Processo trattativa, difesa Dell’Utri: “E’ innocente, Brusca inattendibile”

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L’arringa dell’avvocato Padovani: “Gli imputati simboleggiano una vicenda e la posta in gioco è alta”

“Marcello Dell’Utri è perfettamente innocente, a suo carico, in termini fattuali, non c’è nulla. Non c’entra nulla. Questo processo è, per molti peculiari aspetti, di portata storica. Mi sono reso conto che si agitano questioni di fondo che superano largamente le posizioni dei singoli imputati, che sono la carne viva su cui il processo opera e agisce”. Inizia così l’arringa difensiva dell’avvocato Tullio Padovani, uno dei legali dell’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri nel processo d’appello sulla trattativa tra Stato e mafia. In primo grado Dell’Utri, che è venuto una sola volta alle udienze, è stato condannato a dodici anni di carcere per minaccia a corpo politico dello Stato. E la Procura generale, alla fine della requisitoria, ha chiesto la conferma della condanna.

“Questi imputati – prosegue ancora l’avvocato -stanno qui a simboleggiare una vicenda, la posta in gioco è più alta. In questo processo si tocca un punto nevralgico dello stato di diritto. Si tocca un nodo nevralgico”. In primo grado nella sentenza del 20 aprile 2018, la Corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto aveva inflitto anche 28 anni di carcere al boss Leoluca Bagarella, 12 anni agli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni. Condannato a 12 anni il boss Antonino Cinà, mentre ad 8 l’ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno. Tutti quanti a processo per violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato (reato previsto dall’articolo 338 del Codice penale).

Nella ricostruzione dell’accusa “un ruolo decisivo in questa situazione di convivenza gattopardesca lo ha avuto anche Marcello Dell’Utri, che nella fase di elaborazione di un progetto di un nuovo soggetto politico, e poi nella fase elettorale – 1993/1994 – ha curato la tessitura di relazioni e poi la propaganda con cosa nostra e ‘Ndrangheta alle quali ha dovuto fare promesse, poi tramutatesi in richieste veicolate al presidente del Consiglio”. La Procura generale aveva parlato di “menti raffinatissime che avevano sostenuto la coabitazione tra il potere criminale e le istituzioni, avviando la trattativa”. “Se è vero, come ha sostenuto la difesa, che Dell’Utri non ha veicolato alcuna richiesta dei mafiosi all’amico Berlusconi divenuto premier, perché questi non è venuto a riferirlo a questa Corte? – si sono chiesti i Pg Giuseppe Fici e Sergio Barbiera- Tutto questo a fronte di prove che documentano oltre ogni ragionevole dubbio che Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, ha sostituito Salvo Lima come uomo di confine tra uomini di cosa nostra e lo Stato, possiamo concludere, anche in ragione del silenzio di Berlusconi che effettivamente Dell’Utri ha trasmesso le minacciose richieste del popolo della criminalità organizzata”.

Ma secondo i legali di Marcello Dell’Utri, gli avvocati Tullio Padovani, Francesco Centonze e Francesco Bertorotta, Dell’Utri “è innocente”. Mentre i collaboratori di giustizia che accusano l’ex senatore “sono inattendibili”. Padovani ricorda le dichiarazioni del pentito di mafia Giovanni Brusca, anche lui imputato nel processo, e scarcerato di recente dopo 25 anni di carcere, sullo ‘stalliere di Arcore’, Vittorio Mangano. “Un giorno – aveva raccontato Giovanni Brusca in aula – mentre mi trovavo a Partinico, lessi su l’Espresso un articolo che parlava dei rapporti di Vittorio Mangano con Dell’Utri, Berlusconi e Confalonieri (‘Ad Arcore c’era uno stalliere’, ndr). Così ne parlai a Bagarella e decidemmo di chiedere a Mangano, che era il reggente del mandamento di Porta Nuova, se poteva portare le nostre richieste a Dell’Utri e Berlusconi”. Così agli inizi del 1994, aveva dichiarato quindi Brusca, mandai ”personalmente” a Milano Vittorio Mangano, emissario di Cosa Nostra. L’intento era quello di “contattare Dell’Utri e Berlusconi“. Il messaggio era preciso, secondo Brusca: “Se non avessero accettato le nostre richieste, come ad esempio la concessione della revisione del maxi processo e la fine del 41 bis, noi avremmo continuato con gli attentati, a buttare le bombe”.

Ma il legale di Dell’Utri tenta di smontare queste dichiarazioni. E pone delle domande, che lui definisce “quattro tappe”: “Innanzitutto, Vittorio Mangano incontra Dell’Utri nel 1994? Inoltre, Mangano che cosa comunica a Dell’Utri nell’ipotesi che quegli incontri siano avvenuti? Terza tappa: Che cosa Marcello Del’Utri riferisce, se riferisce al Presidente Berlusconi?”. E ancora: “Il Presidente Berlusconi e, in realtà, il governo destinatario della minaccia percepisce la portata minatoria?”. E ricorda: “E’ lo stesso Brusca a demolire questa congettura – dice l’avvocato Padovani – Stiamo parlando di un’epoca in cui Silvio Berlusconi non era neppure Presidente del Consiglio”. “Il presunto incontro di cui parla Brusca non poteva essere avvenuto mentre Berlusconi era Premier. Dunque, Brusca racconta una storia che non collima con una ricostruzione di questo tipo e la stessa sentenza di primo grado ne è consapevole”. E ribadisce che le dichiarazioni dei pentiti Giovanni Brusca e Salvatore Cucuzza “sono inattendibili”. “Qui non abbiamo la convergenza del molteplice ma la divergenza del molteplice”, e aggiunge: “Non c’è uno straccio di prova che gli incontri siano avvenuti”. E ancora: “Dell’Utri ha riferito e se sì cosa ha riferito a Berlusconi?”. E parla di “follia ermeneutica”, “una circostanza che non è provata. Si tratta di un amalgama di supposizioni”.

“Dovremmo avere la prova che il governo era coinvolto – dice ancora l’avvocato Padovani – Si è provato a raggiungere la prova? Non mi pare proprio. Perché non faceva comodo a provare, dico io che sono abituato a pensare male”. “Ecco dunque che l’articolo 338 è smarrito rispetto al fatto, non ha voce rispetto a quel fatto”.

Poi l’avvocato di Marcello Dell’Utri dice che “la posizione del mio assistito è stata strumentalizzata” e “questa strumentalizzazione raggiunge il suo apice, questa imputazione è servita per superare la preclusione avvenuta con la sentenza del 2010. A suo carico non c’è nulla, in termini fattuali”. E cita Giovanni Fiandaca: “La trattativa, come ha detto il mio illustre collega, nel processo di primo grado ha funzionato come pre comprensione ermeneutica”. Adesso c’è una pausa e l’udienza riprenderà per la seconda parte dell’intervento dell’avvocato Tullio Padovani. (AdnKronos)

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