Mannino, Cassazione: “Dopo due assoluzioni giusto ridurre margini impugnazione”

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Le sentenze di assoluzione di primo e secondo grado costituiscono di per sé “il fondamento dell’esistenza di un ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell’imputato” e rappresentano un fatto che “giustifica la riduzione dei margini di impugnazione della pubblica accusa”. Lo scrivono i giudici della sesta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso dicembre hanno confermato l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino, nello stralcio del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, dichiarando inammissibile il ricorso della Procura generale di Palermo contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva scagionato l’ex esponente democristiano dall’accusa di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Mannino era stato già assolto in primo grado nel novembre del 2015. “La sussistenza o meno della colpevolezza dell’imputato ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’, secondo quanto richiesto, ai fini della condanna – scrivono i supremi giudici – è la risultante di una valutazione e la previsione di un secondo grado di giurisdizione trova giustificazione proprio nell’opportunità di una verifica piena della correttezza delle valutazioni del giudice di primo grado, sicché il potere di impugnazione riconosciuto al pubblico ministero trova ragione nella necessità di verifica dei possibili errori compiuti dal primo giudice, che ha negato la responsabilità dell’imputato. Pertanto, poiché il secondo grado mira a raggiungere un giudizio di ‘certezza’ sulla colpevolezza dell’imputato – sottolinea la Cassazione – il conforme esito assolutorio dei giudizi di merito rafforza la presunzione di non colpevolezza e, attestando l’esistenza del ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato, giustifica la riduzione dei margini di impugnazione della pubblica accusa, limitati alla sola violazione di legge”.

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