Governo Salvini/Di Maio: promesse tante, annunci molti, fatti chissà

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di Valter Vecellio

Si sono appena insediati, e già si fanno notare. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte fa sapere che hanno molto da lavorare, e non perderà neppure un minuto; lo aveva detto già il suo predecessore Matteo Renzi, che si affacciava a notte fonda dalle finestre di palazzo Chigi, le luci accese fin dal primo mattino, e altre simili amenità della serie «Il Capo non dorme mai, vigila sempre».

Dati i precedenti, qualche ora di sonno in più, qualche ‘vigilanza’ in meno sarebbe opportuna. I due vice-presidenti del Consiglio, il pentastelluto Luigi Di Maio, e il leghista Matteo Salvini, entrambi in Sicilia, si producono in un supplemento di campagna elettorale. Da Ministro del Lavoro uno annuncia posti di lavoro, reddito di cittadinanza, riduzione tasse, pensioni e altre promesse da Bengodi da ottenere picchiando i pugni sul tavolo.

L’altro, da Ministro dell’Interno, promette espulsioni a gogò, e anche lui non vede l’ora di picchiare duro sui tavoli dell’Unione Europea. Gli altri Ministri non sono da meno: un diluvio di dichiarazioni, twitter e post nei social network, prese di posizione, interviste e annunci: di tutto e di più; di troppo, anche per chi quei palazzi del presunto potere li frequenta da anni e di politici passare sotto i ponti ne ha visti in quantità.

Proprio per questo fa sorridere (amaramente, beninteso) un Di Maio che annuncia che lui e i suoi amici da ieri «siamo lo Stato». Esagerato. Sono ‘semplicemente‘ il Governo; e forse sono al potere.

Ora che finalmente abbiamo un Governo politico (che poi la politica sia questa, se ne può a lungo discutere); ora che finalmente gli incubi di partiti, movimenti ed eletti sono venuti meno (ma che, davvero davvero, dopo quella faticaccia per entrare in Parlamento, dopo solo un paio di mesi tutto da rifare?); ora che si può andare ‘tutti al mare’ senza preoccuparsi di dove s’è riposta la tessera elettorale, ecco: ora che nella stanza dei ‘non‘ bottoni per un po’ impazzerà il Salvini/Di Maio partorito dalle urne, forse si può pensare al fatidico ‘che fare‘?

La maggioranza sarà impegnatissima nella divisione delle spoglie: Sottosegretari, posizioni chiave nei Ministeri; e poi le nomine in almeno quattrocento enti che vedono una più o meno marcata presenza governativa. Potere reale, gestione e amministrazione. Tanti sono gli appetiti da soddisfare, perché vale sempre la ‘regola’ enunciata nel famoso epigramma di Ennio Flaiano: «Tutti in soccorso del vincitore».

Poi c’è l’opposizione; meglio: quella che vorrebbe essere opposizione e che non sa, non può esserlo. Prendete l’ormai ex Ministro Carlo Calenda; è approdato l’altro giorno al Partito Democratico, e tomo tomo, cacchio cacchio propone di scioglierlo; al suo posto un fronte unitario repubblicano anti-(s)fascista. Tutti insieme appassionatamente contro Lega e Movimento 5 Stelle. Un qualcosa che nelle intenzioni vorrebbe essere qualcosa di simile a quell’En marche messo su da Emanuel Macron in Francia.

Prima Tony Blair, poi Barack Obama, ora Macron: si dovrebbe smettere di cercare di brucare l’erba del vicino; non è detto che sia migliore della nostra. Renzi aveva promesso un paio d’anni di silenzio (ma non riesce a tacere neppure per un paio di minuti); ora si propone come ‘mediano‘. Ha collezionato con le sue sette sconfitte sette per il PD un risultato simile a quell’Italia umiliata cinquant’anni fa dai dilettanti della Corea. Meriterebbe di essere espulso a vita.

Interviene anche Walter Veltroni. «E’ un momento davvero drammatico», diagnostica. «C’è sconcerto nell’opinione pubblica, la politica è stata ridotta a un gioco spregiudicato, deprivato di regole e etica». Veltroni contesta che si sia entrati nella Terza Repubblica, e nega ci sia stata la Seconda: «Non è mai esistita. Così è stata chiamata perché sono spariti i partiti del ‘900 e perché è stata cambiata la legge elettorale, diciotto volte. Ma la democrazia ha bisogno di regole, di un disegno coerente, di bilanciamenti, di poteri e di controlli».

L’unico antidoto di una certa efficacia alla demagogia montante e al populismo crescente è -al momento- il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; in queste settimane ha ben operato. Operato al meglio di quel che era possibile. Da prudente, paziente, allievo di Moro che al pari del generale Kutuzov di ‘Guerra e Pace‘ lascia avanzare Napoleone e fa attorno a lui terra bruciata, e poi lo costringe alla ritirata. Mattarella, con mosse azzeccate e poche, scelte, misurate parole, ha saputo fronteggiare una situazione difficile, delicata, complicata.

Il clima che si è creato giustifica inquietudine, preoccupazione. Non è positivo che i partiti si siano praticamente dissolti. Partito è una comunità; e le comunità sono essenziali per una dialettica democratica. Dai ‘classici’ si ricava qualche utile lezione: è Polibio ad ammonire dalle degenerazioni della democrazia: induce il popolo, stomacato, ad affidarsi ai demagoghi; che fanno precipitare il Paese nel caos. Dal caos può emergere solo, fatalmente, inevitabilmente, un potere violento e dittatoriale.

Si chiama oclocrazia: Ci siamo. Viviamo, è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere, un regime che implode e si auto-divora non per questo cessa di essere tale, pericoloso, letale per i suoi effetti. Una maggioranza composta da due partiti, come s’usa dire oggi, ‘sovranisti‘, che promettono un libro dei sogni irrealizzabile; e un’opposizione di cartapesta, da una parte una Forza Italia in decomposizione, e dall’altra un PD in dissoluzione. Non è certo un buon viatico per i tanti impegni che già incombono e ancor più in autunno. Ne vedremo ancora, in un futuro non troppo lontano, tante; e poco belle.

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