Libia sempre più nel caos mentre nessuno ferma nessuno

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di Luigi Asero

 

Sempre più caotica la situazione in Libia dopo l’improvvisa, ma neanche troppo, escalation dei ribelli facenti capo al generale Khalifa Haftar. Le sue truppe avanzano spedite verso Tripoli mentre raid, ritiri e appelli della comunità internazionale non sortiscono effetti di sorta. L’offensiva conta da giovedì almeno 35 morti e parecchi feriti mentre gli USA ritirano le truppe e svuotano del personale l’ambasciata. Lo scenario che secondo alcuni cambia di ora in ora in effetti si fa sempre più cupo. C’era da aspettarselo e proprio questo giornale non ha mai dimenticato la Libia, come troppi altri hanno fatto. E non l’ha mai dimenticata proprio perché non si intravedeva mai vera stabilità. Il governo di Fayez Al-Serraj riconosciuto dall’Onu e dalla Ue non è infatti mai stato realmente gradito alle decine di tribù che lo hanno sempre visto come un nemico. Infatti hanno in qualche maniera, nel tempo, dato legittimazione al governo di Tobruk proprio del generale Haftar, un governo che gode dell’appoggio del vicino Egitto come della Russia, e che recentemente ha avviato dialoghi anche con la Francia. Ci riprova adesso Haftar, dopo l’operazione “dignità” lanciata nel maggio del 2014. Un’operazione che fu lanciata contro le milizie “terroristiche” islamiche.

Haftar proveniente dalla Cirenaica si autoproclamò comandante dell’LNA (Esercito Nazionale Libico). Nel suo passato le tribù libiche ricordano certamente l’aiuto che diede a Muammar Gheddafi nell’ascesa al potere del 1969 anche se poi fu da questi sconfessato. A causa della sua lealtà che potremmo definire “ballerina”. E infatti oggi è contemporaneamente “leale” a Russia, Egitto, Francia e chissà chi e quanti altri. Però, nel suo passato, c’è il periodo in cui visse negli USA, in Virginia, da dove qualcuno sostiene avrebbe collaborato con la  CIA. E il quadro si complicherebbe ulteriormente.

Fayez Al-Serraj si dice sicuro che Haftar non passerà e a difesa di Tripoli e del suo governo lancia l’operazione “vulcano di rabbia”. Ma perché Haftar avrebbe lanciato l’offensiva proprio adesso, quando fra pochi giorni dovrebbe tenersi (e tutto va al condizionale nell’attuale situazione) la Conferenza di pace a Ghadames  (dal 14 al 16 aprile)? Forse perché in questa pacificazione non crede più. O, meglio, perché la pacificazione proprio non gli interessa, perché magari teme di uscirne con una sorta di “depotenziamento” di quel potere che -bene o male- rappresenta. E questa ipotesi magari non interessa a quanti lo sostengono. O ancora perché vuol rafforzare la sua posizione proprio in vista dell’impegno internazionale mettendo in tensione gli altri leader che vi parteciperebbero.

Intanto le sue milizie hanno bombardato l’aeroporto di Mitiga, unico scalo operativo a Tripoli.

Intanto, a quanti ritengono inaspettata l’azione di Haftar, ricordiamo l’articolo del 17 febbraio, quindi diverse settimane (quasi otto settimane) prima dell’inizio di questa nuova escalation pubblicato su Sputnik Italia. Vi riportiamo qui il chiaro titolo: “Libia, ora Macron tiene sotto scacco l’Italia” e soltanto le prime parole. Chi vorrà potrà leggerlo integralmente sul sito di Sputnik (link)

Il generale Haftar avanza da sud e minaccia il principale pozzo dell’Eni. A Tripoli il premier Serraj è ostaggio delle milizie. E Roma, sempre più isolata sulla scena europea ed internazionale, resta a guardare.

Nel Fezzan, il profondo sud della Libia, il generale Khalifa Haftar avanza di gran carriera e minaccia da vicino El Feel, il pozzo da cui l’Eni estrae gran parte del suo petrolio e del suo gas. A Tripoli il premier Fayez Al Serraj è, invece, ostaggio delle milizie chiamate a difenderlo. La Francia di Emmanuel Macron, grande alleata di Haftar sembra dunque ad un passo dallo strappare all’Italia quell’egemonia economica e quell’influenza politica sull’ex colonia che neppure la guerra a Gheddafi, voluta da Nicolas Sarkozy, riuscì a pregiudicare.

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