Il petrolio siculo e italiano sempre in mano alle Compagnie straniere

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di Salvo Barbagallo

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Con le polemiche si risolve ben poco e per l’attuale Governo italiano risulta una nuova buccia di banana, sul quale è scivolato, la questione dei permessi per nuove trivellazioni nell’ex Mare nostrum. Con poche battute efficaci, Luisiana Gaita su “Il Fatto Quotidiano”, spiega cosa è accaduto: Un decreto legge che non è stato approvato. Questo c’è dietro la questione dei tre permessi di ricerca di gas e petrolio nel mar Ionio concessi alla società americana Global Med. Una vicenda che ha provocato lo scontro tra Coordinamento nazionale No Triv e l’esecutivo e che rischia di segnare una divisione insanabile tra gli ambientalisti e il Movimento 5 Stelle che pure li ha appoggiati in diverse battaglie. Oggi, invece, lo scontro è duro, fatto di accuse, recriminazioni che partono da quanto pubblicato sul Buig (bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle geo risorse) del 31 dicembre scorso. E per “salvare” la situazione l’esecutivo annuncia una norma nel decreto legge (…).

Il problema delle trivellazioni nelle aree nazionali, operate quasi esclusivamente da Compagnie straniere, si porta avanti da tempo, anche se all’attenzione del grande pubblico questo problema affiora solo in occasioni particolari come, appunto, quella attuale riguardante i nuovi permessi e le nuove concessioni. Sui dati reali, cioè sui “numeri” delle concessioni e sul prodotto estratto, molti sono gli aspetti che si presentano lacunosi per mancanza di informazioni precise, soprattutto per quanto concerne la Sicilia, il suo territorio e il mare che circonda l’Isola.

Già anni addietro (nel gennaio del 2011, quando la Voce dell’Isola veniva pubblicato in cartaceo) il nostro giornale cercava di approfondire la situazione. Ernesto Girlando scriveva allora:

La nuova ondata di trivellazioni che si abbatte sul territorio del sud-est siciliano e sul mare prospiciente le coste ragusane (e non solo), contrariamente a quanto avvenuto in altre province siciliane, o nella stessa area iblea in un recente passato, passa tra le maglie lasche dell’indifferenza della politica e degli enti territoriali ragusani. Che, a volte, non sono solo indifferenti, ma cercano pure di trarre illusorie rendite dalla corsa all’oro nero. All’inizio della scorsa estate, diverse compagnie petrolifere hanno ottenuto le autorizzazioni da parte della Regione per trivellare nel sottosuolo in territorio di Scicli. A Cammarana, a due passi dalla zona archeologia dell’antica città di Kamarina, la terra ha tremato, per diverse settimane, 24 ore al giorno sotto i colpi dell’impianto di trivellazione. Poco più in là, in mare aperto, il campo Vega, la più grande piattaforma petrolifera offshore del mare di Sicilia, torna in funzione. Contestualmente, altre autorizzazioni vengono rilasciate dal Ministero dello Sviluppo Economico alla Peal per la ricerca di idrocarburi in un tratto di mare compreso tra Pozzallo e Marina di Ragusa. Fanno parte delle oltre 40 richieste presentate al Ministero in un periodo di tempo che va dal 2002 al 2010 e che riguardano un tratto di costa che va da Trapani a Siracusa, per un totale di un’area che si aggira sui 20 mila chilometri quadrati. Delle 40 richieste, la metà hanno fino ad oggi ottenuto le autorizzazioni necessarie dai ministeri competenti. Siti dell’Unesco inseriti nella prestigiosa World Heritage List, città a forte vocazione turistica, riserve naturalistiche, aree marine protette, financo i Templi di Agrigento e Selinunte, sono minacciati dal rischio, dal depauperamento, dall’inquinamento, considerato che la gran parte dei permessi riguarda siti di ricerca situati a un tiro di schioppo dalla terraferma, sui quali convergono gli appetiti di diverse com-pagnie petrolifere. Che rischiano di mandare all’aria le attività di resort di lusso e di strutture ricettive che dall’Europa hanno ottenuto sostanziosi capitali per incentivare lo sviluppo del turismo e la promozione delle risorse territoriali. Insomma la solita ambiguità che pervade la vita e il destino di una terra che non sa dove andare (…).Secondo dati la cui fonte è attendibile (il Ministero dello Sviluppo Economico) al 31 marzo di quest’anno sono stati 12 i permessi concessi in favore di società petrolifere interessate a operare nel Mar Mediterraneo. Oltre a Eni ed Edison, diverse compagnie estere hanno fiutato l’affare. Negli ultimi due anni la metà delle istanze di ricerca è stata presentata da due compagnie britanniche: l’irlandese Petroceltic Elsa e l’inglese Northem Petroleum Uk. L’area più a rischio è quella che va da Gela verso le coste ragusane: lo stesso braccio di mare che nel corso dello scorso anno ha prodotto 172.000 tonnellate di greggio, estratte dalle installazioni “Gela1”, “Perla” e “Vega A”, di Eni ed Edison. Una quantità risibile, visto che si tratta del 12% del petrolio estratto in Italia, e solo lo 0,6% della quantità complessivamente consumata nel nostro Paese. Ma evidentemente remunerativa per le compagnie petrolifere (con il greggio intorno ai 90 dollari al barile) che tentano di dare l’ultima strizzata ai giacimenti siciliani. Compresi quelli dell’area delle Egadi, che contribuiranno, sotto l’egida della Shell, con 150.000 tonnellate a questa nuova folle corsa all’oro nero siciliano (…).

Antonio Giordano su “Live Sicilia” scrive ora: Nel Canale di Sicilia viene estratto più di un terzo del petrolio offshore italiano, e il numero di barili potrebbe crescere ancora (…) Le zone dei mari siciliani in cui in questo momento si fa ricerca di idrocarburi sono sei. Di queste, due sono assegnate alla inglese Northern Petroleum, oggi diventata Cabot Energy, società attiva anche nell’estrazione di sabbie bituminose del Canada. I due tratti di mare, contrassegnati nei documenti ufficiali del ministero come CR 146 NP e CR 149 NP, sono molto vicini al campo Vega, e gli inglesi hanno individuato una formazione, Vesta, in cui hanno stimato una riserva di almeno 400 milioni di barili. Il permesso è stato assegnato nel 2004 ma è stato sospeso nel 2010, perché Cabot deve passare allo scavo del pozzo di esplorazione a più di quattromila metri sotto il fondo marino (…) Sono stranieri anche i titolari di un altro permesso di ricerca a ovest di Pantelleria. La compagnia australiana Adx Energy ha basato tutta la propria strategia di mercato sullo sfruttamento di pozzi di petrolio già scoperti ma abbandonati da compagnie che non li ritenevano convenienti (…).

Molto semplicemente: il tempo trascorre ma poco muta nello sfruttamento delle risorse Siciliane. Il petrolio “Siciliano” era uno dei sogni più ricorrenti di Enrico Mattei, ma chi ha governato l’Isola (e l’Italia) nel corso dei decenni non lo ha mai utilizzato per un possibile sviluppo del territorio. Un interrogativo è lecito: quali i meccanismi che muovono le costanti di una sconcertante ripetitività di avvenimenti? Troppi episodi inquietanti si sono verificati per parlare di “casualità”…

 

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