Giovedì 9 marzo a Catania approndimento sull’ “Architettura vitruviana”

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 “La legge e l’arte sono figli dell’intelletto (νους)

(Platone, “Leggi”, 890 d. cfr., Ananda K. Coomaraswamy, “Il grande brivido”, Adelphi)

di Giuseppe Stefano Proiti

 

Vitruvio è considerato uno dei maggiori trattatisti dell’antichità. Sono ignote le origini, sappiamo solo che è nato intorno all’80 a.C. e morto dopo il 15 a.C. Svolse l’attività di “Scriba armamentarius” al seguito di Cesare con compiti nel settore militare, appartenne all’ “ordo” degli “apparitores”, un ordine professionale che collaborava con chi aveva responsabilità politiche all’interno dell’amministrazione pubblica. Fu autore dell’opera “De architectura”, in dieci libri, che costituì un “canon”, un sicuro riferimento  anche per i trattatisti rinascimentali come Leon Battista Alberti. “Un munus, il suo  –  scrive Stefano Maggi  –  sempre ispirato all’ideale eclettico tardo repubblicano di humanitas (quella diffusa dal “Circolo degli scipioni” e dallo stesso Pubblio Terenzio Afro, poeta latino di origine Cartaginese del II sec. a.C., propugnatore della contaminazione tra le culture greca e latina, n.d.r.), fortemente connotato di cosmopolitismo (in omni civitate civis) e a destinazione ecumenica” (1). L’auctoritas di Vitruvio si pone a pieno titolo lungo il solco della “tradizione autentica”, assumendo in tali condizioni il ruolo di “difensore” (2) del “mondo antico” minacciato – dalla dissoluzione delle arti, e quindi dell’architettura – dalla crisi globale che investe il mondo romano con l’avvento di Cesare e poi del principato di Augusto, il declino della Repubblica incarnata dalla figura di Pompeo e il passaggio al regime monocratico di Cesare, iniziato con la lunga crisi politica sin dal tempo dei Gracchi avviando un clima di guerra civile a Roma diffuso poi in varie città della Repubblica e amplificato dalla crisi agraria dovuta soprattutto all’espropriazione del latifondo patrizio che venne assegnato ai Tribuni in quiescenza. Pompeo rappresentava il potere senatorio, il regime conservatore, la Repubblica, i “mos maiores”, la tradizione, Cesare, con la sua monocrazia, il “nuovo”.

Basilica di Vitruvio (Fano)

“Da qui  –  scrive ancora Stefano Maggi  –  prende corpo una generale volontà di salvare tutto il bagaglio culturale e tecnico attraverso una sistematica operazione di raccolta e riordino del sapere : Cicerone e Varrone sono gli esponenti più grandi e più noti di questo movimento di idee” (3). Nel “De architectura” prendono forma le argomentazioni riguardanti le sette arti liberali: dialettica, grammatica, retorica, e poi aritmetica, geometria, musica, astronomia (sistematizzate successivamente da Boezio come Trivio e Quadrivio, n.d.r.). La letteratura filologica è concorde nel riconoscere, per l’ambito italico, quali fonti primarie di Vitruvio, Marco Terenzio Varrone – allievo di Filone di Larissa scolarca dell’accademia platonica – Cicerone e Lucrezio, mentre per l’ambito grecofono primeggiano Pitagora, Platone, Aristotele, ed Ermogene di Priene (architetto) per quanto attiene l’ambito micro-asiatico. Vitruvio esprime appieno lo spirito del “circolo degli scipioni”, di cui il letterato Publio Terenzio Afro, unitamente ad alcuni membri della famiglia degli Scipioni, è fervente sostenitore, che si concretizza nell’ammirazione dei canoni prodotti dalla cultura greca. L’autore <<esprime un giudizio estetico e insieme morale nei confronti della “moda depravata” dei suoi giorni  –  probabilmente riferendosi in particolare alla pittura parietale – che segna la dissoluzione del sistema architettonico (la fase finale del cdd. “secondo stile”; Ferri pensava al “quarto stile”), del marmo, dei colori naturali e artificiali (secondo lo schema codificato, a noi noto a partire dal “De lapidibus” di Teofrasto)>> (4). Vitruvio si pone, in conclusione, come una figura “pontificale”, perché rappresenta il collegamento tra l’ ”italica consuetudo” e la “graeca consuetudo”, riconfermando quella capacità, tipica degli autori antichi, di farci gustare e ascoltare tutt’oggi,  come recitava l’archeologo Guido Achille Mansuelli (intorno agli anni 60’),  la loro preziosa e autentica lezione.

L’argomento “Architettura vitruviana” sarà oggi – 9 marzo, alle ore 17.30 – approfondito dal prof. arch. Maurizio Militello, Vicepresidente dell’associazione nazionale “Archeoclub”, sez. di Acireale, che ha sede presso la S.M. Galileo Galilei, in via Arcidiacono n. 6.


Note

  1. Vitruvio, Architettura, Trad. e comm. Critico Silvio Ferri, intr. Stefano Maggi, BUR, p. 26.
  2. Tale termine viene utilizzato da Platone nella sua “Repubblica”, si può individuare una relazione analogica tra il magistero vitruviano e quello platonico, in fondo sia Platone che Vitruvio appartengono alla stessa catena sapienziale; cfr. Plat., Repubblica, L. III; cfr. Andrew Barker, Psicomusicologia nella Grecia antica, Univ. Degli studi di Salerno, Guida, p.35.
  3. Vitruvio, Architettura, Trad. e comm. Critico Silvio Ferri, intr. Stefano Maggi, BUR, p. 17.
  4. Ivi, p. 27.
Piero della Francesca. “Città ideale”, tra il 1480 e il 1490, tempera su tavola, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino

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