Proteste e rabbia sottovalutate in una ripresa incerta

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di Salvo Barbagallo

Il quotidiano “Il Giorno” oggi titola in prima pagina “Tre giugno, festa della liberazione”. Un titolo significativo per la Lombardia: infatti “da oggi cadono i confini imposti dalle misure per circoscrivere i danni della pandemia. Metà degli italiani “pronti a partire”. La Lombardia (e non solo questa regione) cerca di mettersi alle spalle i tristi e terribili mesi del Coronavirus che solo in questo territorio ha provocato oltre 16mila vittime, e riprendere una vita che, comunque, dovrà reinventarsi la normalità del quotidiano.

Cadono i “confini” imposti da una necessaria quarantena per fronteggiare il diffondersi del mortale morbo, si può viaggiare da una capo all’altro dell’Italia, permangono alcune restrizioni, quali l’uso delle mascherine in determinate aree, il divieto di assembramento e la distanza interpersonale. Scompare l’autocertificazione. Dunque è “festa della liberazione”, ma i controlli permangono in quanto il pericoloso virus non è scomparso, i contagiati ci sono ancora (anche se in netto calo), i morti pure (anche se, fortunatamente, in numero decrescente). Insomma, la parola “fine” alla pandemia non si può mettere, registrando pure quanto si continua a verificare nel resto del pianeta.

L’Italia ha estremo bisogno di rialzarsi e in fretta, dopo la pesante batosta che ha messo in ginocchio la sua economia: è una condizione di “ripresa” irta di difficoltà poiché gli indirizzi e le “assistenze promesse” che provengono dal Governo si muovono fra aperte e visibili contraddizioni che questa Estate mitigheranno per la gran voglia che le collettività hanno di uscire dalla fase oscura che si vorrebbe considerare già superata.

Vogliamo ripetere ciò che abbiamo scritto nei giorni scorsi: In Italia il passaggio dalla cosiddetta “Fase 1” alla “Fase 2” sta mettendo in luce le contraddizioni scaturite da una controversa gestione governativa dell’emergenza, e sta contemporaneamente evidenziando gli atavici contrasti esistenti fra le regioni che compongono il nostri Paese. In poche parole, stanno venendo a galla le debolezze che l’Italia ha sempre posseduto in merito alla sua Unità che in molti, da oltre cento anni, hanno percepito come “imposizione” e non come vera espressione di “condivisione” di ideali (…) In questo scenario di certo non rassicurante, permangono i timori e le paure per la “ripresa feroce” dei contagi, già “annunciata” da scienziati ed esperti (…).

Ebbene, quanto accaduto ieri a Roma e in altre città– a nostro avviso – ha dimostrato la fondatezza dell’opinione espressa. Troppi fermenti stanno scuotendo il Paese: la rabbia della gente si tramuta in protesta, ed etichettare in un modo o in un altro questa “rabbia” non cambia lo stato delle cose. Alla vigilia del 2 Giugno si è lanciato l’allarme destra riferito alle preannunciate mobilitazioni di piazza di Salvini, Meloni & company, e oggi si grida alla profanazione della Festa della Repubblica per quelle e altre manifestazioni che hanno visto ampia partecipazione di popolazione. Quasi un voler cancellare di colpo gli stessi valori di questa Repubblica che dà costituzionalmente ai cittadini il diritto di far sentire la propria voce. Come affermare “aprioristicamente”: si deve stare solo da una parte e chi la pensa diversamente è il nemico.

Ecco perché c’è il ragionevole dubbio che ci sia una volontà ignota che tende ad alimentare le conflittualità, anche se in questo momento non si comprende quale possa essere la finalità.

Il malessere scaturito dai lunghi mesi delle restrizioni governative per evitare i contagi pandemici non è soltanto psicologico: è una condizione concreta, aggravata proprio dalla crisi che ha colpito interi settori della vita economica del Paese. Etichettare e bollare le proteste e la diffusa rabbia della gente, senza comprenderne le vere e reali “ragioni”.  appesantisce la situazione, non la risolve. Le simboliche (belle e ammirate) strisce colorate lasciate nei cieli dei capoluoghi regionali dalla pattuglia delle “Frecce Tricolori” non bastano a unire il Paese, a rendere un tutt’uno l’Italia. Senza togliere alcun merito, non è sufficiente la tardiva visita del Capo dello Stato a Codogno per mostrare la solidarietà a una collettività massacrata dal Coronavirus là dove ancora non si dà spiegazione tangibile sul come si è potuto verificare il disastro e si preferisce aggiungere polemiche alle polemiche.

Rabbia e proteste non nascono soltanto dalla crisi, ma si ingigantiscono per la mancata soluzione di problemi noti che affliggono l’Italia da tempo: problemi quali la corruzione che investe comparti pubblici, la Giustizia e la Magistratura continuamente sconvolte dagli scandali, la frattura tra Nord e Sud nelle diversità di sviluppo, la massiccia immissione dei migranti sul territorio, l’incontrollata criminalità straniera, eccetera, eccetera.

È necessario comprendere le ragioni della rabbia e delle proteste dei cittadini che rischiano di sconvolgere ulteriormente l’Italia, e dopo averle comprese trovare nei tempi brevi le soluzioni. Questo è il dovere, o dovrebbe essere il dovere di un Governo che voglia lavorare per superare gli attuali ostacoli con l’obbiettivo di raggiungere un benessere e un equilibrio collettivo e non di parte.

Probabilmente i mesi estivi, che in molti aspirano trascorrere serenamente, attenueranno i toni delle contrapposizioni, ma lo scenario che si presenterà in Autunno non si preannuncia con i cieli azzurri solcati dalle strisce tricolori.

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