Festa della “Liberazione” all’ombra del Coronaterror

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di Salvo Barbagallo

 

Opposte parti politiche quando c’è l’occasione utile si rinfacciano di “alimentare l’odio”: nell’attimo stesso in cui si attribuisce questa responsabilità a questo o a quello l’odio già scorre. L’odio scorre così tanto in piena libertà che tutti dovremo chiederci il “perché” e se l’alimentarlo, alla fine, fa comodo. A pochi? A molti? Non lo sappiamo, ma il dubbio resta. In un periodo in cui la pandemia continua a mietere vittime dovrebbero affiorare sentimenti positivi e invece si va a sbattere costantemente nei consueti e noti “luoghi comuni” che scaturiscono da palesi strumentalizzazioni ammantate da (pseudo?) colori politici. Il “fascino” delle ricorrenze che possono tornare utili continua fare presa anche in momenti in cui, al contrario, si dovrebbero mettere in luce i sacrifici attuali, i sacrifici di coloro che per la collettività hanno dato e stanno spendendo la loro vita: medici, infermieri, appartenenti alle forze dell’ordine, quanti sono stati e sono in prima linea nella guerra al Coronavirus.

Giusto non dimenticare quanti hanno combattuto e dato la loro vita per un’Italia “nuova” e “democratica”, ma paradossalmente (e i numeri, purtroppo, lo confermano) sono quegli “anziani” che quella guerra hanno combattuto che in questa guerra sono morti e stanno morendo. Festeggiare oggi ci sembra non solo inopportuno ma scandaloso, e quel volerci ripetere (per rassicurarci?) “tutto andrà bene” lo riteniamo altrettanto inopportuno in quanto ci appare oltraggioso per le migliaia di esseri umani già stroncati dal terribile morbo.

È vero, si dimentica con troppa facilità e bisogna ricordare, e noi vogliamo ricordare, allora, per non andare lontano nei decenni, anche coloro che sono stati assassinati in tempi vicini dai jihadisti. E sì, abbiamo dimenticato il terrorismo jihadista, abbiamo dimenticato i pericoli che abbiamo corso e quelli che ci sono ancora dietro l’angolo. Noi intendiamo guardare avanti con uno spirito che metta da parte odio e rancore che hanno portato – da una parte e dall’altra – brutalità che una mente sana non riesce a immaginare.

In una “quarantena” imposta dalla grave condizione provocata dal Coronavirus mettere sul piatto “la Festa” ci sembra sconcio. Chi non vuol dimenticare non ha bisogno di “feste”: Non dimentica.

A fronte di un futuro incerto occorrono azioni esemplari, non certo aprire agli ergastolani le carceri e lasciare campo libero a chicchessia in nome di (false) solidarietà. O in nome, soprattutto, dell’intera collettività nazionale che è tornata ad “obbedire” per il bene comune. Forse il Coronavirus ha distrutto anche il buon senso.

La nostra opinione sull’anniversario “25 aprile” l’abbiamo espressa ad ogni ricorrenza su questo giornale. E per non “dimenticare” riportiamo (in parte) ciò che abbiamo scritto negli anni precedenti…


Festa della “Liberazione” all’ombra del terrorismo jihadista

25 Aprile 2019

 

di Salvo Barbagallo

L’Italia “vecchia” continua a vivere di odio, rancori e reminiscenze che l’Italia “giovane” sconosce e che “rivive” quasi esclusivamente attraverso “memorie” di parte. Troppo lontani i tempi in cui tragiche vicende hanno inflitto ferite profonde che, ancora oggi, non si sono rimarginate. È vero, è giusto: non bisogna dimenticare.

Ma cosa hanno a che vedere con la storia del nostro Paese i fuggitivi che giungono sui barconi “via Sicilia” e che sfilano sotto gli stendardi dell’ANPI o che “militano” nelle fila delle compagine politiche di “sinistra”? Già si sono (volutamente) dimenticate le centinaia di vittime cristiane del terrorismo jihadista in Sri Lanka, bisogna preoccuparsi se si pronuncia in maniera “inopportuna” il termine Islam.

L’Italia, a conti fatti, è il Paese delle “ricorrenze” e delle “Feste”, ma non crediamo che “tutto” il Paese la pensi nello stesso modo.


25 Aprile: è Festa di Liberazione anche per i Siciliani?

21 Aprile 2018

 

Le “opinioni” non fanno “storia”, i “fatti” non sempre sono riportati così come sono accaduti realmente.

Oggi riproponiamo alcuni articoli scritti nel corso del tempo su La Voce dell’Isola, per dire che da un anno all’altro i “fatti” restano e, a volte ma non per tutti, anche le opinioni. Sicilia “liberata” nel 1943 dalle truppe angloamericane, nel 1946 Sicilia “Autonoma”, e su questa “Autonomia Speciale” vale la pena ricordare l’opinione di Indro Montanelli: “(…) Liberato dall’incubo di un rinvio del referendum, il governo rimase tuttavia con quello dell’ordine pubblico. L’assillo di evitare l’incidente grave, e forse fatale, poneva in sottordine ogni altra considerazione. E questo fece sì che venissero approvate con noncuranza, e con negligenza, misure delle quali il Paese subisce tuttora le conseguenze. Venne ad esempio varato in fretta un progetto – mandato ai Ministri della Consulta siciliana – che concedeva alla Sicilia una autonomia inconcepibilmente ampia, ritagliata sulle esigenze, le ambizioni, gli appetiti di una classe politica locale avida, spensierata e prodiga, non certo nell’interesse del Paese. (…).

In che cosa aveva ragione, o sbagliava Indro Montanelli?


25 Aprile: una “Festa” che continua ad alimentare l’odio fra Fratelli

25 Aprile 2017

 

L’Italia è un Paese “ipocrita”? Oppure è la maggioranza degli Italiani a essere “ipocrita”? Potremmo essere in errore (forse lo siamo, sicuramente), ma né l’Italia né la maggior parte degli Italiani sono “ipocriti”, c’è solo una sparuta schiera di entità umane, che magari detengono molto “potere”, che non solo è da classificare “ipocrita”, ma da classificare tout court “falsa”. È quella schiera che continua ad alimentare l’odio fra Fratelli, e le “ricorrenze” costituiscono costantemente l’occasione migliore. È il caso della “Festa del 25 Aprile”, la “Festa della Liberazione”. Ma chiedete ad un adolescente d’oggi, a un giovane cosa rappresenti quella “data”: probabilmente non vi sapranno rispondere. Giusto, giustissimo conservare la “memoria” di una giornata che ha cambiato il corso della storia in Italia, ma i fatti che l’hanno preceduta andrebbero raccontati senza lati oscuri, come normalmente e da 72 anni a questa parte si fa.

Oggi, Anno Domini 2017, quando la solita schiera parla di “solidarietà” per i migranti, e parla di integrazione dei profughi nel tessuto della società italiana, ebbene la solita schiera di entità umane alimenta un odio fra Fratelli che non ha più ragione d’essere, dopo tutti i possibili ”cambiamenti” che si sono avuti in Italia.

 


L’eredità della Liberazione in Sicilia

25 Aprile 2016

di Salvo Barbagallo

Oggi in Italia si festeggia l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo: un ricordo di una giornata importante per il Paese, quello di una svolta decisiva da un passato controverso. Come ci tramandano cronache e libri di storia, oggi 25 Aprile “È un giorno fondamentale per la storia d’Italia ed assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista”. Purtroppo, ma ovviamente, nessuno (o forse pochi) vogliono riportare alla memoria ciò che accadeva in Sicilia in quel lontano periodo: mentre a Milano i partigiani travolgevano le ultime forze nazifasciste, in Sicilia i militari italiani invece combattevano e cercavano di incarcerare quanti si battevano per l’indipendenza dell’Isola. Una pagina scomoda dell’Italia da ricordare proprio il 25 Aprile: noi lo facciamo per ricordare cosa ha lasciato, a distanza di 71 anni, quel 25 Aprile del 1945.

I moti popolari per l’Indipendenza della Sicilia si risolsero con la forzata concessione (quale compromesso) dello Statuto Speciale Autonomistico, parte propedeutica e integrante della Costituzione Italiana: uno Statuto che chi ha governato l’Isola non ha mai voluto applicare, con tutto ciò che inevitabilmente ne è derivato sul piano economico, sociale e di sviluppo mancato del territorio. Ma non è solo questa l’eredità del 25 Aprile 1945.

Gli scellerati Trattati bilaterali Italia/USA (che hanno violato le norme del Trattato Internazionale di Pace sottoscritto a Parigi nel 1947) hanno trasformato la Sicilia in una roccaforte bellica statunitense, nella pratica concreta in una “zona occupata militarmente”: questo è il retaggio più pesante di quella svolta liberatrice del Paese. Una questione delicata che va avanti dagli Anni Cinquanta, in progressione sempre più allarmante: da Sigonella ad Augusta, da Porto Palo a Niscemi (e in altri spezzoni di terra isolana) sono fiorite basi militari statunitensi autonome non solo autorizzate dal Governo nazionale, ma con il beneplacito del Governo regionale.

Così in residenza stabile a Sigonella ci stanno i micidiali droni Predator e Global Hakws, a Niscemi il temibile impianto satellitare MUOS, ad Augusta i sottomarini nucleari e, quà e là, depositi di armi. Il “caso MUOS” è emblematico: passato attraverso contestazioni giudiziarie è ormai (ufficialmente?) in funzione: si è parlato esclusivamente di danno ambientale, ma ben poco (molto poco) si conosce delle sue effettive prestazioni. Si parla delle tempeste di onde elettromagnetiche che sprigiona l’impianto e degli effetti negativi che può provocare sulla popolazione. Non si parla del reale uso bellico del MUOS. In verità non si parla proprio di tutti gli apparati bellici “made in USA” in servizio operativo in Sicilia. Questioni che non tratta neanche il Capo dello Stato, il Siciliano Sergio Mattarella che, quantomeno, dovrebbe essere a conoscenza di ciò che accade quotidianamente nella sua Terra natia.

È paradossale discutere di questi argomenti nel giorno della Festa della Liberazione? La Sicilia ha contribuito in maniera notevole alla lotta al nazifascismo, ma questo aspetto raramente viene considerato e valutato nella sua giusta dimensione. Alla fine, inevitabile chiedersi: da Cosa è stata Liberata la Sicilia? E quale Eredità ha lasciato alla Sicilia la Liberazione del Paese Italia?


L’Italia rimasta “inconciliata”

18 Aprile 2015

di Salvo Barbagallo

 

Fra pochi giorni si celebra la Festa del “25 Aprile”, Anniversario della Liberazione d’Italia che, come celebrano libri e memorie storiche “È un giorno fondamentale che assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista”. Una Festa istituita nel 1946 su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e del Principe Umberto, allora Luogotenente del Regno d’Italia, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 185 del 22 aprile.

In quel fatidico giorno di settanta anni addietro non c’erano Laura Boldrini, o Matteo Renzi: non erano ancora nati. Loro non costituiscono “memoria storica”, né possono considerarsi eredi di una lotta di liberazione dal dominio nazifascista soltanto perché oggi appartengono a un partito che si richiama alla Sinistra. Una “Sinistra”, fra l’altro, che non c’è più e che da tanto tempo ha dimenticato i Togliatti o i Berlinguer. Ma la Resistenza non fu soltanto di colore “rosso”, cioè comunista: vi presero parte in tanti, cattolici, liberali, socialisti, meridionali e settentrionali, che avevano un comune obbiettivo, cacciare i tedeschi fuori dal territorio italiano e sconfiggere il fascismo. E quello fu un obbiettivo di tanti italiani e non può avere una data codificata (così come è), perché la lotta armata al nazifascismo non ebbe inizio l’8 settembre, né ebbe inizio con le “quattro giornate di Napoli”, ma prima e in Sicilia, terra militarmente occupata dai tedeschi.

La storia “ufficiale” non riconosce (non vuole “conoscere”) ciò che è avvenuto in Sicilia dall’entrata in guerra dell’Italia: già allora gruppi di siciliani in molte circostanze misero in difficoltà quelli che consideravano il “nemico”, cioè i nazifascisti rappresentati dalle truppe di “occupazione” presenti nei principali gangli dell’isola. Si disconosce la figura di Antonio Canepa, del quale non c’è traccia esauriente negli archivi di Stato, e le azioni che portarono avanti contro le installazioni militari dal 1940 sino allo sbarco angloamericano del luglio del 1943. Si (ri) conosce, però, l’apporto che la stessa mafia dette all’Operazione Husky, facilitando la penetrazione dell’armata del generale Patton. Vogliamo dire che la mafia fece la “resistenza”? Una bestemmia! No, di certo. Vogliamo semplicemente dire che tante cose vengono volutamente ignorate, e non ci sembra giusto. Vengono ignorati gli episodi di resistenza di Pedara e Mascalucia, viene dimenticato che la prima strage nazista in Italia (16 morti accertate) avvenne a Castiglione di Sicilia il 12 agosto del 1943 quando ancora i tedeschi erano alleati dell’Italia e l’armistizio di Cassibile non era stato ancora stipulato. Soltanto il 16 settembre del 2002 venne “riconosciuta” la strage di Castiglione e la cittadina etnea venne insignita di una medaglia al valor civile conferita dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ma di certo non si parlò di “Resistenza” al nazifascismo. Si dimentica, forse non a caso, che dopo la “liberazione” da parte degli angloamericani, la Sicilia rimase “occupata” dagli americani sino alla fine della guerra. Si dimentica, infine, che migliaia furono i meridionali che militarono nelle formazioni partigiane sulle Alpi e sugli Appennini: soltanto lo storico piemontese Augusto Monti arrivò ad affermare che “le formazioni partigiane che, militarmente organizzate, agirono contro i tedeschi e i loro alleati, sui monti che fan ghirlanda alla pianura del Po  furono almeno per un quaranta per cento costituite di uomini del Sud “.

La memoria che si è voluta cancellare è uno dei motivi più concreti per i quali a tutt’oggi l’Italia resta un Paese “inconciliato”.


Meglio o peggio di 70 anni fa?

26 Aprile 2015

 

Meglio o peggio di 70 anni fa? Quando l’anonimo autore di “Bella ciao…” scrisse l’indimenticabile canzone si riferiva quasi sicuramente ai tedeschi che occupavano il patrio suol d’Italia. Quegli stessi tedeschi che, fino all’8 settembre del 1943, venivano considerati “alleati” dell’Italia ma, con le mutate condizioni politiche (nazionali e internazionali) diventati nemici da cacciare via. I nazi-tedeschi rimasero alleati dei fascisti, e quindi l’inevitabile lotta per spazzare via i nazifascisti e le dittature che rappresentavano. I nazifascisti (è storia) vennero sconfitti, in Italia il loro capo (1945) venne appeso a testa in giù legato per i piedi a un pennone di un distributore di benzina a piazzale Loreto a Milano. Anni dopo (e fino ad oggi) l’esperienza negativa dell’occupazione armata del nostro territorio da parte dei tedeschi si è ripetuta con i nuovi “alleati”, gli Stati Uniti d’America con la concessione di pezzi d’Italia dove possono operare in piena autonomia all’interno delle “loro” installazioni belliche. E se da Vicenza a Niscemi, qualcuno oggi (o domani) si “svegliasse” e “trovasse” (o scoprisse) un nuovo  “invasor” fino ad ora ritenuto “alleato” ma che, magari, non lo è tanto? La storia dovrebbe insegnare qualcosa ma, alla fine, non insegna nulla.

Noi crediamo fermamente nei valori della Resistenza: in Sicilia ce ne attribuiamo l’origine in tempi non sospetti. Quel che è accaduto in Sicilia, nonostante siano trascorsi 70 anni, non viene riconosciuto come “Resistenza” perché alla Resistenza è stata data la data d’inizio, l’8 settembre, e prima di quella data è come se non contasse nulla. Che non contassero nulla (o poco) neppure le stragi naziste.

A settant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale chi ha interesse a guardare indietro nel tempo? Nessuno, forse pochi ai quali potrebbe essere affibbiata l’etichetta di “nostalgici”. Ma di nostalgico non c’è proprio nulla, di verità nascoste tante, verità che nascoste rimarranno perché sicuramente scomode nonostante gli anni siano volati e nonostante che la maggior parte dei protagonisti d’allora siano passati a miglior vita

Ogni anno, nei mesi di luglio e agosto, in diversi paesi della Sicilia Orientale, in provincia di Catania, si commemorano le vittime delle prime stragi naziste in territorio nazionale nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Civili che persero la vita perché si erano rivoltati contro le truppe tedesche che si ritiravano verso il Continente dopo l’invasione dell’isola degli eserciti anglo-americani. Queste uccisioni vengono ricordate con lapidi affisse ai muri e anche nel corso di cerimonie locali, nei Consigli comunali, come è avvenuto recentemente a Mascalucia su iniziativa della sezione locale dell’ANPI che, da tempo, chiede che la Presidenza della Repubblica riconosca quanto accaduto in questo paese il 25 luglio del 1943 come il primo atto in Italia della Resistenza al nazifascismo. Qualcuno ha sottolineato che più di un “riconoscimento” vale la memoria di quei giorni e che il ricordo resti vivo. E’ così, perché a nostro avviso nulla potrà cambiare la storiografia consolidata per la quale il primo episodio di insurrezione popolare avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale è quello delle Quattro giornate di Napoli, 27-30 settembre 1943, quando i civili, con l’apporto di militari fedeli al Regno del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall’occupazione delle forze armate tedesche. C’è da chiedersi, poi, a cosa valgono i “riconoscimenti” quando volutamente si ignorano gli avvenimenti verificatisi in Sicilia in quegli anni tumultuosi che precedettero la fine del conflitto mondiale e, in seguito, la stessa nascita della Repubblica Italiana.

Vogliamo riprendere quanto scritto giorni addietro su questo giornale perché riteniamo che sia superfluo aggiungere altro:

Fra pochi giorni si celebra la Festa del “25 Aprile”, Anniversario della Liberazione d’Italia che, come celebrano libri e memorie storiche “È un giorno fondamentale che assume un particolare significato politico e militare, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista”. Una Festa istituita nel 1946 su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e del Principe Umberto, allora Luogotenente del Regno d’Italia, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 185 del 22 aprile.

In quel fatidico giorno di settanta anni addietro non c’erano Laura Boldrini, o Matteo Renzi: non erano ancora nati. Loro non costituiscono “memoria storica”, né possono considerarsi eredi di una lotta di liberazione dal dominio nazifascista soltanto perché oggi appartengono a un partito che si richiama alla Sinistra. Una “Sinistra”, fra l’altro, che non c’è più e che da tanto tempo ha dimenticato i Togliatti o i Berlinguer. Ma la Resistenza non fu soltanto di colore “rosso”, cioè comunista: vi presero parte in tanti, cattolici, liberali, socialisti, meridionali e settentrionali, che avevano un comune obbiettivo, cacciare i tedeschi fuori dal territorio italiano e sconfiggere il fascismo. E quello fu un obbiettivo di tanti italiani e non può avere una data codificata (così come è), perché la lotta armata al nazifascismo non ebbe inizio l’8 settembre, né ebbe inizio con le “quattro giornate di Napoli”, ma prima e in Sicilia, terra militarmente occupata dai tedeschi.

La storia “ufficiale” non riconosce (non vuole “conoscere”) ciò che è avvenuto in Sicilia dall’entrata in guerra dell’Italia: già allora gruppi di siciliani in molte circostanze misero in difficoltà quelli che consideravano il “nemico”, cioè i nazifascisti rappresentati dalle truppe di “occupazione” presenti nei principali gangli dell’isola. Si disconosce la figura di Antonio Canepa, del quale non c’è traccia esauriente negli archivi di Stato, e le azioni che portarono avanti contro le installazioni militari dal 1940 sino allo sbarco angloamericano del luglio del 1943. Si (ri) conosce, però, l’apporto che la stessa mafia dette all’Operazione Husky, facilitando la penetrazione dell’armata del generale Patton. Vogliamo dire che la mafia fece la “resistenza”? Una bestemmia! No, di certo. Vogliamo semplicemente dire che tante cose vengono volutamente ignorate, e non ci sembra giusto. Vengono ignorati gli episodi di resistenza di Pedara e Mascalucia, viene dimenticato che la prima strage nazista in Italia (16 morti accertate) avvenne a Castiglione di Sicilia il 12 agosto del 1943 quando ancora i tedeschi erano alleati dell’Italia e l’armistizio di Cassibile non era stato ancora stipulato. Soltanto il 16 settembre del 2002 venne “riconosciuta” la strage di Castiglione e la cittadina etnea venne insignita di una medaglia al valor civile conferita dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ma di certo non si parlò di “Resistenza” al nazifascismo. Si dimentica, forse non a caso, che dopo la “liberazione” da parte degli angloamericani, la Sicilia rimase “occupata” dagli americani sino alla fine della guerra. Si dimentica, infine, che migliaia furono i meridionali che militarono nelle formazioni partigiane sulle Alpi e sugli Appennini: soltanto lo storico piemontese Augusto Monti arrivò ad affermare che “le formazioni partigiane che, militarmente organizzate, agirono contro i tedeschi e i loro alleati, sui monti che fan ghirlanda alla pianura del Po  furono almeno per un quaranta per cento costituite di uomini del Sud “.

La memoria che si è voluta cancellare è uno dei motivi più concreti per i quali a tutt’oggi l’Italia resta un Paese “inconciliato”.

Questo scrivevamo giorni addietro, prima della celebrazione di ieri, 25 aprile 2015 Festa della Liberazione, per chiederci (e chiedere) se da quel 25 aprile 1945 le cose in Italia siano migliorate, se gli italiani (o per meglio dire, chi li ha rappresentati) siano riusciti ad applicare veramente quella “democrazia” da milioni e milioni di persone auspicata dopo avere combattuto (e vinta) la dittatura, oppure se l’Italia è ancora adesso alla ricerca della sua strada per raggiungere (o conquistare) una vera democrazia, senza bisogno di chi la tenga per mano.

Per dirla in termini crudi: non vorremmo svegliarci una mattina e “trovar l’invasor…” da Niscemi a Sigonella, a Vicenza e altrove in Italia.

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