Dalla Sicilia i globetrotter della morte e del terrore

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di Salvo Barbagallo

 

Con i tempi che corrono permettersi una “vacanza” è un lusso che non tutti possono permettersi, ma anche molti che la vacanza possono farla, con i tempi che corrono, rinunciano a viaggiare perché hanno paura. Le statistiche indicano che in Italia, per esempio, oltre il 33 per cento di italiani in queste festività di fine anno ha preferito rimanere a casa, rinunciando alle programmate e magari brevi sortite all’estero. Sì, è inutile nascondersi dietro un dito, come suol dirsi: il timore degli attentati c’è, ed è sufficiente di questi giorni andare in giro nei centri storici delle grandi città per rendersene conto: polizia, carabinieri, esercito con mezzi blindati, e armati di tutto punto, presidiano i cosiddetti “punti sensibili”. Misure di sicurezza necessarie per prevenire qualsiasi azione criminale da parte di forsennati jihadisti a danno di persone inermi e pacifiche che hanno l’unica colpa di essere “occidentali” e, poi e forse “cristiani”. Siamo in guerra anche in Europa, anche in Italia?

La guerra “vera”, in realtà, è a poche centinaia di chilometri dalle coste a Sud del nostro Paese, appena dall’altra parte del Mediterraneo, dalla Libia sino alla Siria. A Natale abbiamo dimenticato ciò che accade a poche ore di volo dalla Capitale Roma, a ciò che accade anche in Sicilia dove il flusso dei migranti/profughi è continuo e inarrestabile. Certo, si piazzano barriere di cemento nella piazza principale di Milano, vengono rafforzati i controlli all’ingresso del Vaticano e attorno al Colosseo romano, ma nei porti della Sicilia le porte sono aperte a chiunque (giustamente) viene salvato dalle insidiose acque dell’ex Mare nostrum in quel tratto di Canale che separa la Sicilia dalla costa africana. Dove vanno quei fuggitivi dopo essere stati accolti con grande segno di umana solidarietà, dopo è difficile dirlo, tranne quando si ricostruiscono i “movimenti” di un terrorista rimasto ucciso dopo avere compiuto una strage di innocenti.

Così apprendiamo da un servizio di Cesare Guzzi e Gianni Santucci pubblicato ieri (28 dicembre) sul quotidiano Il Corriere della Sera che La scorsa primavera, sui computer dell’antiterrorismo a Roma, arriva un’allerta dalla Germania. Il 10 maggio, ha rivelato ieri la televisione Wdr, «la polizia criminale del Nordreno-Vestfalia classifica Anis Amri come individuo pericoloso». Da Berlino accendono un segnale rosso sul suo nome. E lo comunicano anche all’Italia. La richiesta: se in un controllo in strada, un’identificazione, o un’attività di indagine venisse localizzato «l’obiettivo», bisogna trattenerlo e segnalarlo alle autorità tedesche. In quel momento, sette mesi prima che si lanci con un Tir tra le bancarelle del mercatino di Natale a Berlino, Anis Amri (anche se il termine è giuridicamente improprio) è già un «ricercato», inserito in una rete di radicali islamisti.

Ricostruzione importante, quella effettuata dagli inquirenti che sono riusciti a “mappare” (quasi) tutti gli spostamenti in territorio europeo del terrorista che ha compiuto il massacro a Berlino. L’intera storia criminale del jihadista Anis Amri nel nostro Paese viene ripercorsa e rivisitata dagli investigatori italiani in collaborazione con gli investigatori tedeschi: Amri, da quanto è emerso, è “sbarcato” a Lampedusa nell’aprile del 2011, ha partecipato a una rivolta in una comunità d’accoglienza, è finito in carcere e trasferito da un penitenziario all’altro (Catania, Enna, Palermo), fino al maggio dello scorso anno. Le sue ultime tracce risalgono a un mese dopo: nel Centro di identificazione di Caltanissetta, in attesa di un’espulsione che non si avverrà per problemi con le autorità tunisine (che dovrebbero dare il via libera al rimpatrio). In Sicilia viene anche denunciato per rissa, poi “inevitabilmente” scadono i termini e, come legge comanda, viene lasciato libero. Qualche giorno dopo le forze dell’ordine tornano a cercarlo, dovrebbero notificargli alcuni atti giudiziari, ma non lo trovano. È già in viaggio per la Germania.

Il tunisino Anis Amri è un “globetrotter” come tanti altri jihadisti “lupi solitari” e no, forse “noti” e forse ignoti: fanno parte – volente o nolente – di quella massa di esaltati che si occultano con facilità fra connazionali ignari e pacifici, seminando morte e distruzione. Intorno ad Amri sono state ricostruite due reti di contatti e frequentazioni. Una in Germania, l’altra in Italia. L’obbiettivo degli inquirenti attualmente è quello di trovare punti di contatto e capire se la cellula tedesca abbia una qualche ramificazione anche in Italia. Purché non si dimentichi che il punto debole della sicurezza è la “porta Sicilia”, dove quasi quotidianamente vengono sbarcati i profughi che, inesorabilmente, dopo essere stati accolti, scompaiono e si trasformano anche loro in globetrotter, rendendo impossibili i dovuti controlli.

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