La “libera” informazione macinata dai Social

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di Luigi Asero

 

Il mondo dell’informazione vive un momento (che persiste da decenni) di crisi e ciò è cosa nota a tutti. Tanti i fattori che hanno influito negativamente sulla corretta diffusione delle informazioni, ne citiamo alcuni, certi però che non sia un elenco esaustivo. 

Se da un lato c’è la evidente “pochezza” della qualità dell’informazione, dall’altro possiamo lamentare un surplus di informazioni, spesso banali, spesso inutili. Eppur utili ad aumentare i “clic” sui siti dei vari quotidiani (e non solo) online. La crisi, almeno per quanto riguarda l’Italia, iniziava ben prima di internet. Quando ogni giornale andava in stampa e sempre più spesso la “resa” all’editore era superiore alla metà delle copie stampate (e quindi invendute). La pigrizia dei lettori è un fattore spesso denunciato dagli editori eppure non è sufficiente a spiegare il fenomeno, a parer nostro più legato alla sempre maggiore “politicizzazione” dell’informazione, alla sempre maggiore esigenza di far business.

L’informazione vera nacque con un preciso scopo: controllare e denunciare chi gestisce la ricchezza e il potere. Se il “controllore” (l’informazione) è gestito da politica e imprenditoria è evidente che cessa il suo ruolo per trasformarsi in mero portavoce di quella che possiamo definire “la voce del padrone”.

Poi, semplificando, ci fu l’avvento del web e iniziò una radicale trasformazione dell’idea di informazione. I giornali iniziarono a pubblicare contenuti simili ma diversi online, dove è ben più ampio il supporto di nuove forme quali la possibilità di inserire immagini e video. Poi la possibilità di dare l’informazione in tempo reale. Una rivoluzione sembrava… sembrava appunto.

Perché quella che doveva essere la svolta, la possibilità anche per un piccolo editore indipendente di pubblicare contenuti seri e verificati si scontrò sempre più con l’esigenza di aumentare il numero delle visite e dei lettori. Perché sebbene più bassi i costi ci sono lo stesso. I giornalisti (e tutto il personale che compone una redazione così come le agenzie di stampa) hanno un costo. Costo che non si ripaga certo con poche visite a un sito appositamente creato libero nella sua fruizione per i lettori. Quindi l’esigenza di pagarsi con la pubblicità, quindi il “serpente che si morde la coda” perché i piccoli inserzionisti trovano sempre meno interessante pubblicizzarsi su un giornale, mentre i grandi investitori tornano a stabilire la “voce del padrone” di cui prima e non investono su chi desidera fornire una voce indipendente.

Arrivò in breve la rivoluzione Social a dare ossigeno a tutti. Con i social e un pubblico creato ad hoc si possono promuovere con poca spesa i contenuti e aumentare così le visite. Il Social per eccellenza, ossia Facebook, risulta il più idoneo allo scopo. Facile, veloce, intuitivo, completo. Non lo neghiamo, certo uno strumento utile. Facebook vive di condivisione, magari il suo algoritmo è calcolato per non condividere proprio “tutto”, ma certo aiuta. Purtroppo con i Social nascono però le finte testate, spesso -troppo spesso- scambiate dagli utenti per veri giornali. Nasce la possibilità per gli editori di fake news di far tanti soldi facili semplicemente creando e diffondendo falsità. Di quelle che piacciono al pubblico mal informato e quindi non in grado di discernere facilmente il vero dalle bufale.

Eppure i margini di diffusione sembrano esserci per tutti. Poveri illusi! Voi lettori e noi editori. A breve vedremo cosa ci ha riservato il nuovo “padrone”, Mister Facebook.

Ve ne accenniamo brevemente qui: la richiesta verrebbe dai grandi imprenditori del mondo editoriale, capaci così di fagocitare tutto. Per leggere le notizie bisognerà abbonarsi, anche se l’articolo lo troveremo sulla nostra bacheca di Facebook. A questo sistema starebbe lavorando la piattaforma Facebook. Un sistema per combattere le “fake news” dicono, per consentire agli editori di “vendere” il proprio prodotto. Un sistema che già i grandi giornali adottano se si utilizza il loro sito (alcuni ad esempio concedono la lettura gratuita di 30 articoli mese, altri invece mettono a pagamento gli articoli più “rilevanti”).

Ma se tutto passa a pagamento tramite Facebook chi leggerà più le “piccole testate”, magari meno ricche di contenuti ma spesso più vicine alla realtà? I lettori quanti abbonamenti saranno disposti a fare? Si chiede il Corriere della Sera:

L’informazione ha un prezzo sin dal primo click oppure — come funziona ad esempio sul sito del Corriere — lasciare gratuiti i primi contenuti che l’utente legge, un certo numero da definire, e poi inserire il «muro» una volta esauriti? Infine i profitti, forse il punto più importante, per Zuckerberg e per i giornali. Come spartire le entrate che arrivano dagli abbonamenti?

I risultati si vedranno nel tempo. Eppure è nostra opinione, e potremmo sbagliare, ma per le piccole testate indipendenti sarà un lento, inesorabile tracollo. Si tornerà ad ascoltare la sola “voce del padrone” e non c’è occasione più ghiotta per chi vuol un mondo forgiato da un nuovo Ordine, con un unico pensiero. O pensiero unico.

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