Gli USA dovrebbero risolvere i loro guai e non interferire altrove

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di Salvo Barbagallo

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Vedendo quanto sta accadendo in questi giorni oltre Oceano viene spontanea la domanda: ma perché gli Stati Uniti d’America non pensano seriamente a risolvere i loro guai anziché cercare di interferire altrove, ovunque lo ritengono utile?

E poi un altro interrogativo: come può un Paese come l’America che non ha risolto in casa propria la discriminazione razziale, come può questo Paese dare, con la forza, indicazioni su come devono vivere gli altri?

Dovremmo attendere una “Primavera USA”, dopo i risultati delle “Primavere Arabe”?

Non è facile entrare nel merito (e noi non lo facciamo) delle problematiche che da anni e anni scuotono gli Stati Uniti, non dimenticando chi ha costruito questo Grande Paese a danno di chi lo abitava, quelli che ancora oggi chiamiamo “Indiani”. L’epopea del West ha lasciato al giorno d’oggi l’uso delle armi e non ha cancellato le profonde divisioni tra “bianchi e neri”, come se la lezione di Luther King non sia mai stata data e non sia valsa a nulla.

Ebbene, questi “yankee” che hanno avuto sempre l’ambizione di “esportare” la democrazia in territori lontani dalle loro sponde, poco o nulla conoscendo delle altrui “civiltà” o degli altrui “modi di vivere”, ebbene questi yankee ora si ritrovano a tirare le somme di ciò che non sono riusciti a realizzare a casa loro. Ed è una sorta di resa dei conti, una sorta di “Ok Koral” nelle immense città dove l’integrazione è rimasta soltanto un’utopia. Si prende atto con amarezza che c’è un’America “nera” e un’America “bianca”, si prende atto che il presidente “nero” ha fallito là dove a scendere in piazza e l’America “nera”, e si prende atto che la tensione è altissima in tutti gli Stati Uniti dopo un’altra notte di proteste per l’uccisione di tre afroamericani da parte della polizia, l’ultimo a Houston, e la strage di agenti avvenuta a Dallas. Si manifesta ovunque: da Detroit a New Orleans, da Baltimora, a New York, da San Francisco a Washington, a Los Angeles.

Dai Black Panther degli Anni sessanta del secolo scorso agli odierni Black Lives matter, la richiesta è sempre quella di “giustizia” e “parità di diritti” e, ovviamente, nessuna discriminazione razziale. Nel Terzo Millennio, mentre ancora non si conoscono le “vere” origine dell’esodo di migranti, nel Terzo Millennio dove si spende con facilità la parola “integrazione”, scorre ancora sangue nel Paese (gli Stati Uniti d’America) che vanta una delle più apprezzate e amate Costituzioni del mondo. Evidentemente le “Carte” fondamentali non vengono più”misurate” per quello che hanno rappresentato e per quello che dovrebbero rappresentare.

Quanto sta accadendo in questi giorni negli USA dovrebbe far riflettere i Paesi europei, dovrebbe far riflettere quanti, anche in Italia, parlano d’integrazione senza avere approntato gli strumenti necessari ed adeguati per realizzarla, senza avere posto le basi per una programmazione tendente a prevenire le inevitabili e prevedibili conflittualità.

Purtroppo le “lezioni” a ben poco servono là dove dominano (quasi) esclusivamente “interessi” la cui natura è (quasi) sempre ignota.

Un “nuovo ordine mondiale”? Forse. Ma prima… il caos.

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