A Catania Polizia stronca tratta di bulgare, poi ridotte in schiavitù e prostituzione

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Tratta di persone, riduzione in schiavitù, associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, aggravati dalla transnazionalità. Sono le accuse mosse, a vario titolo, a 9 persone arrestate dalla Polizia di Stato di Catania.

Le indagini degli agenti della Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione della Squadra Mobile catanese, coordinati dal pool di magistrati della Dda, avviate nel giugno del 2020, sono partite a seguito di una denuncia presentata da due donne bulgare nei confronti di un’altra straniera per questioni riguardanti il pagamento del canone di locazione delle postazioni su strada, ‘joint’ nei pressi di un bar nella zona della locale stazione ferroviaria, dove le due erano solite prostituirsi.

Le vittime di tratta, alcune delle quali reclutate in madrepatria al costo di circa 12mila lev (circa 6.129,82 euro), una volta in Italia venivano sistemate in abitazioni fatiscenti (nel quartiere San Cocimo), con pessime condizioni igieniche, private di ogni libertà (e dei documenti di identità) e sfamate con lo stretto necessario per farle sopravvivere (alle ragazze veniva dato non solo poco cibo, ma anche pietanze poco costose come ad esempio le patate), garantendo, in tal modo, al gruppo criminale un introito costante di circa 1.400 euro a settimana.

Definite dagli indagati letteralmente come spazzatura, bokluk in lingua bulgara, venivano costrette a prostituirsi parecchie ore ogni giorno (dalle 19 fino alle 4.30 circa), anche durante le restrizioni imposte dalla pandemia, con ogni condizione atmosferica, sottoposte a percosse e soprusi di ogni tipo e al costante controllo di connazionali e/o di soggetti locali, assoldati dai promotori a tale scopo.

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