Enrico Mattei: l’anniversario (quasi) dimenticato

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Di Salvo Barbagallo

Nell’Italia prodiga di commemorazioni, quest’anno è passato (quasi) inosservato l’anniversario della fine di Enrico Mattei, il potente, controverso e discusso presidente dell’ENI che nella notte del 27 ottobre del 1962 concluse la sua esistenza terrena precipitando e schiantandosi con il suo velivolo nelle campagne di Bescapé, in provincia di Pavia a dodici chilometri di distanza dall’aeroporto di Milano-Linate.

Certo, si sta attraversando un momento difficile con la Pandemia che in Italia (e ovunque) continua a mietere vittime: comprensibile (?) che i mass media dedicano lo spazio principale (se non totale) al diffondersi del Coronavirus, a trovare “alibi” per le proteste di piazza che possano in qualche modo giustificare l’operato del Governo, anziché riportare alla memoria episodi significativi nella storia del Paese. Provate a chiedere a un giovane di oggi se il nome di Enrico Mattei gli dica qualcosa?

L’ultima pagina sul “caso Mattei” è stata scritta a Catania, la città dove il “caso” era nato nel lontano ottobre del 1962. A firmare la definitiva sepoltura della vicenda è stato il 10 luglio del 2016 il presidente dei Gip del capoluogo metropolitano etneo Nunzio Sarpietro, lo stesso magistrato che attualmente si occupa del “caso Salvini”. In quella circostanza l’inchiesta avviata a Catania avrebbe riguardato alcune registrazioni effettuate a carico del boss Totò Riina, dalle quali sarebbe emerso che quel delitto sarebbe stato organizzato da esponenti della mafia catanese di allora, che avevano ricevuto l’ordine dalla mafia palermitana, per fare una cortesia alle organizzazioni mafiose americane (…). Una ricostruzione “de relato” quindi, che a distanza di tempo e dopo varie e ulteriori verifiche, non ha però avuto conferme e riscontri ulteriori (…).

Nel corso degli anni “La Voce dell’Isola” ha proposto la vicenda oscura della fine di Mattei per non dimenticare un periodo oscuro della storia d’Italia. Ora la riproponiamo in occasione di questo “anniversario” (quasi) ignorato. A distanza di decenni il “Caso Mattei” potrebbe apparire come un thriller che non lascia risposte, se non alla immaginazione di chi vorrebbe ritenere risolto il “mistero” della fine del presidente dell’Eni, circondata da tante morti o scomparse di personaggi (come quella del giornalista Mauro De Mauro, che di Mattei si stava occupando) che non hanno avuto spiegazioni. A riattivare l’attenzione, a nostro avviso, basterebbe riflettere su quanto sta accadendo ancora oggi nelle terre del petrolio (dalla Libia, all’Egitto, alla Tunisia, alla Turchia, eccetera), e notare come alla base (elemento, però, che non appare e non si fa apparire, se non per le ripercussioni che hanno le rivolte sul mercato internazionale) ci stia sempre “l’oro nero”. Quello stesso “oro nero” che le grandi Compagnie petrolifere internazionali hanno cercato in Sicilia e nelle acque dell’Isola, delle cui ricerche si conosce ben poco. Quello stesso “oro nero” che aveva improntato la vita di Enrico Mattei e di quanti, ancora oggi, vogliono arricchirsi sfruttando le risorse altrui. Riuscire a scoprire i meccanismi dell’attentato al presidente dell’Eni, significherebbe scoprire esecutori e mandanti. Ma appare chiaro che gli interessi che hanno coperto quel tragico “incidente” di Bescapè sono enormi, tanti da lasciare la questione nell’oblio dei libri che possono essere pubblicati.

L’aeroporto di Catania Fontanarossa, ex “Filippo Eredia”, è stato al centro di fatti misteriosi in più circostanze, l’episodio più inquietante quello che riguarda, appunto, la fine del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. È da Catania, infatti, che decolla l’aereo con a bordo l’uomo politico e “imprenditore” dello Stato più discusso e più temuto del dopoguerra.

Bascapè, in provincia di Pavia, a dodici chilometri dall’aeroporto di Milano-Linate, 27 ottobre 1962: è sabato e nella pianura cade insistente la pioggia. Poco prima delle ore 19 un contadino (Mario Ronchi, 41 anni) cena all’interno del suo cascinale di Londriano quando sente un “rumore fortissimo”. Si affaccia a guardare fuori: «Ci sono rimasto con una paura tremenda. Il cielo era rosso e bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’intorno. Sulle prime ho pensato ad un incendio, poi ho capito che doveva trattarsi di un aeroplano. Si era incendiato e i pezzi stavano cadendo sui prati, sotto l’acqua…».

Ciò che aveva visto il contadino è stata la conseguenza di una esplosione, quella di un aereo: il “Morane Saulnier”, sigla “I Snap”dell’Eni con a bordo il presidente dell’ente Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William Mac Hale, capo della redazione romana di “Time”e “Life”.

Il velivolo, un bireattore executive, era esploso in volo a pochi chilometri dall’aeroporto di Linate, dove doveva atterrare. L’aereo di Mattei era precipitato a pezzi in un campo dietro un filare di pioppi, a pochi metri da una roggia, scavando una buca enorme dove a malapena si intravedeva uno spezzone di coda del velivolo. Intorno, i rottami sparsi in mille pezzi, frammisti a brandelli di carne, per un raggio di trecento metri.

Il velivolo della flotta privata dell’Eni era decollato dall’aeroporto di Catania Fontanarossa, diretto a Milano, alle 16,57. Mattei aveva trascorso l’ultima mattinata della sua vita a Gagliano Castelferrato, fra festeggiamenti, discorsi e molte speranze: a poca distanza dal paese era stato trovato il metano e con il metano erano nate le polemiche e le speculazioni. II paese era in agitazione, così come gli ambienti qualificati dell’Isola. Mattei, quel giorno, si è recato appositamente a Gagliano perché vuole calmare le acque, vuol tranquillizzare la piccola comunità. Questo è quanto hanno sostenuto “dopo”le fonti ufficiali sull’improvviso viaggio del presidente dell’Eni in Sicilia, ma, probabilmente – e le ipotesi sono svariate – i reali motivi consistevano in una serie di incontri con personaggi isolani e forse stranieri.

Mattei, quel 27 ottobre del 1962, tiene un discorso dal balcone del Circolo degli Operai, che dà sulla piazza principale del paese. Parla, in quella circostanza, anche il presidente della Regione, D’Angelo, e le sue parole assumono il tono della profezia: «Mattei – dice – porta un carico sulle spalle di tanta responsabilità, di tanto impegno, che non gli consente mai di dormire sonni tranquilli. Questo è un uomo che ha mezzo mondo contro di sé, e deve stare molto attento. Noi possiamo sbagliare e rimediare. Lui se sbaglia una volta è perduto per sempre».

Mattei era stato in Sicilia alcuni giorni prima, e quel viaggio appare, nelle sue connotazioni, ben strano per un uomo occupato in affari internazionali che richiedevano sempre la sua presenza fisica.

Perché avrebbero dovuto uccidere Mattei, e chi era quest’uomo che era diventato un pericolo per le “grandi Compagnie petrolifere internazionali”?

Numerose le pubblicazioni e gli articoli su quotidiani e riviste, nazionali ed esteri, hanno cercato di dare risposte a questi due – apparentemente semplici – interrogativi, ma senza pervenire a spiegazioni definitive. Quel che sembra assodato, e pur tuttavia mai provato, è che la preparazione dell’attentato a Enrico Mattei (il sabotaggio, cioè, dell’aereo), avvenne mentre il “Morane Saulnier”era posteggiato in un’area prospiciente l’allora piccola aerostazione di Fontanarossa.

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