Addio a Jacques Dumarçay, il salvatore dei templi di Angkor

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L’archeologo francese Jacques Dumarçay, l’artefice dei grandi restauri di Angkor, in Cambogia, fino al 1971, poco prima che i Khmer Rossi salissero al potere, e di nuovo nel 1991, è morto a Saint-Rémy-lès-Chevreuse, vicino a Parigi, all’età di 94 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dal quotidiano francese “Le Monde” a funerali avvenuti per volontà del defunto.

Con il suo eccezionale lavoro storico e archeologico, Dumarçay ha contribuito in maniera determinante alla salvaguardia dei templi di Angkor (IX-XV secolo) e all’iscrizione nel 1992 del sito archeologico più importante della Cambogia nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Dopo gli studi di arte, architettura e archeologia a Parigi, Jacques Dumarçay agli inizi degli anni ’50 prese parte alla prima missione archeologica in Afghanistan. Dal 1953 al 1964 mise le sue conoscenze in architettura a beneficio degli studi archeologici e partecipò agli scavi della delegazione archeologica francese in Afghanistan, nel sito di Mundigak, portando alla luce importanti reperti dell’età del bronzo. In seguito, in Pakistan, partecipò a diverse missioni alla scoperta della civiltà dell’Indo. Nel 1964 Philippe Stern (1895-1979), direttore del Museo Guimet di Parigi, lo inviò in Cambogia, a Siem Reap, punto di partenza per andare a visitare le rovine di Angkor, sede del regno Khmer tra il IX e il XV secolo. Ad Angkor divenne assistente di Bernard-Philippe Groslier nella conservazione dei monumenti. Entrato a far parte della Scuola francese dell’Estremo Oriente, ha ricostruito molti templi, tra cui il Bayon, costruito dal re Jayavarman VII (XII-XIII secolo), irto di 54 torri (ce ne sono ancora 37) scolpite ciascuna di quattro facce che guardano i punti cardinali.

Prima che i Khmer Rossi conquistassero Angkor, Jacques Dumarçay aveva avviato lo smantellamento, pietra dopo pietra, dell’enorme piramide di Baphuon, alta 35 metri: il più imponente dei templi di Angkor, un castello di sabbia rivestito di blocchi di arenaria scolpiti che evocano i grandi poemi epici indù, minacciava di crollare. Quasi 300.000 blocchi, tutti diversi, furono depositati nella foresta quando il cantiere chiuse nel 1971. I piani di smaltimento scomparvero durante la guerra civile, durata nel terrore più di vent’anni. Nel 1991 l’archeologo riprese il suo lavoro ad Angkor dove rimase altri 6 anni.

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