Miracoli politically correct in una unità che non fu

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di Guido Di Stefano

 

Vaghiamo un poco nel nostrano, nonché occidentale, universo del politicamente corretto, ovvero dei modi di dire comuni in tutte le istituzioni e realtà occidentali intitolale alla (dis)unione…

Nei “bei” tempi antichi ci si scandalizzava all’emergere di casi di tangenti e corruzione; e spesso ne conseguiva almeno l’emarginazione politica e/o sociale dei reprobi, che si erano fatti “beccare”. Ancora, a quel tempo, la gente manifestava un certo pudore, per quanto per lo più tardivo e di circostanza.

Poi (così si dice) la mala pianta della corruzione fu estirpata o forse più semplicemente circoscritta come “coltivazione” degli altri, quei fantomatici altri che da quel momento non coincisero più con i “detentori” (tendenti all’inamovibilità) del potere, che acquisirono velocemente la virtù dell’impunibilità grazie alla scienza della “flessibilità ideologica”, matrice di cointeressati incontri e scambi culturali e ideologici. Il tutto esaltato, anzi osannato, dai “mainstream” di regime e, se proprio necessario, velato dalla riservatezza dei segreti di stato.

Insomma, non che la verità abbia mai veramente illuminato le nostre terre (già da migliaia di anni) ma da merce rara passò alla categoria “chi l’ha vista”.

E passando da una “rivoluzione all’altra” le mazzette (della corruzione) sembrano ormai rispondere alle più nobili definizioni di “attestazioni di stima” e “cortesie”: a voi la scelta.

Non è un grande miracolo del politically correct? I corrotti sono gli altri: quelli che furono al potere , quelli che ora osteggiano il potere e i relativi cerchi magici. I potenti di ora e le loro corti sono “puliti” per autoproclamazione e per i cori (vocali e strumentali) dei cortigiani di turno.

Crediamo proprio che “Rigoletto” dica il giusto con il suo grido “cortigiani, vil razza dannata”. Sono sempre esistiti!

Comunque bando a questi piccoli “pettegolezzi” e passiamo al razzismo “interno” non solo italico, ogni giorno più incontrollabile!

Tutti i cori attuali elevano inni a comprensione, tolleranza, accettazione delle altrui culture, accettazione e privilegi per le diversità, valori universali, umanità, ecc. Si sta riscrivendo addirittura tutta la lingua italiana per renderla politicamente corretta e perfetta e nel contempo in nome dell’uguaglianza “a prescindere da sesso, non sesso, religione, ecc.” si mettono in atto comportamenti e normative che tendono a privilegiare tutti i riconducibili a “minoranze, diversi, non siciliani, non italiani, “deboli” veri o presunri” , ecc.

Ogni giorno sentiamo voci della politica e del collegato mainstream che si levano stentoree da bocche “caramellosamente” sorridenti mentre semplicisticamente equiparano il moderno flusso migratorio a quello degli Italiani. Mai nessuno di loro precisa che gli Italiani, provenienti dai territori compresi tra “Porto Palo” e le Alpi, si presentavano alle frontiere degli stati ospiti con biglietto e passaporto e, dove occorreva, con il misterioso “atto di richiamo” , sconosciuto ai figli privilegiati del benessere. E quando i nostri connazionali si “macchiavano” di gravi (?) crimini venivano subito premiati con l’espulsione; quando addirittura, pur innocenti, non venivano usati come capri espiatori specie nelle Americhe.

Comprensione e tolleranza? Ma le parole non esistevano già 155 anni addietro? Chissà perché allora l’unità d’Italia portò all’istituzione del “meridionale brigantaggio” prima e della “mafia” (sembra che il termine sia di origine piemontese) poi? Forse è stato un modo di capire (o vessare) i popoli invasi e spogliati di tutto. Certo è che dal punto di vista coreografico i Siciliani poterono apprezzare più di tutti la nuova ventata di libertà e democrazia: infatti con il “re bomba alias Federico II di Borbone” videro la distruzione di alcuni palazzi a Messina con l’uso di cannoni caricati a palla e ad “alzo” ben superiore allo zero; con il re galantuomo “asciugarono” il sangue a Palermo dove i democratici cannoni erano caricati a mitraglia e sparavano con alzo zero (ad altezza d’uomo), salvaguardando i palazzi.

Da allora ogni Siciliano e ogni crimine (ipso facto) in Sicilia è “mafia”, da castigare fermamente a prescindere da ogni presunzione di innocenza. Nell’Italia di sopra invece si cercano “evidenti” prove di reato per rubricare e perseguire (con somma giustizia) molti reati di pura matrice locale: specialmente i reati finanziari.

Vogliamo ricordare che vittime di italico e democratico razzismo furono anche gli Istriani.

Anche cultura, verità, informazione, umanità, intelletto vengono di continuo riplasmati dai centri di potere, confondendoci.

Vi immaginate se invitate qualcuno in casa vostra e subito quello vi impone i suoi gusti “artistici” per l’arredamento e i suoi “desiderata” quotidiani e duraturi?

Sta succedendo in Europa ma non dal grande fratello americano, forse regista, forse ispiratore, forse spettatore distratto.

Ci stiamo spogliando di tutte le nostre radici in nome di una accoglienza male “interpretata” e peggio ancora gestita. Quelli che si credono onnipotenti demonizzano e minacciano catastrofi a chi si oppone e tacciano tutti gli avversari di razzismo e di populismo. Ma chi rappresentano questi novelli profeti? Non ci sembrano tanto premurosi verso i loro popoli e verso chi li difende invitando alla prudenza e all’uso dell’intelletto.

Siamo terrorizzati dalle devastazioni universali che possono derivare dal corrente e pluto-tecnocratico miscelamento (mascherato da laicismo esasperato) di politica e religione: la miscela è esplosiva!

Forse sono tornati di attualità, con mutate vesti ma con analoghi usi e costumi, i grandi inquisitori, vocati anche allora al benessere di pochi e al trionfo di un pretestuoso mondo unipolare.

E piangiamo pensando a quanti testi sacri e capolavori del passato dovranno essere riscritti per adeguarli ai riformismi “politicamente corretti” e tanto intonati (anche contraddittoriamente) sia all’eguaglianza assoluta sia all’evidenziazione delle differenze genetiche, oltre alla forzosa edulcorazione di malattie e difetti (quasi si trattasse di colpe e non di problemi seri), di cui vanno fieri molti nostri “rappresentanti” (per autodefinizione).

Così tanto per farci capire: pensate ai testi biblici, ai grandi poemi, ai grandi romanzi dove ogni cosa ha un suo preciso nome! Noi eredi degni di culture millenarie? C’è da dubitarne! Chissà cosa direbbe Paolo di Tarso che “ordinò”: “non vergognatevi di chiamare per nome ciò che Dio ha creato”.

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