40 anni fa l’attentato a Papa Wojtyla

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È mercoledì 13 maggio 1981, giorno di udienza generale. Giovanni Paolo II, primo Papa straniero, è a bordo della ‘papamobile’ scoperta, in piedi, in una piazza San Pietro affollata. La gente lo chiama, sorride e lo saluta. Poi, improvvisamente, alle 17.17, uno sparo, quindi il secondo. Papa Wojtyla si accascia sulla Jeep bianca con una smorfia di dolore. Il primo proiettile lo colpisce all’addome, il secondo a una mano. A sparare è il 23enne Mehmet Alì Agca, dei ‘Lupi Grigi’ ultra nazionalisti turchi, che subito dopo l’attentato fugge, raggiunge il colonnato di piazza San Pietro ma viene bloccato.

Il Santo Padre è gravemente ferito. I fedeli piangono, pregano. Il mondo è sconvolto. Papa Wojtyla viene operato all’ospedale Gemelli, ha perso molto sangue. Il suo segretario, don Stanislao, gli dà l’estrema unzione. Ma il Papa si salva (e poi perdonerà Agca). Il 13 maggio è la festa della Madonna di Fatima. Giovanni Paolo II si convince che a salvarlo sia stato un miracolo. La prima pallottola, infatti, compie un’inspiegabile traiettoria a zig zag nell’addome. Quanto basta per non ucciderlo.

Chi voleva il Papa morto? Ali Agca ha agito da solo? Quale mano l’ha armato? C’è una ‘pista bulgara’ attivata dal Kgb di Mosca? C’entra la Cia? Il mistero si cela in Vaticano? C’entra qualcosa la scomparsa, il 22 giugno del 1983, di Emanuela Orlandi, la figlia di un funzionario vaticano per la cui liberazione i sedicenti rapitori chiedono proprio la libertà di Agca (che su quella sparizione fornirà tante versioni diverse)? Domande e sospetti a cui ancora in tanti, a 40 anni di distanza, tentano di dare una risposta, ma che giudiziariamente non hanno mai trovato riscontri.

A progettare ed eseguire l’attentato è stato solo Ali Agca, terrorista dei ‘Lupi Grigi’. Questo e solo questo, al di là delle ipotesi messe in campo, della tesi della ‘terza pallottola’, delle piste giudiziarie seguite e dai vari processi, dicono le sentenze.

La prima è del 22 luglio 1981, quando Ali Agca, dopo tre giorni di processo per direttissima, venne condannato all’ergastolo (rinuncerà a presentare appello). Già in quell’occasione, i giudici parlarono di attentato preparato non da un “maniaco” ma da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra. La difesa del terrorista, al contrario, sostenne che Ali Agca agì da solo.

Dopo la sentenza, però, la procura di Roma proseguì le indagini per scoprire se davvero dietro Agca non ci fosse nessuno, nessuna organizzazione, nessun mandante, e a questo scopo nel novembre del 1981 un supplemento d’istruttoria per la seconda inchiesta venne affidato al giudice Ilario Martella. È il 16 agosto del 1982 quando sul ‘Reader’s digest’ la scrittrice americana Claire Sterling sostenne che Agca agì su mandato dei servizi segreti bulgari e sovietici. È qui che emerse per la prima volta la cosiddetta “pista bulgara”, con inevitabili propaggini sovietiche (pista avallata anche dalla Commissione d’Inchiesta Mitrokhin).

Vennero coinvolti tre presunti complici di Agca, da lui indicati come i veri organizzatori dell’attentato: Serghei Antonov, funzionario della sede romana della compagnia aerea Balkan Air; Jelio Vassilev, segretario dell’addetto militare dell’ambasciata bulgara a Roma; e Todor Ajvazov, responsabile ufficio amministrativo della stessa ambasciata. L’ipotesi è che il complotto per assassinare Giovanni Paolo II venne ordinato a Sofia nel luglio del 1980 da Abuzer Ugurlu, capo della malavita organizzata turca, e dal trafficante d’armi Bekir Celenk. Ad Agca, appoggiato logisticamente da Antonov, Vassilev e Ajvazov, sarebbero andati 3 milioni e mezzo di marchi tedeschi in cambio dell’assassino del Papa.

Nell’inchiesta vennero coinvolti anche il turco Omar Bagci, considerato complice di Agca, e i connazionali Cerdar Celebi e Oral Celik, accusati di concorso nell’attentato per aver garantito ad Agca appoggio e rifugio. Il processo sul presunto complotto, però, si conclude il 29 marzo del 1986 con l’assoluzione per insufficienza di prove di Antonov, Vassilev, Ayvazov, Celebi e Celik, mentre i giudici condannarono a 3 anni e 2 mesi Omar Bagci e a 1 anno lo stesso Agca per detenzione di arma (sentenza di fatto confermata in appello il 19 dicembre del 1987).

Intanto anche la terza inchiesta, condotta dai giudici Rosario Priore e Antonio Marini, finì nel 1998 con l’archiviazione. Marini, infatti, chiese a Priore (siamo ancora col vecchio codice) l’archiviazione, spiegando che la prova del complotto c’era ma risalire ai registi era impossibile. Priore accolse la richiesta prosciogliendo 13 persone, tutti esponenti o comunque gravitanti nell’orbita dei ‘Lupi Grigi’, ma mise in qualche modo sotto accusa il Vaticano per la sua collaborazione è stata “minima” o in alcuni casi “nulla”.

Priore ricostruì la vicenda facendo riferimento anche alla scomparsa della Orlandi, parlò delle varie piste (libica, ma anche islamica e interna), soffermandosi su quella bulgara (oggetto intanto di una quarta inchiesta per via di alcuni documenti rinvenuti presso l’ex Stasi, anche questa finita nel nulla).

Ma il giudice valutò anche la ‘pista mafiosa’ sulla base delle dichiarazioni del pentito Vincenzo Calcara, secondo il quale Ali Agca venne ingaggiato da Cosa nostra: “Si erano riuniti elementi della Cupola palermitana (tra cui Riina, ndr) – disse Calcara – ed elementi dell’ordine di Santo Sepolcro. Anche monsignor Marcinkus faceva parte di quest’ordine”. Per Calcara il Papa doveva essere ucciso perché “voleva fare dei cambiamenti che avrebbe danneggiato non solo ambienti del Vaticano, ma anche interessi di Cosa Nostra. Ambienti del Vaticano ovviamente corrotti e collusi con Cosa Nostra”. Dichiarazioni su cui i magistrati palermitani, scettici, non trovarono riscontri. Per Priore, però, il pentito era credibile e in grado di rafforzare la “pista investigativa” interna al Vaticano.

A 40 anni di distanza da quell’attentato che tenne il mondo con il fiato sospeso, però, i processi parlano chiaro: a tentare di uccidere Giovanni Paolo II fu l’unico condannato, Ali Agca, che nel 2000 ottenne la grazia dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Dopo la “non contrarietà” del Vaticano. (AdnKronos)

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