Franco Sciacca, vero artigiano della luce iridea

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Di Giuseppe Firrincieli

RECENSIONI/I NOSTRI ARTISTI: FRANCO SCIACCA.

Dipinto Olio su Tela “La Vendemmia” dim. 1,20 per 0,70

Quest’opera esprime un richiamo d’ammirazione, molto accattivante per la maestosità della vigna verde, con i suoi grappoli d’uva nera, che esalta l’entusiasmo e la voglia di una giovane donna, coperta da un bianco e sfolgorante cappello a difesa dei caldi raggi solari, felice di voler accarezzare, con amore e con le proprie mani, chicchi grossi, succosi e neri, pregio di madre natura. 

Una sfolgorante  luce esalta l’ opera medesima ed entra con evidente veemenza nella vena artistica del puntinismo del grande Georges Seurat, ma con un accento di brillantezza tutta sicula, di cui l’artista – autore ne è protagonista fra i grandi pittori neo impressionisti veristi siciliani.

Nel dipinto emerge anche una qualità di immagine superba e raffinata, perché ancora l’autore ha saputo intonare una composizione cromatica che si sposa con le essenze più luccicanti del nostro ambiente campestre e con le tonalità armoniche dei suoni melodiosi che esprime il fischiettante venticello di campagna, pronto ad imbattersi sulle foglie del pergolato.

Sì! … Questa è  la Sikelìa, quella di un’artista pittore, vero artigiano della luce iridea, che con il pennello innalza l’arte visiva in un arcobaleno di rara beltà, esaltando cromatismi luminosi, sprigionati in maestose aurore o tramonti fluorescenti.

Il maestro Franco Sciacca, catanese puro sangue, è un artista contemporaneo che rappresenta, nei suoi dipinti, un amore grande e particolare per la sua Terra e per tutto quello che la circonda e che la vive: Fratello contadino, sorella donzella, fratello Sole, sorella Luna, fratello cane, sorella colomba, fratello mulo, sorella giumenta,  fratello campo arato e fiorito, sorella pianta tenera e anche quella corrugata, fratello monte, sorella  pianura, fratello mare, sorella riva, fratello pesce, sorella barca, fratello pescatore, sorella burrasca … ed anche sorella acqua quieta che sgorga dalle viscere rupestri.

Un variopinto mondo, tutto sciacchiano andremo ad esaminare, oggi, nonchè  una vena d’arte che raffigura una espressione pittorica pregna di invitante curiosità.

Che la Sicilia rappresenti una platea di contraddizioni ben identificate e non fruibili è un fatto puramente assodato. Nei secoli,  il bello è bello, il brutto è brutto.

La natura, qui, si esprime con il sale, con lo zolfo, con la pece nera, che richiamano l’idea della fatica, dei lavori pesanti. Bianco e nero, due colori senza sfumature, dentro precisi comparti, non si mischiano, stanno al loro posto e a renderli ancora più splendenti ci pensa il maestoso Mongibello con il suo fuoco, quella rossa furia  di ardente lava che detiene i più pregiati minerali esistenti, andandoli a raccogliere nel bel mezzo del globo dove viene custodita la genesi, l’energia primaria, quella che ha dato l’avvio alla creazione del pianeta e alla cellula della vita. Ci pensa ancora il verde della propria vegetazione, assieme all’acqua mediterranea che, con i suoi flutti illuminanti, luccicanti e variopinti, fa da cornice ed esalta ancor di più la bellezza di questa meravigliosa Isola.

E la Sicilia è la cellula del fascino, proprio per i suoi contrasti interni ed esterni, quella che ammalia il vero artista, il vero amante della bellezza. In questa terra di fuoco, l’originalità dello splendore consiste nella espressione del bello, in qualsiasi quark che compone l’elemento. E non è esistita validità artistica visiva o poetica più intensa ed espressiva di quella che riesce ad esaltare, un particolare, il centro o il margine, il diritto o il rovescio, di un composto, una volta scomposto e messo a nudo. La fertilità dei paesaggi, il calore naturale, l’animo della vita, rappresentano, ancora, possibili estrazioni che per mano di un artista possono ritrovarsi in valide proposte creative.

Ma chi è Franco Sciacca?

Franco Sciacca è un pittore artista contemporaneo, classe 1942.

Perché il maestro Sciacca ci riporta ad un pensiero del genere?

Si!  Proprio questo pittore ci conduce nella poliedrica panoramica siciliana della performance artistica, visiva, poetica e di pensiero; negli anni sessanta, un ancor timido autore, figlio d’arte, la madre Santa Sciacca fu una valente pittrice, detentore di un valido indirizzo artistico, profusogli dal maestro Rio Motta, trova spazio con la propria tavolozza. Sciacca, a vent’anni, proiettato alla ricerca di una propria identità artistica, avvertì il bisogno di evadere dalla sua Sicilia, con un unico ed intenso desiderio: approfondire le proprie conoscenze dell’arte visiva. E l’allora giovane pittore studia la Scuola di Posillipo, i Macchiaioli Fiorentini, la scapigliatura lombarda, l’impressionismo francese. E l’impressionismo diventa la sua guida artistica. Consideratosi arrivato solo al primo stadio della propria valenza artistica, Franco Sciacca studia la pittura del Segantini e del Seurat. Siamo alla fine degli anni settanta e intuisce il desiderio del cambio di rotta creativo con l’applicazione della tecnica del divisionismo, però molto personalizzata. Va in Francia studia autori come Cezanne, Seurat, Signac ed espone una “personale” ad Aix en Provence. Le ultime esperienze di critica positiva, riportano, un Franco Sciacca  entusiasta e con tanta voglia di fare, in Sicilia;  carico di progetti, da inizio a una nuova produzione artistica che decanta in pieno la pittura che tanto aveva cercato di celebrare. Un divisionista siciliano «Non solo divisionista» si afferma agli occhi della critica. Franco incomincia a raccogliere e a trasferire sulla tela i tesori nascosti della espressione bucolica, attinge dall’animo dei suoi personaggi con il pennello, l’essenza catartica, scompone le luci, raccogliendo splendenti sprazzi cromatici conservati come tesori nascosti. E la fertile produzione artistica di Franco Sciacca consiste proprio nel saper trasportare sulla tela pregi e difetti che la sua terra esprime. L’esaltazione della solitudine, della quiete, di un «lento» scandire del tempo, di un movimento sinuoso dove la fatica può apparire dolce e fisica, ma carica di soddisfazioni, viene espressa da una esplosione di luci e di inseguimento di colori. L’Aratura e la trebbiatura sono adesso arrivati ad uno stadio alto di pregio artistico, dove un’agave può apparire rossa perché i riflessi di luce appaiono nei quadri di Sciacca all’imbrunire o all’alba, quando tutto si scompone e si compone allo sguardo di questo autore, in cui il sapere dell’artigiano e l’animo del poeta sono le uniche cose che riescono a fondersi.

Il dipinto, in esame, mi riporta, ad una pagina del mio libro:

<<Noi Italiani e Voi Siciliani>>

Giuseppe dei Firrincieli

  “… Lungo i filari le bambine, con canestri sottobraccio, rifacevano lo stesso percorso  dei vignaioli ricurvi per racimolare i grappoli rimasti appesi o caduti per terra, sfuggiti all’affilata e consunta lama dei coltelli dalla punta acuminata, usati a mezzodì per tagliare il pane e tirare fuori il companatico dal portamangiare d’alluminio consumato e ammaccaticcio. Ai ragazzini  toccava fare un altro lavoro più pesante, e cioè quello di partecipare  a piedi nudi alla pigiatura. E poi le caldi e fumanti mostarde, condite con cannella frantumata, fatte col vino cotto e rese dolci con un po’ di cenere delle magghiole e ancora i gustosi mustazzoli, sempre al sapore di cannella e ricoperti di spezzettate mandorle abbrustolite. Le liccunìe della povera gente dovevano essere pronte la sera quando ci si radunava ’ndo vignali per ascoltare, fra i racconti degli anziani, la lettura a puntate della vita e morte di Salvatore Giuliano o, andando più indietro nel tempo, le vicende dei Beati Paoli, la Manu Niura e la visita in Sicilia, dove ci lasciò la pelle, di Joe Petrosino o ancora le imprese dei Briganti Intaglietta e Salibba. I ragazzi, di buon mattino stavano in palmento a … divertirsi … svuotando le coffee e a  fare gli spiritosi, cantando in coro stonato e a squarciagola  Si maritau Rosa, Saridda e Pippinedda e iù ca sugnu bedda nun mi pozzu maritari…  Il coro era maliziosamente rivolto verso la casa dove abitavano la ’gna Venera, la ’gna Ciccina, con le loro figlie schiette, a far da mangiare.La ’gna Venera, mentre impastava la farina per preparare il pane, recitava una santa preghiera. L’Angilu passau, la grazia ni lassau, criscitulu miu Diu, chistu è ’u pani di la provvidenza… Ilperiodo della vendemmia era un richiamo per amici e parenti che venivano dal paese; centinaia di monzelli di farina venivano impastate per preparare i cuccidati, ’nciminati e facci ’i vecchia per essere cunzati con pomodoro secco, origano, olio e spezie o con lardo salato e olive nere, per poi arrivare alle fantastiche focacce coi cavolfiori, coi broccoli, col pomodoro, col le melenzane, con la cipolla e il prezzemolo, con caciocavallo, con la tuma di pecora e le acciughe salate, con ricotta e sasizza. Il vino era quello dell’anno precedente. Il mosto, una volta pronto,veniva versato nei tini, quindi si aspettava con ansia l’arrivo della breve estate di San Martino, quando i cannelli delle botti iniziavano a sgorgare il rosso sangue del dio Bacco. San Martino era un’altra festa, con la preparazione di dolci ancora più buoni. Le crispelle  di pasta morbida cotte nell’olio d’oliva e poi passate nello zucchero, oppure quelle cotte nel miele o ripiene d’uva passa, o di ricotta, o ancora fritte con l’acciuga salata …”

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