Chi vuole l’Indipendenza della Catalogna finisce in carcere

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di Carlo Barbagallo

 

I tedeschi non smentiscono la loro tradizione “repressiva”, e quando possono la mettono in atto. Ne ha fatto le spese l’ex Presidente del Parlamento Catalano Carles Puigdemont, arrestato dalla polizia della regione dello Schleswig-Holstein mentre era in sosta in un autogrill proveniente dalla Finlandia e diretto in Belgio. La settimana scorsa (il 16 marzo) il Tribunale spagnolo aveva riattivato il mandato di cattura europeo sospeso tre mesi addietro, e le Polizie dell’UE avevano avviato le procedure per la sua cattura, qualora se ne fosse presentata l’occasione. Puigdemont in auto esilio in Belgio dall’ottobre dello scorso anno, due giorni dopo la dichiarazione unilaterale di Indipendenza del Parlamento Catalano, fu costretto alla fuga per evitare l’arresto come era avvenuto per i leader dei Movimenti Indipendentisti: il Presidente Catalano “deposto” dall’autorità di Madrid, si trovava ad Helsinki, quando da Madrid riceve la notizia che il giudice del Tribunale supremo, Pablo Llarena, aveva deciso di riattivare il mandato di cattura europeo. A Helsinki, Puigdemont si trovava su invito di un deputato per una conferenza in Parlamento, una occasione che il “ricercato” non aveva voluto lasciarsi sfuggire per far conoscere la situazione che attraversava la Catalogna. Il ritorno a Bruxelles era fissato per il sabato con un volo di linea, ma il programma era stato cambiato nel tentativo di sfuggire al prevedibile arresto.

L’accusa del Governo di Madrid: ribellione violenta, malversazioni di fondi pubblici e disobbedienza. Pene previste: oltre 30 anni di carcere.

Per l’intero periodo della “latitanza” Carles Puigdemont è stato tallonato dai servizi segreti di Madrid, quale “criminale” da associare alle carceri, appena se ne fosse presentata l’opportunità: l’occasione l’hanno fornita i poliziotti tedeschi, avvertiti dai colleghi spagnoli sugli spostamenti in auto del leader indipendentista Catalano. Puigdemont è stato fermato e condotto in un commissariato della cittadina di Schuby, nella regione del Schleswig-Holstein, per essere trasferito subito dopo nel carcere di Neumuenster.

Come scrive Francesco Olivo sul quotidiano La Stampa A Madrid si esulta e non solo a livello privato: la Polizia nazionale celebra su Twitter «la collaborazione con le autorità tedesche», pregustando un’estradizione comoda e soprattutto rapida. I media spagnoli già parlano dei dettagli di un trasferimento che ancora deve essere esaminato. «Non sarà questione di giorni, ma di mesi», dice l’avvocato del leader Jaume Alonso-Cuevillas, che smentisce la voce della richiesta di asilo a Berlino, «non è all’ordine del giorno». La soddisfazione dei giudici si spiega con il fatto che la Germania, a differenza del Belgio, ha nel suo codice un reato simile a quello contestato ai leader indipendentisti. Anche se non sarà facile per il Tribunale supremo convincere i tedeschi che quella catalana è stata una rivolta violenta, come teorizzato nel rinvio a giudizio. Proprio su questo punto si giocherà la partita, il legale degli altri «esuli», Gonzalo Boye, smentisce le ricostruzioni spagnole: «La Germania ha una legislazione garantista, tanto era che tra i cinque Paesi presi in considerazione quando abbiamo deciso di andar via. Sono certo che non verrà mandato a Madrid» (…) Quando arriva la notizia dell’arresto di Carles Puigdemont la Catalogna indipendentista si mobilita in un attimo, le strade della domenica delle palme, già cariche di rabbia per le carcerazioni di venerdì, si riempiono. Tante voci e un coro: «Puigdemont president». L’atmosfera, però, non è quella festosa di sempre. E tra lacrime e rabbia, scoppiano anche incidenti con la polizia, un inedito nel movimento di questi ultimi cinque anni di proteste.  (…).

Ogni avvenimento/evento rientra nella prevedibilità del ”prevedibile”: le istanze indipendentiste, in qualunque parte del Continente europeo, non devono essere portate avanti. Chiunque metta in moto meccanismi ritenuti “devastanti” per la “presunta” unità di un qualsiasi Paese, deve finire dietro le sbarre. Le Ragioni di una “identità” storica e cultura non trovano posto all’interno di un “sistema” che nega a priori la “diversità”, anche se provata. Ovviamente, le opinioni su questo argomento sono tutte “discutibili”…

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