Al teatro Brancati Turi Giordano e Guia Jelo con “I Civitoti in Pretura”. Rivisto e corretto

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di Matteo Sicuro

 

Il grande commediografo belpassese Nino Martoglio scrisse giovanissimo “I Civitoti in Pretura” nel 1893 e lo rappresentò per la prima volta nel 1903 al Teatro Bellini di Palermo.

Da allora questo spaccato di vita catanese, e più precisamente del quartiere Civita, è stato proposto innumerevoli volte da compagnie professionistiche e, ancor più spesso, da quelle amatoriali. Perché è estremamente divertente, è un atto unico della durata di poco meno di un’ora, ha pochi personaggi, e solo pochissimi di grande rilievo, e invoglia in tanti a metterlo in scena perché sembra facile da realizzare ed il successo di pubblico è quasi sempre assicurato.

È un testo, apparentemente semplice e in tanti, dimenticando di avere a che fare con un vero gioiello di comicità di un grande Autore, tendono a modificarlo, ad allungarlo con nuove battute, nuovi soggetti, puntando anche su caratterizzazioni un po’ eccessive e non richieste che poco hanno a che fare con lo scritto originale che, invece, nel suo essere elegante ed incisivo, dispensa comicità pura attingendo da una lingua siciliana di fine ‘800 che il genio di Martoglio modula a sua immagine e diventa assolutamente incomprensibile per un pretore originario dal Nord Italia.

La vicenda, infatti, si svolge in un’aula della Pretura catanese e rappresenta e coinvolge il popolo della Civita che, per l’occasione, mostra tutti gli aspetti caratteriali, pittoreschi e coloriti del suo modo di essere, esaltando la “liscìa” catanese che difficilmente è traducibile in altra lingua ma, se compresa, è fonte di sana ilarità.

I Civitoti sono umili, genuini, generosi, fieri e teatrali nel loro modo di agire ma conservando sempre la loro dignità, mai volgari anche a dispetto dei loro modo di atteggiarsi e, a modo loro, sono anche rispettosi delle regole e delle istituzioni.

Nino Martoglio ha scritto un capolavoro che portato in scena senza spostare una virgola è un’opera ancora, sotto certi aspetti, attuale e innegabilmente di grande comicità.

Troppe volte rappresentata, forse, e quasi sempre cercando di evidenziarne gli aspetti più farseschi e pacchiani, forzando talune caratterizzazioni come l’Autore non ha mai richiesto.

Non è facile “correggere” o integrare il pensiero e le parole di Martoglio, per nessuno.

Il bravo regista Turi Giordano ha provato ad introdurre nuove idee per rinnovare un’opera che quasi tutti conoscono e quasi tutti hanno visto almeno una volta. Ha provato a non cadere nel “déjà vu”, come ha chiaramente affermato. L’atto unico originale è stato sviluppato in due atti ed il pubblico ha potuto godere di uno spettacolo di media durata. L’operazione ha dato buoni frutti in talune circostanze mentre in altre, forse, il testo classico avrebbe potuto dare risultati più incisivi e maggiormente apprezzabili.

Ha potuto contare su un cast di attori di primissimo livello e mettere in scena il talento,  le capacità recitative e la notevole esperienza accumulata in tanti anni di palcoscenico.

Su tutti, ovviamente, il personaggio di Cicca Stònchiti, che Guja Jelo ha interpretato tantissime volte e le ha consentito, anche questa volta, di mostrare al pubblico le sue doti recitative e comunicative.

Ad onor del vero, una interpretazione più “leggera” avrebbe, forse, potuto meglio rappresentare la “dignità” della popolana Cicca ma Guja Jelo viene apprezzata da sempre anche per questo suo modo personalissimo di recitare.

Il numeroso pubblico presente ha riservato calorosi applausi ai bravi interpreti Riccardo Maria Tarci, Plinio Milazzo, Fabio Costanzo, Enrico Manna, Gianmarco Arcadipane, Salvo Scuderi ed Enzo Tringale. E alle civitote, convinte e convincenti, Raniela Ragonese, Noemi Giambirtone, Elisabetta Palma e Margherita Papisca.

Gianni Bella ha firmato le musiche, Jacopo Manni le scene e Sara Verrini i costumi.

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