Dopo la “decapitazione” di Giovanni Falcone, l’uccellino con la testa mozzata: è ora di dire basta

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di Giuseppe Stefano Proiti

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Chi si è reso autore degli atti di vandalismo alla statua “Giovanni Falcone”, da cui prende il nome l’istituto scolastico sito nel degradato quartiere “Zen” di Palermo, ha arrecato una doppia offesa: al concetto di arte, al concetto di legalità. È come una donna senza i seni, come un uomo senza il membro virile, come una testa senza cervello. Non è dunque un animale, non è neppure una cosa.

Ma ciò non è bastato: qualche giorno fa è stato anche ritrovato all’ingresso della scuola un uccellino con la testa mozzata, segnale inequivocabile per gli inquirenti, di minaccia e intimidazione.

Dopo questi macabri episodi, sorge spontanea la domanda: perché le videocamere installate alcuni anni fa non sono funzionanti? Sottolinea Maria Falcone: «Visto che il sistema di monitoraggio esiste dovrebbe essere attivo, anche per scoraggiare altri gesti come quelli successi negli ultimi giorni. Questo è un problema effettivo che deve essere subito risolto. Occorrerebbe anche – continua la sorella del giudice vittima della strage di Capaci – un presidio delle forze dell’ordine davanti la scuola, simbolo della presenza dello Stato e dell’impegno nel recupero dei ragazzi dalla criminalità organizzata, che l’Istituto Falcone deve mostrare ».
Rimane un interrogativo ancor più grave di ordine teorico-concettuale. Il nostro codice penale, nell’ambito Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti (Libro 2°, Titolo 4°, Capo 1°) all’art. 404 co. 2, come sostituito dall’art. 8 della L. 24 febbraio 2006, n. 85, prevede la reclusione fino a due anni per <<Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto>>.

Ergo, ci si chiede: perché la statua del giudice Falcone non possa costituire, al pari di quelle sacre, “oggetto di culto”? Non aiuta sicuramente l’affermazione di una cultura della legalità l’estensione della pena in virtù di un’interpretazione analogica al dettato dell’art. 404, e tantomeno risulta umiliante considerare la distruzione della statua di Falcone come un’offesa alla “pietà del defunto”. Occorrerebbe allora così modificare la succitata intitolazione: “Dei delitti contro il sentimento religioso, contro il sentimento dell’arte e della legalità”. Considerare, al pari della religione, l’arte e la legalità come sentimenti (nella loro laicità), varrebbe sicuramente a qualificare la condotta come “reato culturalmente orientato”, a radicare nella società la funzione rieducativa della pena, a infondere nei cuori il vero significato della norma penale. Chi distrugge un simbolo di legalità, di arte, arreca pregiudizio a tutta quell’armonia di un sentimento che ci sta dietro.

Che i siciliani non siano dunque i soliti passivi spettatori con la “testa mozzata” di una cultura oltraggiata come la “decapitazione garibaldina” di via Dusmet (Catania), ma si facciano portatori attivi di proposte di legge e di istanze concrete di cambiamento.
I siciliani, quando vogliono, sanno essere i costruttori di grandissime edificazioni di pensiero, esattamente come la risposta che è arrivata già all’indomani del raid vandalico, con la realizzazione di un murales sulla parete più alta e imponente dell’istituto Nautico di Palermo: <<Nos esse quasi nanos gigantium humeris insidente>>;  (Bernardo di Chartres, o Bernardus Carnotensis, filosofo francese del XII secolo)
<<Siamo come nani sulle spalle di giganti>>; così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acutezza della nostra vista o per l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.

(Citato in “Riemen”, prologo a Steiner 2006, p. 23; cfr. Giovanni di Salisbury, “Metalogicon, III”)

 

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