Non vale una cicca la disperazione del disoccupato

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di Carlo Barbagallo

 

Lavoro e disoccupazione. Siamo travolti periodicamente dai numeri delle statistiche che ci fanno conoscere lo stato delle cose: in tempo (quasi) reale sappiamo cosa si verifica nel nostro Paese, al contrario in tempo virtuale chi ci governa ci indica le misure che potranno essere adottate per uscire dal tunnel della crisi. Tutto ciò che il governo propone è declinato al futuro dimenticando, strumentalmente, che c’è un presente che viene vissuto drammaticamente da migliaia e migliaia di esseri umani. Si impone, con costi elevatissimi, una (giusta) solidarietà per i disperati che vengono sbarcati nei nostri porti, non si trovano risorse adeguate per i disoccupati italiani che aspirano a un lavoro che possa ridare a loro dignità nella convivenza sociale. Il tempo trascorre con una velocità impressionante, ma chi detiene il potere di fare o non fare non cambia il suo modo d’operare e gli scandali che esplodono non intaccano minimamente il sistema fortemente radicato del clientelismo, delle parentopoli, dei favoritismi politici.

Quanto vale di fronte alle immani tragedie che si consumano ogni giorno, sotto gli occhi di tutti, la “semplice” disperazione individuale e collettiva di chi vede trascorrere i giorni senza che venga prospettata una speranza di cambiamento, o la possibilità che il domani possa portare “qualcosa” di nuovo? La disperazione non vale nulla, non ha peso: ormai si è perduta la coscienza del “bene comune”, si è smarrita la coscienza del “bene condiviso”. Come non capire la rabbia di chi vede nell’accoglienza che viene data a chi fugge da situazioni (sicuramente) più tragiche, quando vengono sistematicamente ignorate le condizioni di chi, ancora più oppresso, si trova nella propria terra e non ha l’attenzione e l’aiuto dovuti?

Ed ecco l’Istat, con l’implacabile resoconto mensile, fare i conti del disastro: la disoccupazione a novembre fa segnare un nuovo record negativo: 11,9 per cento (+0,2 per cento rispetto a ottobre). Si tratta del risultato peggiore dopo il 12,2 per cento del giugno 2015. A novembre, le stime dell’Istat parlano di 57mila disoccupati in più (+1,9 per cento rispetto a ottobre), con una distribuzione proporzionale tra uomini e donne e per fasce d’età (tranne che per quella degli over 50 che ha percentuali minori). In Italia, quindi, si calcola che ci siano 3.089.000 disoccupati. Il dato più significativo è quello negativo che riguarda i giovani: il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è salito al 39,4 per cento. Si tratta del dato più alto dal giugno 2015, quando si era attestato al 42,2 per cento. Dal calcolo, da notare, sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. L’incidenza dei giovani disoccupati sul totale dei giovani della stessa età è pari al 10,6 per cento (cioè poco più di un giovane su dieci è disoccupato). Un’incidenza in crescita dello 0,7 per cento rispetto ai dati di ottobre. Dall’analisi dell’Istat che mostra i dati per fasce d’età, si vede come gli occupati di oltre 50 anni sono saliti di 453mila unità tra novembre 2015 e 2016; di contro, sono scesi di 160mila tra 35 e 49 anni e di 88mila tra 25 e 34 anni.

Per quanto riguarda la Sicilia vanno ricordati i dati di qualche settimana addietro del C.E.M.- Coercive Engineered Migration che riportano come 750.000 Siciliani abbiano costituito il terzo ciclo migratorio della Sicilia: in meno di dieci anni, dal 2001 al 2014 sono stati 526 mila i giovani Siciliani che sono emigrati dall’Isola, 205 mila i laureati. Generazioni perdute per sempre.

Si parla del futuro dei Paesi dell’Unione Europea: in molti in Europa oggi ritengono che i governi debbano riservare una corsia preferenziale alla creazione di posti di lavoro. Alla domanda “quali sono i due temi più importanti che deve affrontare il vostro Paese in questo momento?”, tre cittadini europei su dieci (31 per cento) risponde lavoro, e due cittadini su dieci (26 per cento) immigrazione. Ben dodici gli Stati membri dell’Ue che chiedono ai governi di dare priorità alla creazione di lavoro: Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia Spagna. Una priorità per un cittadino su due in Francia (49 per cento) e Italia (47 per cento), Paesi chiave dell’Eurozona. L’interrogativo è impellente: questa priorità lavoro come viene affrontata? Quali soluzioni immediate, e non future, vengono adottate? A questi interrogativi chi governa risponde: domani faremo… Ed è proprio quel “faremo domani” che lascia poche speranze.

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