Indipendentismo: la Catalogna ci riprova, la Sicilia no

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di Salvo Barbagallo

 

La “voglia” d’indipendenza è una delle caratteristiche dell’essere umano, che si avverte maggiormente quando diventa “esigenza” collettiva, di una “comunità” che ha radici, storia e costumi ben definiti che ne possano attestare la legittimità. E il caso della Catalogna, potrebbe (o dovrebbe?) essere il caso della Sicilia. Non di questo avviso, ovviamente, lo Stato, cioè la Spagna, che ritiene la Catalogna parte integrante e inalienabile del Paese. Non di questo avviso, ovviamente, lo Stato, cioè l’Italia, che ritiene la Sicilia una “sua” regione, indispensabile per mantenere integro il territorio nazionale.

La Catalogna esprime da anni e anni il suo “sentimento” indipendentista e ci prova e riprova con gli strumenti che può utilizzare, cioè il “referendum”. Madrid non è inclina a concessioni di sorta, e pone veti, e “minaccia” rappresaglie legali già subito dopo che il presidente catalano Carles Casamajo Puigdemont ha annunciato la data della consultazione popolare che si terrà il prossimo primo ottobre. Il governo spagnolo retto da Mariano Rajoy, infatti, ritiene che il referendum indipendentista, chiesto dalla grande maggioranza dei catalani, è assolutamente illegale e contrario alla costituzione e si è impegnato a impedire in ogni modo la costituzione dei seggi elettorali. Il rischio che si vuole evitare è il ripetersi dell’esperienza di tre anni addietro, quando alla consultazione “informale”  del 9 novembre del 2014 parteciparono 2,3 milioni di catalani, con un risultato politico e propagandistico che a Madrid suonò come un forte segnale d’allarme.

Carles Casamajo Puigdemon è all’attacco e dichiara: “In attuazione del mandato democratico, oggi abbiamo avuto un Consiglio esecutivo straordinario per ratificare la decisione di tenere il referendum come esercizio del legittimo diritto all’autodeterminazione di una nazione” ed ha accusato il governo di Madrid di non aver risposto alle offerte di negoziato da parte della Catalogna. Puigdemon ha fatto risalire l’aggravamento del conflitto con la Spagna alla sentenza della Corte costituzionale di Madrid di sette anni fa, che aveva bocciato lo “Statuto catalano” votato dai parlamenti di Madrid e Barcellona e approvato con un referendum dalla popolazione catalana. Madrid risponde: “Che nessuno dubiti che ogni eventuale passaggio all’azione sarà perseguito dal governo…”. A tutti appare chiaro che attraverso sentenze e probabili condanne, il referendum sarà proibito: i catalani lo sanno benissimo e preparano le contromosse. Probabilmente non otterranno nulla, ma almeno potranno vantarsi d’averci provato.

In Sicilia il problema dell’indipendentismo non si pone, se non negli isolati convegni che periodicamente i gruppi “Sicilianisti” organizzano, con scarsi risultati sull’opinione pubblica. La Sicilia ha perduto la sua grande occasione nel lontano 1945, quando venne cancellato con l’assassinio di Antonio Canepa il pericolo di una rivolta armata. La Sicilia allora aveva la vittoria in pugno: oltre cinquecentomila iscritti contava, in quel periodo, il Movimento Indipendentista Siciliano, avendo di fronte un PCI e una DC che potevano basarsi solo su meno di cinquantamila iscritti. Furono quelle condizioni politiche che costrinsero il Governo nazionale provvisorio a scendere a patti con i maggiorenti e i politici dell’Isola, concedendo alla Sicilia un’Autonomia “Speciale”, con uno Statuto che (a tutt’oggi, volente o nolente) fa parte integrante della Carta Costituzionale Italiana a seguito della Legge Costituzionale n° 2 del 26 febbraio 1948..

La Sicilia, la gente di Sicilia ha dimenticato, non ha memoria del suo passato: ne piange e ne piangerà le conseguenze.

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