Operazione antimafia carabinieri a San Giuseppe Jato e San Cipiriello, 10 arresti

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Nonostante la detenzione hanno mantenuto “stabili contatti” con gli altri affiliati. E’ uno dei retroscena del blitz antimafia ‘Jato Bet’ dei carabinieri tra San Giuseppe Jato e San Cipirello, nel Palermitano. Dieci le misure cautelari eseguite. Gli indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico. Le indagini hanno fatto luce su quanto avvenuto all’indomani dell’arresto di Ignazio Bruno, capo del mandamento di San Giuseppe Jato, e di Vincenzo Simonetti, suo autista e consigliere, avvenuti, rispettivamente, nelle operazioni denominate ‘Quattro.Zero’ e ‘Montereale’. “I due uomini d’onore, anche durante la loro detenzione – spiegano gli investigatori -, hanno mantenuto stabili contatti con gli altri associati oggi destinatari del provvedimento cautelare”. 

In particolare, le comunicazioni avvenivano con Calogero Alamia (nipote di Antonino, elemento di vertice della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e già individuato quale ‘cassiere’ del mandamento, attualmente detenuto), cui viene contestato il ruolo di promotore dell’organizzazione dal luglio del 2018, e Maurizio Licari. Gli altri indagati per associazione mafiosa sono Nicusor, Tinjala Giuseppe Bommarito, storico esponente di ‘Cosa Nostra’ e già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione (sentenza divenuta irrevocabile nel 2006), e i figli Calogero e Giuseppe Antonio. Il provvedimento eseguito oggi colpisce anche Massimiliano Giangrande (al quale non viene però contestato

C’è anche l’ex comandante della Polizia municipale di San Giuseppe Jato, oggi in pensione, tra gli indagati. E’ indagato per accesso abusivo a un sistema informatico e gli è stata notificata la misura della sospensione dall’ufficio o servizio. “A lui viene contestato di essersi introdotto abusivamente nel sistema informativo dell’Aci – spiegano gli investigatori dell’Arma – per verificare l’intestatario della targa di un veicolo da cui erano stati scaricati rifiuti edili in un’area monitorata da telecamere comunali”. 

Secondo l’accusa il pubblico ufficiale avrebbe riferito, per sua iniziativa, l’esito dell’accertamento informatico svolto a Giuseppe Antonio Bommarito, figlio di Giuseppe, storico esponente di ‘Cosa Nostra’ e già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione (sentenza divenuta irrevocabile nel 2006), “consentendogli di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi”.

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