versatilità artistica, Alfio ci racconta:

“Quando la parola si fa poesia e la poesia canto, ti entra dentro e rimane forte la sua memoria come in questi versi popolari: “Sintìti tutti, granni e picciriddi / nisciti di li casi e li vaneddi / arrivau lu cantastorii, sintìti la storia ca vi cunta / la chitarra è già accurdata”. (Sentite tutti, grandi e piccini / uscite dalle case e dai vicoli / è arrivato il cantastorie, sentite la storia che vi racconta / la chitarra è già accordata).

Questo uno degli incipit; dei richiami del cantastorie, figura emblematica di una

Sicilia che ha raccontato e memorizzato se stessa nei secoli.

Si tratta di una figura artistica cui il popolo siciliano deve tanto, non fosse altro che per aver trasformato la parola in poesia e la poesia in canto. Le sue origini sono antiche. Suoi antesignani sono stati i cantori dell’antica Grecia, gli aedi; quelli del mondo latino e barbarico fino ad arrivare ai più moderni giullari medievali. Fu Guglielmo XI d’Aquitania, poi, a trasformare i giullari, fino ad allora buffoni di corte, in poeti e cantastorie. Del periodo erano anche i menestrelli (dal provenzale menestrals – servo di casa) che divulgavano un repertorio popolare in ambienti cittadini e cortesi cantando e danzando. Altra figura artistica che anticipò di un secolo i menestrelli fu quella del trovatore, anche questo di origini provenzali (trobador) ma che componeva in versi lirici e in lingua occitanica. Più popolare e modesto era, invece, il “cantimbanco”, attore-cantante che si esibiva su un banco eretto nelle piazze durante le fiere e sagre popolari, suonando e cantando miti e leggende.

La risultante finale che viene fuori da queste figure artistiche alla fine del Settecento è quella del classico cantastorie che, lasciate le corti e gli ambienti cortesi, si esibiva all’antu, nelle piazze, nei crocevia per raccontare e cantare storie.

Il mestiere di cantastorie si sposava per vocazione e per passione, al fine di comunicare e narrare le imprese eroiche e romanzesche, ma anche fatti di cronaca che accadevano in Sicilia. Era un mestiere che dava soddisfazione prettamente artistica, ma non economica: “carmina non dant panem”. Era lo stesso cantastorie che componeva la storia in versi, usando sestine od ottave; lo faceva mnemonicamente perché non sapeva né leggere né scrivere. Egli, però, parlava un siciliano comune in tutta l’Isola, cioè seguiva una vera e propria koinè. Sono stati gli studiosi come Pitrè, Salomone Marino, Vigo, Natoli a raccogliere i canti e a trascriverli e pubblicarli in raccolte, salvandoli dalle numerose vie dell’oblio.”

Ringraziando il prof. Alfio Patti, per la bellissima disanima sull’ arte dello spettacolo “cantato e cuntato”, non possiamo fare altro di riportare una sua opera stupenda, espressa in  dolci note siciliane:

  • ANGELINA DEI LAURIA

(Figghia di lu Baruni di Lauria a Castigghiuni di Sicilia). L’opera si riferisce all’epoca della Rivoluzione del Vespro:

È la storia di una ragazza molto bella. Castiglione di Sicilia vantava un tempo di avere le ragazze più belle di Sicilia. Ce ne fu una di nome Angelina, Angioletta o Angiolella, che era figlia del Barone dei Lauria, signore di queste terre, che ebbe la fortuna non solo di coronare il suo sogno d’amore ma anche di diventare regina di Francia. Naturalmente questa è una leggenda.

Tutto inizia quando un mercante francese, un certo Giacchetto, nel 1282, venne nel palazzo dei Lauria per i suoi affari. (In Sicilia gli angioini si erano installati già dal 1266). Qui vede Angelina e rimane colpito dalla sua bellezza. Appena ritorna in Francia lo racconta al delfino di Francia che incuriosito venne in Sicilia per conoscerla. Egli sbarca a Schisò e appena la vede se ne innamora. Il loro amore vedrà una fuga rocambolesca in Francia per il proprio coronamento.

1) Nta lu casteddu di lu Castigliuni,             cantata – DO+

ci stava lu Baruini di la Loria

signuri di sti terri in tutti ’i gnuni,

patruni di li campi, ciumi e aria.

Ccu d’iddu abitava ’na criatura,                   RE-

ca cchiù bedda non fici la Natura.

2) Era so figghia biunna, casta e pura,                          parlato

Angelina o Angiledda numinata,

ca ci addutò la sorti ’n’avvintura:

«divintari riggina tantu amata».

Fu lu Dilfinu di Franza ca la vosi,

e a Schisò sbarcàu e fici basi.

3) Ma la storia cumincia assai prima,                   cantata – DO+

quannu Giacchettu, lu francu mircanti,

ppi lu casteddu iddu s’arrimina

e vidi Angelina ddà davanti.

Comu la visti sùbbitu allampàu                           RE-

e ’n Franza riturnatu lu cuntàu.

Giacchetto tornato in Francia disse al Delfino: «’ccillenza, in Sicilia, a Castigghiuni ci sta na fimmina ca è la cchiù bedda di li beddi. Diu una cchiù bedda non sappi fari». Il Delfino visto tanto ardore nel racconto del suo fido mercante scese in Sicilia e sbarca a Schisò.

4) Lu Dilfinu in Sicilia sbarcàu,                          cantato in DO+

purtatu di lu so fidu Giacchettu,

di Angelina si ni ’nnammuràu:

non ci nni levu e mancu ci nni mettu.

Li du’ giuvini cùncurdaru amuri                           RE-

e fari fuitina a li bon’uri.

Era il 1282 ed erano scoppiati a Palermo i Vespri Siciliani. Lui è chiamato a sedare i moti rivoltosi a Palermo. Promette ad Angelina di ritornare e si uniscono in una promessa eterna sul monte Rotondo che guarda l’Alkantàra, (nella storia scrivono la Cantàra). Egli tornerà vivo, anche se i francesi vengono sconfitti; tornerà ed adempierà alla sua promessa.

5) Lu milli e ducentuttanta dui,                        cantato DO+

Sicilia ’nsorgi contru di la Franza,

lu Delfinu a Palermu si nni fui

e Angilina s’affida a la spiranza.

Li du’ amanti sunnu ’nnammurati,                           RE-

ma nimici di guerra addivintati.

6) Angilina l’aspetta ccu l’arduri,

mentri la guerra ’nfoca nta li strati,                   parlato

suspira pinsannu a lu so amuri

ma pensa ê siciliani li so’ frati.

Chiusa nta lu cunflittu di lu cori,

s’affida a Diu e quasi si nni mori!

Lei è chiusa nel castello che la leggenda vuole costruito con pietre levigate.

7) Lu casteddu ccu tutti li so’ stanzi,

pari leggiu e friddu nta la notti

Franca, la so bàlia, ci duna spranzi

Angila ad idda grapi li so’ porti.

Li petri di li mura su’ squatrati,

di ’ntagghiu finu sunnu travagghiati.

Lei si affida alla sua balia, Franca. A lei affida i suoi sospiri, le sua ansie, i suoi ardori, le sue speranze, i suoi dubbi. Si diceva che Angelina avesse il sonno pesante quindi incarica Franca di vegliare perché potesse vedere arrivare il suo amato e scappare subito con lui: da qui Franca vigghia, Franca veglia… Francavilla?

8) Franca t’arraccumannu sempri vigghia        cantato cambio ritmo valzerato LA-

– dicìa la criatura tutta afflitta –

ֹ’sta smània lu me senziu mi scumpigghia,

mi dissi ca turnava di la sditta.

Lu giuràu ddà supra di lu munti,

a lu Rutunnu supra la Cantàra,

li so’ paroli ’i mia restanu assunti

vigghia Franca e guarda la ciumara!

Poi una notte l’amato arriva e la leggenda vuole che Angelina scendesse giù con una scala di seta per scappare insieme verso Schisò dove c’è una barca che li aspetta per andare nella nave che li porterà in Francia.

9) Poi ’na notti lu santu mumentu,                      cantata – DO+

l’amanti so a Schisò prestu arrivàu,

pigghia lu so cavaddu e ccu turmentu

a lu casteddu lu signu mannàu.

Angilina arriva nta lu celu

lassa la turri attaccata a ’n velu.

10) L’amanti finalmenti s’abbrazzaru,              parlato

e versu lu Schisò si nni fuieru,

’na varca nta ddu locu si pigghiàru

ora l’amuri non è priggiuneru.

Bàttinu lo so’ cori ’nzichitanza,

distinazioni: la sunnata Franza!

11) La storia ca cuntài signuri mei,              cantato DO+

è cchiù liggenna ca pruvata storia,

la guerra a li cori fa nichèi

l’amuri porta a l’amata gloria.

La vita, ’nveci, è china di sti fatti

iù vi salutu, mi chiamu Alfiu Patti.

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