La cittadinanza catanese attribuita ad Alessandro Dumas

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Di Santi Maria Randazzo

Alessandro Dumas dopo essere stato in Russia ed aver scritto sul conflitto russo-ceceno nel 1859, nel 1860 decise di realizzare Il grande viaggio di Ulisse e iniziò una crociera nel Mediterraneo; saputo però che Giuseppe Garibaldi era partito per la Spedizione dei mille, lo raggiunse per mare, fornendogli, con i soldi messi da parte per il suo viaggio, armi, munizioni e camicie rosse. Fu testimone oculare della battaglia di Calatafimi, che descrisse ne I garibaldini, pubblicato nel 1861.[1] Dumas, che era stato il contatto tra Garibaldi ed il ministro dell’interno del neocostituito governo liberale Liborio Romano, era al fianco di Garibaldi nel giorno del suo ingresso a Napoli: oltre che amico e ammiratore dello stesso Garibaldi, Dumas era come lui membro della massoneria,[2] essendo stato iniziato nel 1862 nella Loggia napoletana “Fede italica”[3] con Luigi Zuppetta.[4]

Il quindici luglio del 1860 il Consiglio Civico di Catania volle concedere ad Alessandro Dumas la Cittadinanza Catanese con la seguente motivazione, pubblicata sul Giornale di Catania di mercoledì 25 luglio 1860: “ Volendo perpetuare con pubblico ricordo l’avventuroso arrivo in queste mura dell’immortale Alessandro Dumas, e nel tempo stesso tributargli un attestato di ammirazione come una celebrità Europea, che col cuore e colla mente si è dedicato colle sue letterarie produzioni ad istruire i Cittadini dell’universo incivilito.” Alessandro Dumas era arrivato da poco a Catania a bordo di un veliero e si era subito reso attivo nel sostenere l’impresa di Garibaldi che di li a poco avrebbe sostenuto la battaglia decisiva contro i Borboni in Sicilia, a Milazzo, il 21 luglio 1860. Dumas,  avuta notizia dell’imminente battaglia si era recato nei ressi di Milazzo per assistere personalmente allo svolgersi degli eventi ed il cui resoconto inviò a Giacinto Carini, Ispettore Generale di Cavalleria. La sua lettera-resoconto  venne pubblicata sul Giornale di Catania sabato 28 luglio 1860 e, di seguito, ne riportiamo il contenuto: “ Mio caro Carini: Gran combattimento; grande vittoria; 7000 napolitani sono fuggiti innanzi 2500 italiani. Ho pensato che questa buona notizia sarebbe un balsamo per la vostra ferita, e vi scrivo sotto il cannone del castello che fa fuoco ( molto balordamente, rendiamogli questa giustizia) sulla Città di Edimburgo, e sulla vostra umilissima l’Emma. Mentre Bosco brucia la sua polvere noi abbiamo il tempo di discorrere, discorriamo. Io era a Catania, quando intesi vagamente che una colonna napoletana era partita da Messina, e andava a scontrarsi con Medici, e spedii tosto un messo al console  francese di Messina, il quale mi rispose che la nuova era vera. Noi abbiamo levato l’ancora al momento stesso sperando arrivare a Milazzo per vedere il combattimento. Il posdomani in effetto al punto in cui entravamo nel golfo orientale, il combattimento era cominciato. Ecco ciò che avveniva: voi potete credere alla esattezza dei fatti, poiché queste si compivano sotto i miei occhi. Il Generale Garibaldi partito il 18 da Palermo, era arrivato il 19 al campo di Merì, e già da due giorni erano succeduti dei combattimenti parziali. Appena arrivato, egli aveva passato in rassegna le truppe di Medici che lo accolsero con entusiasmo.

L’indomani all’alba, tutte le truppe erano in moto per assalire i napoletani usciti dal forte e dalla città di Milazzo che occupavano. Malenchini comandava l’estrema sinistra; il generale Medici e Cosenz il centro; la dritta composta solamente di alcune compagnie non avea scopo che coprire il centro, e la sinistra da una sorpresa. Il generale Garibaldi si collocò al centro, cioè a dire nel sito ov’ei giudicava che l’azione sarebbe più viva. Il fuoco cominciò alla sinistra a mezza strada fra Merì e Milazzo. S’incontrarono gli avamposti Napolitani nascosti tra i caneti. Dopo un quarto d’ora di moschetteria sulla sinistra, il centro, a sua volta, si è trovato in faccia alla linea Napolitana, e l’ha attaccata e sloggiata dalle prime posizioni. La dritta, nel frattempo, scacciava i Napolitani dalle case che occupavano. Ma le difficoltà del terreno impedivano a’ rinforzi di arrivare. Bosco spinse una massa di 6 mila uomini contro i cinque o seicento assalitori che l’aveano costretto a indietreggiare, e che, sopraffatte dal numero, era stati obbligati a indietreggiare a lor volta. Il generale spedì tosto a pigliar de’ rinforzi. Arrivati che furono, si attaccò di nuovo il nemico nascosto tra i canneti e riparato dietro i fichi d’india. Ciò era un gran svantaggio per gl’Italiani che non potevano caricare alla baionetta. Medici, marciando alla testa de’ suoi uomini, aveva auto il cavallo ucciso sotto di se. Cosenz avea ricevuta una palla morta nel collo, ed era caduto a terra: si credeva ferito mortalmente, allorchè si rialzò gridando: Viva l’Italia ! La sua ferita era fortunatamente leggiera. Il generale Garibaldi, si posa allora alla testa de’ carabinieri Genovesi; con alcune guide e Missori.

La sua intenzione era di affrontare i napoletani ed attaccarli di fianco togliendo così la ritirata ad una parte di essi. Ma s’imbatté in una batteria di cannoni che fece ostacolo a siffatta manovra. Missori e il apitano Statella si spinsero allora con una cinquantina d’uomini, il generale Garibaldi era alla testa, e dirigeva la carica: a venti passi il cannone fece fuoco a mitraglia. L’effetto fu terribile: cinque o sei uomini rimasero solamente in piedi: il generale Garibaldi ebbe la sola della scarpa e la staffa portata via da una palla di cannone; il di lui cavallo ferito divenne indomabile e fu costretto di abbandonarlo lasciandovi il suo revolver. Il maggior Breda e il suo trombetta furono colpiti; a’ fianchi. Missori cadeva sul suo cavallo ferito a morte da una scheggia. Statella restava in piedi fra un uragano di mitraglia, tutti gli altri morti o feriti. A parte di questi particolari, da tutti si combatteva valorosamente. Il generale vedendo allora l’impossibilità di prendere il cannone che avea fatto questo danno di fronte, comanda al colonnello Dounne di scegliere qualche compagnia e di slanciarsi con essa attraverso i canneti, raccomandando a Missori e Statella, appena sormontati i canneti di saltare al di sopra del muro che dovean trovarsi dinanzi, e poscia di slanciarsi sul pezzo di cannone che dovea essere a poca distanza. Il movimento fu eseguito da’ due officiali e con molta compattezza e molto slancio, ma allorché arrivarono sulla strada, la prima persona che vi trovarono era il generale Garibaldi a piedi e colla sciabola in pugno. In quel momento il cannone fa fuoco, uccide uomini, gli altri si slanciano sul pezzo, se ne impadroniscono lo portano via dal lato degl’Italiani. Allora la fanteria apolitana s’apre e da il passaggio ad una carica di cavalleria che si avventa per riprendere il pezzo. Gli uomini del colonnello Dounne, poco abituati al fuoco, si dividono a’ due lati della strada in luogo di sostenere la carica alla baionetta ma a sinistra sono trattenuti da’ fichi d’india, a dritta da un muro. La cavalleria pssa come un turbine: da’ due lati i Siciliani fanno allora fuoco – la esitanza d’un momento è svanita. Moschettato a destra ed a manca, l’uffiziale napolitano s’arresta e vuol tornare indietro, ma ecco in mezzo alla via serragli il passaggio il geneale Garibaldi, Missori e Statella e cinque o sei uomini. Il generale salta alla briglia del cavallo dell’uffiziale gridando: Arrendetevi. Lo  uffiziale, per tutta risposta, gli tira un fendente: il generale Garibaldi lo para, e d’un colpo di rovescio gli spacca la gola. L’uffiziale vacilla e vien giù: tre o quattro sciabole sono alzate sul generale, che ferisce uno degli assalitori d’un colpo di punta. Missori ne uccide altri due, e il cavallo d’un terzo con tre colpi di revolver. Statella mena le mani dalla sua parte, e ne cade un altro. Un soldato smontato di sella salta alla gola di Missori, che bruciapelo gli fracassa la testa con un quarto colpo di revolver. Durante questa lotta di giganti, il generale Garibaldi ha rannodato gli uomini sgominati. Egli carica con loro, e mentre riesce di sterminare o di far prigioni i cinquanta cavalieri dal primo fino all’ultimo, incalza alla fine colle baionette, secondato dal resto del centro, i Napolitani, i Bavari e gli Svizzeri tengono fermo un momento, ma fuggono essi pure. La giornata è decisa, la vittoria non è ancora, ma la saà dell’eroe dell’Italia. Tutta l’armata napoletana si pone in rotta verso Milazzo, ed è inseguita sino alle prime abitazioni: là i cannoni del forte si uniscono ai combattimenti.”

Bibliografia ( da Wilkipedia):

  1. Garibaldi e Dumas, la spedizione dei Mille e il brigantaggio, di Rinaldo Longo.
  2. Christian Doumergue, Franc-Maçonnerie & histoire de France, Ed. de l’Opportun, Paris, 2016, p. 213.
  3.  Loggia fondata il 18 agosto 1861 e demolita il 23 luglio 1877 dal Grande Oriente d’Italia(cf. Clara Miccinelli e Carlo Animato, Il conte di Montecristo, favola alchemica e massonica vendetta, ediz. Mediterranee, Roma, 1991, p.40).
  4. G. Leti, Carboneria e massoneria nel Risorgimento italiano : saggio di critica storica, 1925, ried. A. Forni, 1966, p. 249.

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