Sicilia, quei terroristi jihadisti dietro l’angolo di casa

Tripoli
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di Salvo Barbagallo

 

Troppo presi da tutto ciò che ha scatenato non solo in Europa ma in tutto il mondo il Referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, si sono messi da parte i mille e mille problemi quotidiani, molti dei quali di primaria importanza.

Fayez al Sarraj
Fayez al Sarraj

Pensate: non fanno più notizia neanche le solite smorfie del premier Matteo Renzi che i fotografi continuano a immortalare ma, in compenso e almeno, si esulta per la vittoria della nazionale italiana sulla Spagna. Non allarmano più di tanto, poi, le informazioni sugli altalenanti sobbalzi (in negativo) delle Borse a seguito del recente Brexit: forse è già tempo di vacanze e per gli italiani è tempo, dunque, di mettere in naftalina, anche se per un breve periodo, le tematiche più scottanti.

Chi scende in auto dal nord sulla Salerno/Reggio Calabria per raggiungere la Sicilia, osserva (solo di sfuggita) con sorpresa pullman che nella corsia inversa risalgono lo Stivale scortati da auto della Polizia: negli autobus non ci sono turisti ma migranti/profughi che nell’Isola non possono essere più “sistemati” perché non c’è più posto. I centri d’accoglienza in Sicilia, infatti, sono saturi, la situazione è già di rottura: negli ultimi giorni sono stati oltre tredicimila i fuggitivi sbarcati nei porti isolani. Provengono quasi tutti dalla vicina Libia e le condizioni meteo ottimali hanno favorito e continuano a favorire la navigazione dei fatiscenti e precari barconi nel Mediterraneo.

La base di Abi Sittah
La base di Abi Sittah

In Libia, con un governo voluto dall’ONU e “aiutato” anche dall’Italia, nessuno impedisce le partenze dei disperati. Fayez al Sarraj, a capo del Governo libico di accordo nazionale, vive da mesi a Tripoli nella unitissima base della Marina militare di Abu Sittah, ed ha altre preoccupazioni primarie, che non quelle di bloccare l’esodo dei migranti. Il Califfato jihadista non è stato ancora vinto, il terrorismo non è stato ancora sconfitto.

Il generale Paolo SerraIn un reportage pubblicato ieri (28 giugno) dal quotidiano Il Corriere della Sera, a firma dell’inviato Lorenzo Cremonesi, la situazione nel vicino Paese è descritta in maniera chiara attraverso le parole di un terrorista catturato che aveva intenzione di compiere un attentato proprio a Tripoli per eliminare Fayez al Sarraj e il generale italiano Paolo Serra, consigliere militare di Martin Kobler, l’inviato Onu per la Libia. Afferma il terrorista: Presto arriveremo a Roma. La città simbolo dell’Occidente infedele. E da lì prenderemo tutta l’Europa, dalla Libia è facile. Per i cristiani e gli infedeli resteranno solo tre alternative: convertirsi all’Islam, pagare la tassa prevista dalla nostra legge religiosa se non intendono farlo, oppure venire uccisi. Certo sono le parole di un fanatico, ma sono parole che vengono valutate attentamente perché concreto è il pericolo jihadista, e

Martin Köbler
Martin Köbler

lo confermano le dichiarazioni che a Cremonesi fa il capo dei servizi libici, Mustafa Nuah: I nostri due Paesi hanno una lunga tradizione di vicinanza. Oggi abbiano un nemico comune: l’Isis. Sappiamo che dalla Libia le sue cellule controllano il traffico dei migranti e lo utilizzano anche per inviare i loro militanti verso le vostre coste. A noi preme una cooperazione più stretta. Se non collaboriamo, la nostra sconfitta sarà anche la vostra (…) Abbiamo in carcere o siamo sulle tracce di tanti terroristi e criminali che ai servizi segreti italiani interessano tantissimo. Gente che si muove senza troppi problemi tra Milano, Roma, Sabratha, Sirte e le oasi nel Fezzan (…).

Dunque, un pericolo concreto che si annida a due passi da casa nostra e che può serpeggiare all’interno degli incontrollati flussi di migranti/profughi che vengono rilasciati in Sicilia, per essere smistati, quando è possibile, dall’altra parte dello Stretto di Messina, sempre nelle regioni meridionali. Una storia infinita. Che di certo non può concludersi con la “semplice” erogazione di denaro “europeo” a favore di questo o quel Paese, a favore di questo o quell’altro centro di accoglienza.

E comunque, il pericolo “attentati” resta…

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