La via d’uscita di Miette Mineo

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L’incipit delle due filastrocche in lingua siciliana dedicate a santa Rosolia e a sant’Agata nel bel romanzo di Miette Mineo <La via d’uscita> (edizione A. e G. Cuecm) sono molto significative nel capire lo sviluppo delle varie tematiche del libro. L’autrice, a parer nostro, con questo inizio così soave e poetico ci ha introdotto in un ambiente – quello nobiliare – che a poco a poco si è lentamente trasformato in varie occasioni di pensiero e di riflessione. La narrazione nasce con l’intento di mettere in luce non solo una delle piaghe più dolorose della società del Seicento, Settecento e Ottocento, ma anche è una chiara accusa a tutto ciò del passato è rimasto nella società moderna per la sua intensità e la coerenza dell’azione drammatica, per la qualità dell’elaborazione artistica in cui la vicenda è filtrata attraverso la sensibilità vibrante ed acuta della protagonista.  Già nelle prime  pagine è significativo:”…Assunta s’era dovuta piegare alla volontà paterna e appena compiuti i diciotto anni, aveva sposato Orazio Trigona…”;  poi si mettono in evidenza gli interessi di padre Bernardo “… quando queste si intrecciavano con gli affari della Curia…” ed infine nella descrizione della meravigliosa cena offerta da don Eugenio “…timballo di riso croccante…vassoi pieni di uccelletti ripieni e cotti alla brace…pollame vario…mustaccioli, biscotti e cimballine.” L’ambientazione è perfetta. Ci sono parole significative che vengono esaminate a strati, mai direttamente, bensì vengono usate in un certo contesto  che le colorisce in maniera particolare: esse hanno un preciso significato narrativo  che dà valore ad un certa scena la quale è descritta con termini di evidente  valore realistico. I piccoli avvenimenti si susseguono: la nudità di Agnese, la cacciata di Concetta, il ritorno al monastero, la conoscenza di Adele Chiaramonte, la festa dell’Immacolata, il freddo che costringe Agnese ed Adele insieme nel letto: l’integrazione di questi piccoli fatti offrono un’azione comunicativa della scrittrice in un approccio pragma-dialettico come modello analitico per investigare le discussioni argomentative tra i vari personaggi, in quanto fornisce criteri specifici per identificare e selezionare il tipo di dialoghi  che successivamente si proporranno al lettore. Una dinamica che meriterebbe  di essere approfondita per i processi psicologici – anche se appena accennati – dei protagonisti, che nel corso del romanzo sono stati in grado di attivarsi, seguendo un filo rosso sottile in grado di spiegare il ruolo, la funzione e le conseguenze della monacazione forzata. Ciò indica una tesi finale in cui un certo segno è ben chiaro: “… forse una novità c’era: appena un barlume di speranza in quell’oceano di disperazione…”.  E le parole del padre di Agnese rivolte a suor Angela sono chiusi nei limiti più volte detti sono lo specchio del riconoscere la necessità e la sensatezza dell’inganno, unico presupposto per la salvezza del casato. Insomma, a parer nostro, tutto trova la ragione del suo essere in una guida  spirituale (sic!)  che ” potesse sorvegliare e indirizzare la volontà della ragazza“.  Tutto questo, poi, dopo la monacazione forzata  (diventando suor Maddalena) esplode in “…una morsa di gelosia irrefrenabile…impedendole perfino di respirare…”. Il dramma è compiuto. Manzoni e Verga che si sono occupati di questo tema si sono chiesti se non si possano presentare queste tematiche  in forma di un singolo destino molto discusso nei secoli scorsi, quando si sa che l’occuparsi della storia non è altro che il tentativo di capire il passato e cercare – come è avvenuti poi – di “superarlo”.  Ma per Manzoni la via d’uscita è la perdizione: Gertrude ha una relazione con Egisto, compie sacrilegio con l’aborto, ed infine diventa anche assassina; per Verga la dolcissima Maria, innamorata di Nino, diventa pazza e sola, dimenticata da tutta in una cella sperduta. Ma Agnese è diversa: è in grado di poter chiedere i propri diritti con la Legge, è capace di ritornare a casa per vedere per l’ultima volta il padre, ed infine con la sua autorevolezza di chi ha sofferto, ma ha lottato strenuamente per la propria affermazione di donna del suo tempo (siamo nel 1764…), ” era libera, sciolta da ogni legame con il passato, con una vita tutta da costruire…”

Recensione di Salvo Pappalardo

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