Sicilia indipendente? Solo per pochi romantici…

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Di Gualtiero Danesin

Da un osservatore esterno

Sono passati quasi inosservati perché non posti in libreria  – a quanto apprendo– le ultime pubblicazioni sulla figura del “Siciliano” Antonio Canepa e sulla poco conosciuta “storia” degli Anni Trenta e Quaranta in Sicilia in riferimento al “presunto” indipendentismo che animò quel periodo. Le pubblicazioni alle quali facciamo riferimento sono “L’avventura di San Marino”, “Sul filo del rasoio” e “Sicilia o morte” del giornalista Salvo Barbagallo, editi dalla Mare Nostrum Edizioni qualche mese addietro e (come dalla stessa Edizione annunciato) non presenti nelle librerie, ma solo a richiesta. Nella nota dell’Editore, fra l’altro, si specifica anche che la tiratura dei tre volumi è “limitata” e indirizzata per la documentazione raccolta a quanti possono avere intenzione di proseguire ricerche su vicende rimaste non solo oscure, ma di certo ignorate sia dalla pubblicistica comune, sia da quanti si ritengono studiosi della materia.

Ho ricevuto i libri direttamente da Salvo Barbagallo. Dei libri ne parlo in seconda battuta, vale la pena prima dare un cenno all’Autore.

Un’amicizia nata nella politica

Salvo Barbagallo è un giornalista “Siciliano” che ha alle spalle sessanta anni di carriera. Nonostante l’età avanzata – siamo coetanei, quindi oltre gli ottanta – è ancora sulla breccia. Non solo perché continua a scrivere libri, ma anche perché dirige e porta avanti giornali online, uno addirittura quotidiano (“La voce dell’isola”). Nel lungo arco di tempo della sua professione ne ha viste e descritte tante di “cose” di Sicilia: personalmente lo considero una “memoria storica”, probabilmente sottovalutata, e quindi non “sfruttata” dagli stessi suoi conterranei.

L’ho conosciuto nel corso di un convegno politico tenutosi a Catania a metà degli Anni Settanta: all’epoca eravamo militanti dello stesso partito, il PSI. Ci siamo rivisti in tante altre occasioni d’incontri politici sul territorio nazionale, continuamente in contrasto per posizioni diverse: io Craxiano, lui più a sinistra, da Lombardiano ad Achilliano.

Lombardi, Signorile, Achilli, De Michelis, Craxi…altri. Nomi che ai giovani non possono dire nulla, non li conoscono, nomi che gli adulti e i più adulti probabilmente hanno dimenticato o conservato come ricordi sbiaditi.

Allora, pur nelle forti e spesso feroci contrapposizioni, si faceva “politica”. A volte si giungeva alle mani. C’era, comunque, tanta passione. Innegabile.

Nei corridoi degli alberghi dove si tenevano i convegni, maggiormente quando si finiva “insieme” a tavola, si parlava di mille cose, pur sempre argomenti che in un modo o in altro con la “politica” avevano a che fare. Salvo – ma noi del nord lo chiamavamo Salvatore – nelle discussioni che si movimentavano, poneva costantemente all’attenzione – in maniera spesso stancante e pedante, proprio una “fissa” – la “Questione Siciliana” e le razzie che – secondo lui – l’Italia aveva perpetrato nei confronti della Sicilia. Parlava di un passato-più o meno recente – Anni ‘40/50 -, quando la Sicilia sfiorò l’opportunità di diventare “indipendente”, tentando di liberarsi dai legami di un’Italia che l’aveva da sempre oppressa.

Era un argomento ripetitivo, quello di Salvatore, come detto una vera “fissa”: riproposto in ogni nostro rivederci, da quando presi parte a quel primo convegno in Sicilia e lo conobbi. In quella circostanza la voce del partito che veniva da Roma al Sud era stata affidata a un giovane deputato di Genova, Antonio Canepa, definito (e riconosciuto) il “pupillo” di Pertini. Poi si venne a conoscenza che il padre del giovane deputato era il “sovversivo” separatista, del quale proprio lui portava stesso nome e cognome. Il deputato morì giovane per overdose.

Del PSI si è quasi persa la memoria: c’è memoria di Craxi e altri protagonisti di quei giorni in occasione delle loro dipartite: l’età e gli acciacchi prima o poi colpiscono tutti, avere abbandonato in molti la “scena” politica ha dato spazio a generazioni che si stanno scoprendo senza un passato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Tornando indietro. Allora quella storia che Barbagallo raccontava, mi intrigò: in quel periodo, nel periodo in cui si tenne il convegno a Catania, si era tornato a parlare dei neoseparatismo, di neofascismo, di bande armate organizzate con fondi elargiti da Gheddafi, di attentati che, però e fortunatamente, non facevano vittime. Come molti avvenimenti caratteristici della Sicilia, quella sorta di ventata di pseudo ribellione si esaurì in breve.

Allora da Barbagallo avevo avuto, appena stampato, il suo primo libro, “Una rivoluzione mancata”: la lettura mi aveva dato la possibilità di conoscere aspetti a me ignoti della Sicilia. Aspetti che la ponevano in un contesto ben più ampio di quello che la cosiddetta storiografia ufficiale normalmente rappresentava. Mi proposi di andare più a fondo sugli avvenimenti di quegli anni descritti: lo feci ma dopo, come purtroppo accade, eventi di lavoro e personali posero in archivio quelle mie intenzioni.

Sono trascorsi decenni e, a dire il vero, avevo dimenticato da tempo sia Barbagallo, sia l’indipendentismo siciliano e tutto ciò che riguardava gli episodi che avevano costellato quella fase della Sicilia. La lettera d’accompagnamento ai tre volumi ricevuti mi ha risvegliato momenti trascorsi, anche quelli che concernevano l’attività politica nella quale molti di noi erano immersi. Del vecchio PSI sono rimaste tracce anacronistiche, come quelle di una Sicilia che non c’è più, nonostante che ancora oggi è sempre d’attualità parlare di “mafia e antimafia”.

Gli ultimi tre volumi su Antonio Canepa

Non vorrei dilungarmi su queste ultime pubblicazioni di Barbagallo: non saprei dire a quanti possano interessare gli “approfondimenti” che propone. Indubbiamente c’è da dire che non sono libri da censire, ma da segnalare. Non tanto perché focalizzano in maniera chiara la figura di un personaggio, Antonio Canepa, definito da qualcuno il “Che Guevara” siciliano, il “guerrigliero” che immolò la sua vita sperando in un destino migliore per la sua terra. Quanto perché seguendo le complesse vicissitudini esistenziali di questo “patriota” sui generis, si scoprono aspetti inediti sul ruolo che la Sicilia ha avuto in una fase temporale della vita d’Italia, strettamente legata agli assestamenti internazionali che avrebbero riguardato gli sviluppi del “dopo” Seconda Guerra mondiale.

I tre volumi su Antonio Canepa – ben distinti nella cronologia del percorso umano di questo protagonista – mettono in luce profili ignoti o ignorati nel susseguirsi di eventi che toccano l’intera fascia degli accadimenti che hanno riguardato l’Italia e non esclusivamente la Sicilia. Il risultato di questa “esposizione” di fatti che Salvo Barbagallo offre al lettore è una serie di interrogativi che dovrebbero riguardare un po’ tutti: interrogativi che toccano direttamente i molti misteri – irrisolti –  che hanno costellato questo Paese prima, durante e dopo l’ultimo conflitto mondiale. Misteri che costituiscono le radici “anche” dell’attuale malessere che pervade l’Italia.

Dunque questi libri non indirizzano semplicemente alla scoperta di chi fosse il “guerrigliero” Canepa, ma alla “funzione” che questo “protagonista” della scena indipendentista ha avuto nel complesso contesto degli intrighi politici e militari di quel tempo oscuro, che ha visto – e forse vede ancora – la Sicilia al centro di interessi “estranei”, non esplorati volutamente o descritti in malo modo da quanti hanno voluto “celare” una realtà storica sicuramente scomoda.

E’ vero: il tema è l’indipendentismo, ma a chi attribuire quella spinta secessionista che comunque trovò ampio spazio nella collettività siciliana? Fu spinta spontanea, oppure manipolazione che traeva spunto e vigore dalle necessità di una popolazione sottomessa e affamata prima dal fascismo e dopo dagli stessi “liberatori”? Chi ideò e mise in moto il meccanismo che portò alla creazione di un Movimento che raccolse spontaneamente oltre cinquecentomila aderenti e che scosse a tal punto le (ri)nascenti istituzioni da mettere a serio rischio l’unità d’Italia? L’eliminazione di Antonio Canepa – che nessuno ha cercato di spiegare come ha fatto Barbagallo in tanti decenni dei cosiddetti “approfondimenti” – è stato ed è un mistero che le competenti Autorità avrebbero potuto chiarire. Ma non lo hanno fatto. L’eliminazione fisica di questo personaggio praticamente mise fine all’indipendentismo siciliano: quanto seguì, sino alla fine del “bandito” Salvatore Giuliano, è tutt’altra storia, se pur deriva dalla precedente.

Se un “merito” è da attribuire a Barbagallo è quello d’aver tenuta desta l’attenzione sul “caso Sicilia” attraverso la ricostruzione di un mosaico al centro del quale non è la figura di Antonio Canepa, ma la Sicilia e l’Italia dove Canepa operava. Un mosaico al quale mancano molti, troppi pezzi, difficili da trovare in quanto tenuti ben secretati, difficili da rintracciare perché dagli archivi “ufficiali” emerge poco o nulla.

L’indipendentismo siciliano viene tirato fuori-puntualmente e periodicamente – ovviamente strumentalmente – ogni qual volta si presenta una crisi sul piano romano oppure proveniente oltre i confine nazionali, anche da Oltre Oceano. Una “minaccia” utile per le occasioni necessarie. Gli interessi sulla Sicilia c’erano, sono rimasti e si moltiplicano. La mafia resta un buon pretesto per coprire cose che hanno valenze superiori. Barbagallo può scrivere quanto vuole. I Siciliani sono sordi o acquiescenti: anziché l’indipendenza hanno ottenuto un’Autonomia Speciale, deputati e ministri al Governo nazionale e pure un Presidente della Repubblica a rappresentarli. Non hanno motivo di lamentarsi, i Siciliani. Perché, dunque, rinvangare il passato?

Nell’era della globalizzazione e della pandemia. l’indipendentismo “minoritario“ resta una visione per romantici… o per qualche isolato che vorrebbe “conoscere” da dove veniamo per essere sicuro dove andare.

Per chi può essere interessato:

Antonio Canepa

L’avventura di San Marino

Sul filo del rasoio

Sicilia o morte

MARE NOSTRUM EDIZIONI srl

Da richiedere alla Casa Editrice

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